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All the Streets Are Silent
Titolo originale: All the Streets Are Silent
Anno: 2021
Paese: Stati Uniti d’America
Genere: documentario
Produzione: Dana Brown, Jeremy Elkin
Distribuzione: Greenwich Entertainment
Durata: 89 min
Regia: Jeremy Elkin
Sceneggiatura: Dana Brown, Jeremy Elkin
Montaggio: Jeremy Elkin
Musiche: Large Professor
Trama di All the Streets Are Silent
A cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la città di New York è il teatro della convergenza tra skateboarding e hip hop, due sottoculture destinate a segnare l’immaginario di tutto il mondo.
Recensione di All the Streets Are Silent
Dal 18 al 20 luglio 2022, in alcuni cinema italiani sarà possibile vedere All the Streets Are Silent, documentario newyorkese in cui si indaga la convivenza, le reciproche influenze e infine la convergenza, avvenuta all’inizio degli anni ’90, tra la sottocultura dello skateboarding e quella dell’hip hop. Questa convergenza ha dato vita a un’estetica, a uno stile e a un’attitudine ancora oggi dominanti nell’ambito dell’immaginario pop di tutto il mondo: è quindi estremamente interessante l’esplorazione delle effettive radici sociali di queste due culture, nate in un contesto urbano specifico, circoscritto e segnato da problematiche lontanissime dall’attuale glamour planetario.

Il documentario è narrato da Eli Gesner, promoter del leggendario club Mars e fondatore di Zoo York, compagnia che vende prodotti dedicati al mondo dello skateboarding. La figura di Gesner racchiude già il nucleo tematico del documentario, ovvero la fusione tra il movimento degli skater e la musica hip hop, diventata simbolo della New York underground proprio grazie all’attività del Mars. Oltre a Zoo York, la cultura skate ha creato un altro marchio, ancora più iconico, che veste oggi le celebrità hip hop e non di tutto il mondo: si tratta di Supreme, negozio di abbigliamento che è attualmente difficilissimo ricollegare al contesto sociale in cui è nato. Lo skateboarding, oggi fenomeno largamente minoritario, era infatti un elemento culturale importantissimo della New York anni ’80-’90, al punto da riscrivere in parte l’architettura della metropoli.

Per raccontare questo particolarissimo fermento dell’underground giovanile del periodo, All the Streets Are Silent si avvale delle testimonianze, dirette o riportate tramite filmati d’epoca, di personalità come il cineasta Harmony Korine, sceneggiatore del film-manifesto Kids (Larry Clark, 1995), i DJ Moby, Bobbito Clark e Kid Capri, i rapper Busta Rhymes e Darryl MacDaniels, gli skateboarders Keith Hufnagel, Mike Carroll e Harold Hunter e l’attrice Rosario Dawson, resa famosa proprio da Kids. Paradossalmente, il limite del documentario risiede proprio nella sovrabbondanza di testimonianze, affastellate senza che una precisa linea narrativa porti avanti un’effettiva indagine del fenomeno in questione. I protagonisti del periodo si ritrovano quindi a rievocare un’epoca sicuramente affascinante, che non riesce però a dispiegarsi come il momento culturalmente interessante che è stato. Il generale appiattimento narrativo colpisce soprattutto il versante socio-politico del movimento hip hop, completamente rimosso dal documentario, in cui conflitto razziale non viene per nulla indagato – a parte un rapido accenno all’iniziale diffidenza del mondo hip hop verso lo skateboard, praticato in prevalenza da bianchi. La descrizione della commercializzazione del movimento, che trova nella parabola del marchio Supreme il caso più emblematico, è altrettanto appiattita e privata delle ovvie contraddizioni ideologiche.

In conclusione
All the Streets Are Silent è un’opera documentaria esteticamente suggestiva, ma che esaurisce le proprie potenzialità nella semplice funzione informativa.
Note positive
- Estetica affascinante
- Ricchezza di testimonianze
- Descrizione di un periodo interessante e ancora oggi influente
Note negative
- Narrazione troppo informativa
- Rimozione dell’analisi socio-politica del movimento