Cadaver (2020): Attori o spettatori?

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Cadaver (2020) locandina del film

Cadaver

Titolo originale: Kadaver

Anno: 2020

Paese: Norvegia

Genere: thriller

Produzione: Motion Blur Films

Distribuzione: Netflix

Durata: 86 min

Regia: Jarand Herdal

Sceneggiatura: Jarand Herdal

Fotografia: Jallo Faber

Montaggio: Jens Peder Hertzberg

Musiche: Jonathan Sigsworth

Attori: Gitte Witt, Thomas Gullestad, Thorbjørn Harr, Kingsford Siayor, Maria Grazia Di Meo, Jonatan Rodriguez

Trama di Cadaver

In un mondo post – apocalittico dopo lo scoppio di una guerra nucleare i sopravvissuti devono fare i conti con una terrificante carestia di cibo che li sta lentamente conducendo ad una agonizzante morte.

L’ex attrice Leonora (Gitte Witt) lotta tutti i giorni insieme al marito Jacob (Thomas Gullestad) con lo scopo di procurare del cibo alla loro piccola figlia Alice, spaventata da questo mondo pieno di mostri e di angoscia. La famiglia, nel bel mezzo del disastro, continua a vivere nella propria casa di famiglia che si trova ancora in un buon stato, inversamente dal mondo esterno completamente in rovina.

Usicte di qui, orribili mostri. Andate via! Questa non è casa vostra!

Cadaver

Un bel giorno giunge davanti la loro abitazione un imbonitore che parla a tutti gli abitanti di uno spettacolo teatrale che sarà tenuto dal grande e gentile Mathias all’interno di uno sfarzoso Hotel situato nella loro cittadina. L’uomo asserisce alla povera gente che quella sera sarà per loro l’esperienza più esaltante della loro vita con inclusa un’abbondante cena. Leonora, sentendo quelle parole, decide di acquistare per pochi soldi tre biglietti e conduce la sua famiglia, nonostante alcune perplessità sull’evento, all’interno del palazzo in cui uno strano spettacolo avrà vita. Il palcoscenico è la villa e gli spettatori dovranno indossare una maschera e seguire gli attori in giro per l’abitazione.

Gitte Witt e Thomas Gullestad in Cadaver
Gitte Witt e Thomas Gullestad in Cadaver

Recensione di Cadaver

Il titolo dell’articolo scelto per andare a parlare di questo lungometraggio originale Netflix a tinte Thriller con qualche (lieve) sfumatura horror è sia una domanda che un enigma filosofico alla Pirandello: Attori o spettatori? Riflessione attualissima nei tempi dei social dove tutti divengono creatori di contenuti online e che risulta un interrogativo pienamente amlettiano, nel famoso monologo di William Shakespeare in cui Amleto pronuncia Essere o Non essere. Cadaver parte da uno spunto post – apocalittico per rintracciare la sua originalità creativa che va a differenziarlo dal resto dei prodotti di genere con una trama intrigante: della gente, con l’offerta di cibo gratis in un mondo di carestia, si reca a un evento dove si tiene uno strano spettacolo, il pubblico ha le maschere gli attori no. Ecco il lungometraggio di Jarand Herdal ha qui e in questo enunciato il suo punto di forza ma in esso è rintracciabile anche l’incapacità stessa di approfondimento tematico mostrata dal regista sceneggiatore che si dimostra non in grado di sfruttare un incipit notevole ma mandando, minuti dopo minuti, il racconto audiovisivo entro una strada altamente già vista e priva di qualsiasi colpo di scena in cui lo spettatore sa già tutto. In effetti il problema vero e proprio di Cadaver è in ciò: la banalità della storia dove non esistono colpi di scena e intrighi.

Gitte Witt e uva Olivia Remman in Cadaver
Gitte Witt e uva Olivia Remman in Cadaver

Andrà tutto bene?

Leonora: Dobbiamo resistere, è l’unica cosa da fare.

Jacob: Ma non abbiamo fatto altro finora, non ci è rimasto niente, Leo.

Leonora: Abbiano l’un l’altro e abbiamo Alice. Non possiamo arrenderci adesso, andrà tutto bene

Cadaver

Come è accaduto nel mondo pandemico del 2020 in cui abbiamo ascoltato notevoli volte queste parole ” Andrà tutto bene”, stessa cosa accade al personaggio di Leonora che sembra non volere abbandonare la speranza, speranza stessa che la condurrà in quel luogo macabro e brutale che si nasconde dietro la faccia del suo mondo fantastico: Il teatro. In cui l’enigma stessa è Rischiare o non rischiare?

Il primo atto, ambientato nel mondo fuori, risulta uno spaccato di grande cinema autoriale con una sceneggiatura che pur nel suo minimalismo rimane funzionante alla vicenda e inonda quel senso di disgrazia e di dramma allo spettatore. Interessante e congeniale alla narrazione sono anche i dettagli su cui la macchina da presa pone l’accento, come le riviste dei giornali, e che vanno a creare il contesto narrativo della storia. Al suo interno va fatto un plauso al direttore della fotografia e scenografia che riescono a creare un mondo post – apocalittico ruvido e duro. La fotografia si predispone a tinte scure con una predominazione tendente al blu, che richiama il ghiaccio e la tristezza, contrariamente all’ingresso dentro la villa la tavole di colori cambiano per dare spazio a una luce più accesa e alla tinta del sangue, ovvero il rosso.

Il tema della speranza e della fantasia vengono immessi esclusivamente nella prima parte, ma come è accaduto anche alla tematica discussa sopra, queste vengono trattate con grande sufficienza e la speranza viene ripresa solo nelle ultime inquadrature finali. Il film seppur poteva essere originale si sofferma sul classico genere di ricerca della salvezza, in cui la nostra protagonista Leonora, ben interpretata da Gitte Witt, scappa per i corridoio della villa inseguita dai suoi cacciatori, come una preda.

Purtroppo la superficialità della storia si ritrova anche nella mancata introspezione dei personaggi stessi che partendo dalla protagonista rimangono degli sconosciuti al pubblico, anche la regia all’interno della villa rimane confusa, mostrando di tanto in tanto le visioni della donna senza però andarle a spiegare né registicamente né in sceneggiatura rimanendo un elemento incomprensibile all’interno della storia.

In conclusione Cadaver è un ottimo incipit ma anche un film che nel procedere zoppica parecchio e che cade in una storia altamente banale e che troverà lo spettatore nel dire: Ah, era scontato il finale. Il tutto però è supportato da un apparato tecnico elevato che dà ancor più dispiacere perché il regista ha avuto in partenza un ottima idea narrativa che però non è stato in grado di portare avanti.

Note positive

  • Fotografia
  • Scenografia
  • Interpretazione di Gitte Witt
  • Incipit

Note negative

  • Sceneggiatura dalla fine del primo atto
  • Regia
  • Superficialità narrativa
  • Elementi di estrema banalità
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