American Skin (2019), il retaggio di avere la pelle nera negli Stati Uniti

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American Skin

Titolo originale: American Skin

Anno: 2019

Paese: Italia, Stati Uniti d’America

Genere: Drammatico

Distribuzione: Eagle Pictures

Durata: 89 min

Regia: Nate Parker

Sceneggiatura: Nate Parker

Fotografia: Kay Madsen

Montaggio: Matthew Feinman

Musiche: Henry Jackman

Attori: Omari Hardwick, Theo Rossi, Beau Knapp, Nate Parker, Larry Sullivan, Michael Warren, Shane Paul McGhie

Trailer del film American Skin

«Non c’è un poliziotto tra i giurati, non è una giuria equa!»

«Benvenuto nel mio mondo».

Dialogo tra Linc e l’agente Randall.

Nate Parker firma uno dei film più attuali degli ultimi anni. “American Skin” è un viaggio, filtrato dall’occhio di noi spettatori, nel tormento e nel dolore di un padre che cerca giustizia per il figlio.

Trama di American Skin

Linc è sulla via di casa con suo figlio, Kijani, e viene fermato da due poliziotti, che gli chiedono i documenti. La situazione degenera, fino all’omicidio del 14enne. Un anno dopo, uno studente di cinema, Jordin, incontra Linc per realizzare un cortometraggio e raccontare la sua storia. Dopo che l’agente colpevole dell’omicidio di Kijani non viene processato, Linc tenta un gesto estremo e trasforma la centrale di polizia di Los Angeles in un tribunale rovesciato, in cerca di giustizia per il figlio.

Nate Parker è Linc, protagonista del film.

Recensione di American Skin

American Skin” si apre a noi spettatori in media res, mostrandoci l’ingiustizia subita dai protagonisti, usando la tecnica del found-footage, tramite telecamere degli agenti e il cellulare di Kijiani, interpretato da Tony Espinosa. Subito dopo, la narrazione si sposta un anno dopo, a casa di Linc, interpretato da Nate Parker, e qui si utilizza sempre la tecnica del found-footage, girato tramite le cineprese di Jordin, interpretato da Shane Paul McGhie, e dei suoi amici, ma alternato a scene riprese in maniera classica, con una regia molto intima e degli ottimi giochi di primi piani. Questa tecnica, solitamente utilizzata negli horror, risulta ottima per mostrare le introspezioni dei vari personaggi che appaiono in scena e ci rendono spettatori attivi della vicenda, dandoci quasi l’impressione di essere tra di loro. Il primo atto del film, e parte del secondo, ci mostra una narrazione intima e molto malinconica, che analizza e denuncia l’ingiustizia, facendoci avvertire un senso d’impotenza e di rabbia.

Fotogramma di American Skin

La sceneggiatura di Nate Parker, così come la sua regia e la sua magnifica interpretazione, ci trasporta in una tragedia che per molti aspetti non ci appartiene, eppure riusciamo a farla nostra, a sentirla sulla nostra pelle. Se la prima metà della pellicola è malinconica e molto introspettiva, la seconda invece cambia rotta di colpo e sfocia nella violenza. Noi spettatori ci troviamo quindi catapultati improvvisamente nell’azione. Linc, prende in ostaggio il Capitano Morris, interpretato da Wolfgang Bodison, e si presenta al Distretto armato fino ai denti, insieme ad alcuni suoi complici, tra cui suo amico fraterno Derwood, interpretato da Omari Hardwick. Linc ordina a Jordin, quindi, di continuare il suo cortometraggio e di riprendere tutto. È il punto di non ritorno, ormai Linc ha oltrepassato il limite e non può ritirarsi. Le scene della sparatoria all’interno del Distretto sono concitate e ci regalano una regia dinamica. Una volta entrati nel Distretto, Linc fa una moltitudine di ostaggi e si trova faccia a faccia con l’uomo che ha ucciso Kijiani: l’agente Randall, interpretato da Beau Knapp. Linc allora mette in piedi un tribunale rovesciato. Fa scarcerare alcuni criminali non violenti, appartenenti a diverse razze diverse e li nomina a giuria, insieme ad alcuni civili. A difendere l’agente Randall, ci pensa il sergente Reyes, interpretato da Theo Rossi. Il processo è quindi un dibattito acceso tra le due parti, dove vengono sviscerati in maniera oggettiva e attenta i temi del razzismo, della misoginia, della xenofobia e dell’ingiustizia. Tutto viene continuamente girato dall’occhio vigile del cameraman di Jordin. Linc e l’agente Randall si trovano così a portare avanti uno scontro ideologico acceso, dove il tormento nè fa da padrone. L’obiettivo è uno: decretare se l’agente Randall è colpevole o no. Nel finale, verrà emesso un verdetto, che sfocierà in un’ulteriore tragedia, ma lascerà spazio anche al tema del perdono e della redenzione.

Questo viaggio nell’ingiustizia e nella violenza nella quale la comunità afroamericana è ancora oggi costretta a vivere, arriva dritta al cuore e alla pancia dello spettatore, e lo costringe a riflettere. Più che mai in un clima di tensione culturale come quello del post-George Floyd è importante visionare film di questo calibro, per poter vedere in maniera chiara che nonostante siamo già nel futuro, molte ingiustizie del passato tornano ancora oggi a farci visita.

Nate Parker è riuscito nel suo intento. Tramite i suoi 89 minuti di film intimo e attuale, con una regia accattivante e creativa, una sceneggiatura forte e decisa, con la deliziosa fotografia di Key Madsen e la straordinaria colonna sonora di Henry Jackman, Nate Parker è riuscito a mostrare uno spaccato reale e tangibile degli Stati Uniti attuali. Un paese così tanto progressista, dove però, c’è ancora paura per le strade. Ma sicuramente, non c’è più silenzio.

Beau Knapp è l’Agente Randall.

Note positive

  • Grandi temi
  • Tensione narrative che cresce lungo il film

Note negative

  • Found-Footage e riprese classiche spesso non sono ben differenziate.
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