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The Ring
Titolo originale: The Ring
Anno: 2002
Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, Giappone
Genere: Horror
Casa di produzione: Walter F. Parkes
Distribuzione: UIP
Durata: 110 min
Regia: Gore Verbinski
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Fotografia: Bojan Bazelli
Montaggio: Craig Wood
Musica: Henning Lohner, Hans Zimmer, James Michael Dooley
Attori: Naomi Watts, Martin Henderson, David Dorfman, Brian Cox, Jane Alexander, Lindsay Frost, Amber Tamblyn, Rachael Bella, Daveigh Chase, Shannon Cochran, Sandra Thigpen, Stephanie Erb, Sara Rue
Trama di The Ring
In una notte di fitta pioggia, due adolescenti sono impegnate in una terrificante discussione circa una videocassetta, la quale, una volta vista, dopo sette giorni, causerebbe la morte di chi l’ha guardata.
All’inizio le due amiche scherzano su quella che si direbbe essere una voce di corridoio, tuttavia, quella stessa notte, una delle due, proprio la ragazza che aveva fatto uso della cassetta una settimana prima, muore orribilmente. La superstite, dopo aver assistito all’improvviso decesso dell’altra, impazzisce (la ritroveremo, poche scene dopo, in un manicomio). Il cuginetto della ragazza morta, alla quale era molto legato, rimane scioccato dall’avvenimento proprio come la sua mamma.
La madre del giovanissimo è una giornalista, interpreta da Naomi Watts, e sotto consiglio della sorella, la mamma della ragazzina cui è toccata la sventurata sorte, avvia delle indagini circa la maledizione riguardante la videotape. La donna comincia così a guardare ripetutamente la cassetta e, a partire dalle immagini mostrate, effettua numerose ricerche e diverse ispezioni in vari luoghi. Proprio come voleva la leggenda metropolitana, anche la giornalista riceve una telefonata e una voce le comunica che, dopo sette giorni, troverà la morte. Intanto, sia il figlio che il padre del piccolo visualizzano la cassetta, anch’essi, poco dopo, sono oggetto di una misteriosa chiamata telefonica.
I genitori del bambino, dopo aver indagato sul fenomeno, scovano che il tutto ha avuto origine da una bambina, di nome Samara ( Sadoka nella versione cinematografica giapponese)
I due scoprono così la triste storia di una creatura maledetta, la piccola era stata adottata da una coppia che non poteva avere figli: inizialmente la loro vita proseguiva tranquillamente, ma ben presto stranissimi avvenimenti, come l’annegamento dei cavalli del maneggio posseduto dai due coniugi, spezzarono l’equilibrio famigliare. Una volta capito che la causa delle sciagure era proprio la bambina adottata, ritenuta in possesso di poteri psichici, l’adottiva madre la uccide e ne butta il corpo in fondo a un pozzo, suicidandosi in seguito al brutale atto.
La giornalista si reca con l’ex compagno proprio nel pozzo in cui la piccola era stata gettata e ne libera lo scheletro. Di ritorno a casa, i protagonisti della vicenda realizzano che la maledizione continua a mietere vittime, questa volta toccherà proprio all’ex fidanzato della mamma del piccolo.
Solo alla fine del film, la donna si rende conto dell’errore fatale da lei commesso durante il suo periodo investigativo: Samara/Sadoka è vittima di una solitudine spietata, il suo unico desiderio è essere ascoltata, da qui la decisione della giovane donna in carriera di diffondere il filmato.
The Ring- L’Era del digitale
Nel 1991 lo scrittore giapponese Suzuki realizza un’opera magistrale, dalle atmosfere inquietanti, il cui titolo è Ringu. Del testo viene poi realizzata una trasposizione cinematografica che prende il nome di Ring: il film, realizzato nel 1998 da Hideo Nakata, rimarrà impresso nelle coscienze e nelle menti di numerosissimi spettatori, provenienti da tutto il mondo. Nel 2002, gli americani, hanno deciso di realizzarne il remake The Ring per la regia di Gore Verbinski, regista di La maledizione della prima luna, primo capitolo della famosa saga cinematografica de I Pirati dei Caraibi
La pellicola originale è una vera e propria perla del cinema horror, che riesce difatti a turbare i sogni dell’intera popolazione mondiale per oltre un decennio, suscitando tensioni e incubi che solo film ad esso precedenti come “L’esorcista” erano riusciti a scolpire nelle anime terrorizzate di migliaia di cinefili.
Se in occidente i film su Ring realizzati sono esclusivamente due, in Usa si è creato intorno al successo del primo ben tre pellicole che riprendono la storia di Samara Morgan conosciuta in The Ring
Il senso del film
Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti.
Ring
Chi ha visto in The Ring un semplice film horror si è limitato a una visione superficiale di una pellicola tanto misteriosa quanto significativa. Per arrivare a comprendere la grande metafora mediatica legata al film, bisogna osservare con attenzione ogni singola inquadratura e movenza di un capolavoro del genere horror.
Già a partire dal titolo della versione statunitense, “The Ring”, siamo dinanzi a un doppio significato: ring, in lingua inglese, non sta solo a simboleggiare l’anello la cui forma circolare rimanda inevitabilmente a un cerchio, che come abbiamo visto non può essere chiuso. Ring, nel germanico idioma, sta anche ad indicare il suono dello squillo di un telefono.
Il lavoro effettuato da Gore Verbinsk non è altro che una semplificazione culturale per lo spettatore europeo e americano eliminando a tratti dei dettagli comprensibili esclusivamente al pubblico orientale, ma allo stesso tempo sfrutta lo stile nippotico dal punto di vista visivo. Il risultato finale è un prodotto molto simile all’originale ma dal sapore maggiormente commerciale. La versione americana inoltre possiede, ciò che manca al predecessore, un ottimo interprete femminile come Naomi Watts che riesce a reggere tranquillamente sulle sue spalle l’intera narrazione, non priva di suspense.
Passiamo ora alla minuziosa analisi delle scene di questo gioiellino del cinema horror.
Occorre anzitutto distinguere tra due versioni esistenti, l’una nipponica, l’altra americana, adattamento occidentale della mostruosa visione partorita da una mente del Paese del Sol Levante. Il modello giapponese ci propina un’opera cinematografica che, attraverso le movenze tipiche del teatro orientale, riesce a dare vita al fantasma di una bambina che in vita è stata perseguitata da sventure e maledizioni.
Sadoka (il nome nipponico della piccola protagonista) non è nient’altro che un oni, creatura appartenente al folklore giapponese, che ha le sembianze di uno spirito che vaga sulla Terra in cerca di vendetta. Gli oni erano inizialmente spiriti associati al bene: uno di questi oni non era altri che una ragazza, la cui dimora coincideva con l’interno di un pozzo…
Altro elemento tipicamente nipponico è la presenza di un fantasma da camera, tema ripetutamente celebrato nei lungometraggi del grande impero, come ad esempio in Tokaido Yotsuya Kaidan di Nakakawa Nobuo.
Nella pellicola statunitense tutto questo non è presente o meglio è presente, ma lo è in maniera occidentale. In primo luogo, le inquadrature sono del tutto differenti: nel momento in cui Samara/Sadoka dovrebbe apparire, seppur nella sua spettrale e pressoché invisibile condizione, per la prima volta nel corso del film, notiamo uno scarto nella realizzazione della scena.
Mentre nel film di tradizione orientale, Sadoka figura come un’immagine avvolta nel buio, lì presente già da diverso tempo; nell’ interpretazione dell’americano Verbinski, un’ombra non a
fuoco si avvicina lentamente. Quella che dovrebbe essere Samara o Sadoka si rivela poi essere la madre del bambino. Entrambe le versioni procurano nel pubblico le medesime emozioni: angoscia, terrore poi distensione nell’apprendere che si trattava di un personaggio innocuo, ma la differente concretizzazione della medesima scena porta in luce il distacco culturale. Mentre il cinema nipponico evoca il motivo di un’immanenza del soprannaturale, nella resa scenica dell’ovest, non sappiamo chi si stia avvicinando a noi fino alla fine, finché l’immagine non penetra nell’occhio dello spettatore.
Nella scena finale, inoltre, c’è una sostanziale differenza tra i due adattamenti: nel remake americano, il cerchio si chiude con la copia di una cassetta che verrà poi rimessa in circolazione perché Samara venga ascoltata in futuro da persone ignote. Nel modello nipponico, la cassetta contenenti le immagini di Sadoka sarà visionata dal nonno del bambino della donna, innescando così un circuito famigliare: la famiglia, infatti, come tradizione orientale vuole, è così continuatrice di un rito.
Ma qual è il reale significato dell’opera?
Per comprenderlo, basterebbe fare attenzione a cos’è al centro di questa spaventosa allucinazione collettiva denominata “The Ring” o meglio “Ringu”: i media.
Chi o cosa agisce sugli spettatori? Uno spirito che esce però da una scatola, la scatola magica, la cosiddetta TV.
Quando Suzuki porta a compimento il suo testo più importante, siamo solo agli inizi degli anni 90, precisamente nel 91, ed è proprio in quel frangente di tempo che la televisione sta acquistando sempre maggior potere e penetra nelle case dell’intera popolazione. Allo stesso modo, fisicamente e non metaforicamente, anche Samara entra nelle abitazioni delle sue vittime (motivo poi ripreso in “Requiem for a dream”).
Chi o cos’è quindi Samara/Sadoka?
E’un fantasma, su questo siamo tutti d’accordo, ma il fantasma di cosa? Il fantasma che rapisce e martorizza gli astanti, stessa identica cosa che il media Tv fa con la mente delle persone. Quando i protagonisti del film guardano la cassetta, le loro iridi si dilatano come di fronte a un’ipnosi, Suzuki, Nakato e Verbinski ci stanno forse dicendo che stiamo diventando succubi di un mezzo che ci impedisce di vedere la realtà per quella che è? Si. E lo fanno anche con largo anticipo, molto prima dell’era dei social e whatsapp: a furia di guardare la TV e di farne il nostro guru, stiamo non solo perdendo il senso del reale, ma il vero contatto umano.
In che posizione si trova lo spirito della bambina maledetta?
I lunghi capelli neri le fanno da “schermo”, allo stesso modo, noi siamo completamente rapiti dallo schermo di un mezzo che si sta impossessando del nostro modo di pensare e agire. Le braccia di Samara ricordano la posizione di una persona seduta proprio dinanzi alla tv, la sciagurata non a caso ricorda a tratti uno zombie, proprio ciò che noi stiamo diventando, inconsapevolmente.
Cosa sta limitando le nostre reali interazioni o meglio stava solo cominciando a limitare, prima dell’avvento di internet e dei primi portatili?
Il telefono, si stava soccombendo a un nuovo modo di agire che avrebbe del tutto modificato la nostra natura umana. Ecco perché subito dopo la visione della VHS, il telefono squilla, perché possiamo ricordare anche la presenza di qualcos’altro che lentamente cambiava, distruggeva e rimodellava quei sei miliardi di persone che, una volta, erano molto meno vincolate a degli oggetti.
Da qui il grande paradosso: la tecnologia che un giorno avrebbe dovuto renderci liberi di condividere grandi contenuti, annullando le grandi distanze, ci stava rendendo, ci ha resi e ci rende sempre più schiavi di un sistema digitale che ci consuma ogni giorno di più.
Ecco perché la protagonista – giornalista comincia a vedere nel mondo reale quello che aveva già visto in cassetta, perché siamo oramai letteralmente prigionieri di ciò che i mass media comunicano, cominciando, lentamente ma sempre con più vigore, a vedere le cose così come ci viene imposto.
Un bombardamento d’immagini, spesso anche fin troppo disgustose, (da qui la presenza ossessiva di viscidi vermi nel corso del film) che la TV ci propone e noi assimiliamo, inermi. E a sottolineare l’uso nefasto che il mondo stava facendo della tecnologia interviene, almeno nell’adattamento usa, il padre del piccolo che si lancia in un’invettiva contro il giornalismo stesso: come gli attori sono vittime di una maledizione senza fine, gli stessi esseri viventi assorbono terribili avvenimenti a cui non possono ribellarsi e contro i quali non si può più realmente agire per poterli almeno arginare.
La solitudine e l’impotenza alle quali è destinata Samara/Sadoka sono le stesse cui è destinato il resto dell’umanità, ormai preda di un malefico meccanismo, che fa di noi degli esseri immensamente soli e che fa sì che nascondiamo il nostro vero io dietro schermi e apparenza.
Sadoka esprime infatti, durante lo scorrere delle immagini, il suo ultimo desiderio: quello di essere ascoltata e per farlo, si trova anche lei al centro di un circolo vizioso, che non potrà più avere fine poiché mai riusciremo a tornare indipendenti come una volta.
Note Positive
- Scenograficamente impeccabile;
- Dialoghi molto significativi;
- Personaggi ben delineati;
- Buona suspense.
Note Negative
- La versione occidentale rimane, in parte, mutilata, perché non riesce a cogliere e ripordurre tutto lo spirito orientale del primo film.