Death Whisperer (2023). Tratto da un fatto realmente accaduto

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Trailer di Death Whisperer

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Nel maggio 2015, fece la sua comparsa su pantip.com, un forum/blog molto popolare in Thailandia, l’account con il nickname Kritta che pubblicò la storia horror soprannaturale “Death Whisperer”, che divenne un vero e proprio fenomeno culturale dell’anno. Il racconto ottenne ben 2.000 commenti e registrò ben 130.000 condivisioni, segno di un alto interesse del pubblico riguardo alla storia trattata. Spinto da questo successo di pubblico, l’autore dietro il nickname Kritta, lo scrittore Krittanon, decise di riscrivere la sua storia sotto forma di romanzo, pubblicato nel 2017, ottenendo un buon successo di pubblico. Questo clamore intorno alla vicenda, che secondo lo scrittore si rifà a una storia realmente accaduta nella famiglia di sua madre quando lei era ancora quindicenne, ha portato alla realizzazione e distribuzione del lungometraggio omonimo nel 2023, diretto da Thaweewat Wanta. Il film è stato un ottimo successo di pubblico, diventando il primo incasso dell’anno con un totale di 100 milioni di baht incassati in soli tre giorni. Ha avuto la sua prima internazionale il 22 ottobre 2023 presso l’Infinity Hall, 5° piano, Siam Paragon, alla presenza dell’intero cast e della troupe. In Italia, ha avuto la sua prima italiana presso il Far East Film Festival 2024, dove ha partecipato in concorso. La pellicola ha un seguito che è stato distribuito in Thailandia alla fine del 2024.

Trama di Death Whisperer

Nel 1972, in un villaggio della Thailandia centrale, isolato dalla civiltà e situato nella provincia di Kanchanaburi, si verificano una serie di strani e misteriosi eventi. Giovani donne si ammalano improvvisamente e muoiono senza un apparente motivo, come è accaduto alla piccola Nart, deceduta a casa a causa di un’emorragia e a un rigonfiamento della pancia dopo un periodo di malessere.

Qualche giorno dopo la morte di Nart, le tre sorelle Yad, Yam e Yee si avviano, come tutti i giorni, a prendere l’autobus che le condurrà a scuola, chiacchierando spensierate della fiera, un evento eccezzionale, che si terrà quella sera. Nel tragitto a piedi, il loro sguardo ricade su un vecchio albero, dove fa la sua apparizione una donna misteriosa e spettrale vestita di nero. Le tre ragazze si ritrovano spaventate e inquietate da quella vista macabra ma, senza fiatare e senza dire niente, proseguono verso la scuola.

La sera stessa, mentre si trova alla fiera, Yam rivede quella misteriosa figura oscura e inizia ad avere degli strani sintomi influenzali. Nei giorni seguenti, la ragazza manifesta un comportamento alquanto diverso dal solito, tanto da spaventare le sue sorelle, che non la riconoscono più. Proprio quando Yam si sente male, fa il suo ritorno a casa, in pianta stabile, il figlio maggiore, Yak (interpretato da Nadech Kugimiya), un militare dell’esercito. Il ragazzo, con l’aiuto dei suoi due fratelli minori, Yos e Yod, dovrà affrontare una minaccia soprannaturale per sperare di salvare sua sorella e la sua stessa famiglia da un’entità oscura che si è attaccata alla loro casa.

Fotogramma di Death Whisperer
Fotogramma di Death Whisperer

Recensione di Death Whisperer

Finzione o realtà?

La narrazione attorno a “Death Whisperer” si intreccia tra realtà e finzione in modo complesso. La strategia di presentare il film come basato su eventi reali solleva una serie di domande interessanti sulla natura stessa della verità e sulla percezione che abbiamo di essa, specialmente quando si tratta di narrazioni nel genere dell’horror soprannaturale. Questo approccio è comune nel mondo del cinema di genere horror, dove l’etichetta “tratto da una storia vera” viene spesso utilizzata per catturare l’attenzione del pubblico, risultando, spesso e volentieri, una pratica di marketing di assoluto successo. Onestamente, quanti di voi hanno visto un B-movie horror solo perché tratto da una storia che ha le sue radici nella realtà? Quindi la mossa di marketing dello scrittore del romanzo Krittanon di dichiarare che “Death Whisperer” si rifà ad eventi realmenti accaduti è indubbiamente una trovata pubblicitaria alquanto potente e convincente per trovare la curiosità del pubblico.

Tuttavia, questa pratica solleva interrogativi sulla linea sottile che separa realtà e finzione, e su quanto sia affidabile la nostra percezione di ciò che è vero. Il fatto che lo scrittore di “Death Whisperer” abbia affermato che la storia è ispirata a un evento realmente accaduto aggiunge un livello di credibilità alla narrazione, ma allo stesso tempo il lungometraggio “Death Whisperer” attraverso le sue didascalie poste a inizio della pellicola, afferma che la storia trattata sia effettivamente accaduta; dall’altra parte, però, si distanzia asserendo che i fatti e i nomi dei personaggi sono frutto dell’immaginazione e non della realtà. Questo mette il pubblico in una certa confusione, poiché non sa effettivamente fino a che punto la verità si estenda e dove inizi il fantastico. La tensione tra realtà e finzione all’interno della storia e della sua presentazione al pubblico crea un’atmosfera intrigante che alimenta il dibattito e l’interesse intorno al film e al romanzo. Ciò solleva anche interrogativi più ampi sulla nostra percezione della realtà e sulla capacità di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è immaginato, soprattutto quando si tratta di narrazioni che giocano con i confini della verità.

La sceneggiatura: elementi interessanti ma malamente sviluppati.

La pellicola “Death Whisperer” si inserisce nel filone dell’horror soprannaturale, arricchito da elementi di dramma familiare che ne conferiscono profondità e complessità. Al centro della vicenda troviamo una famiglia contadina del 1972 composta da otto individui, sei figli di giovane età, dai sei anni circa fino ai 25 presumibilmente, e da due genitori, una madre buona e amorevole e un padre duro e scontroso con i suoi figli, intenzionato a insegnare loro la durezza della vita e l’importanza del lavoro sul campo. La storia, pur muovendosi sul contorno del soprannaturale erge a protagonista indiscusso della pellicola le dinamiche familiari, attraverso una sceneggiatura che cerca di raccontare i vari personaggi presenti in scena con tridimensionalità, attraverso una sottotrama orientata allo scontro generazionale tra tradizionalismo culturale e progressismo. Questi due concetti vengono rappresentati attraverso lo scontro genitoriale tra padre e figlio, dove Yak, un ragazzo appena ritornato dall’esercito, si scontra con la cultura e il modo di fare del padre, un uomo che educa i suoi figli senza mostrargli affetto e apprezzamento. Se questa tematica dello scontro padre e figlio risulta interessante a livello teorico, riuscendo a donare un senso di sottotrama avvincente alla storia e allontanandola dal risultare il solito film di possessione asettico e improntato solo su una trama horror, il risultato finale non è del tutto soddisfacente a causa di uno script che non riesce a essere potente e ben scritto come lo sceneggiatore avrebbe voluto. Così, le ottime idee narrative rimangono più nella mente del duo di sceneggiatori Sorarat Jirabovornwisut e Thammanan Chulaborirak, piuttosto che nella sceneggiatura finale. Lo script infatti immette elementi interessanti nel primo atto, senza però riuscire a svilupparli in maniera corretta.

Nel primo atto della pellicola entriamo nel mondo familiare contadino di una famiglia composta da otto individui, personaggi che vengono presentati più o meno in maniera tridimensionale, con particolare attenzione alle tre sorelle, ognuna con un carattere ben definito e differente dall’altro. Nei primi quindici minuti del lungometraggio, la protagonista sembra essere Yad, abilmente interpretata dall’attrice Denise Jelilcha Kapaun, che offre una buona prova attoriale. Yad, inizialmente, è un personaggio con cui riusciamo facilmente a empatizzare e che ci guida attraverso il dramma familiare, mostrandoci il turbamento e il cambiamento della sorella. Tuttavia, nel corso del film, Yad diventa un personaggio piatto, privo di qualsiasi tipo di cambiamento interiore. Questa sua staticità fa sì che il personaggio perda progressivamente forza e spazio narrativo a favore di Yak, che, una volta entrato in scena, acquisisce sempre più spazio, diventando infine il vero eroe della storia e il protagonista assoluto del lungometraggio, compiendo una sorta di viaggio dell’eroe. È Yak l’epicentro della vicenda, colui che subisce una vera e propria evoluzione drammaturgica, dovendo accettare il ruolo di protettore e salvatore della famiglia. La sua trama si sviluppa attraverso uno scontro familiare, sia con il padre che con uno dei fratelli, ma se questa sottotrama poteva essere interessante inizialmente, ben presto svanisce all’interno di un racconto che si concentra sempre più sulle dinamiche soprannaturali e di possessione. Tuttavia, queste dinamiche vengono narrate in maniera troppo sbrigativa, senza permetterci di comprendere appieno gli eventi e senza dare la giusta profondità alla questione soprannaturale, che proabilmente verrà approfondita nel sequel del lungometraggio.

Denise Jelilcha Kapaun in Death Whisperer
Denise Jelilcha Kapaun in Death Whisperer

Un horror che spaventa poco

Dal punto di vista estetico, “Death Whisperer” presenta un’alternanza di stili visivi che contribuiscono a creare un’atmosfera ricca di contrasti. Nel primo atto, il film adotta uno stile vivace e fantastico, tipico del genere adolescenziale, con una fotografia luminosa e una colonna sonora quasi fantasy. Questo contribuisce a immergere lo spettatore in un mondo incantato, dolce e sognante, caratterizzato da una certa leggerezza e spensieratezza. Tuttavia, man mano che la vicenda si sviluppa e si intensificano gli elementi dell’orrore, la fotografia diventa sempre più cupa e oscura, riflettendo l’evolversi della trama verso toni più tenebrosi. Questa transizione visiva contribuisce a creare un senso di tensione e suspense crescente, avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera inquietante e claustrofobica.

Per quanto riguarda la componente horror, sebbene vi siano momenti di puro terrore e scene sanguinolente, come l’incipit della pellicola, che sono ben realizzate visivamente e lasciano un’impressione forte, il film non riesce completamente a spaventare il pubblico. Tuttavia, le scene ben costruite a livello registico, come il viaggio finale in macchina attraverso paesaggi cupi e sinistri dove il gruppo deve affrontare visioni e fantasmi, contribuiscono a generare un senso di inquietudine e tensione, rendendo l’esperienza cinematografica memorabile. Apprezzabile risulta anche l’aspetto tecnico riguardante i pochi effetti speciali presenti nella pellicola assolutamente ben realizzati, soprattutto nella resa visiva della donna in nero. Se teniamo conto che il film proviene dalla Thailandia non possiamo che applaudire il repparto del trucco e della CGI.

In conclusione

Nonostante gli aspetti positivi a livello visivo e registico, il film pecca nella sceneggiatura, che non riesce a sviluppare pienamente le sottotrame e i personaggi. Sebbene inizialmente i protagonisti risultino ben caratterizzati e tridimensionali, nel corso della narrazione perdono progressivamente profondità, diventando piatti e poco interessanti. Questo limita la capacità del film di coinvolgere emotivamente lo spettatore e di mantenere alta l’attenzione fino alla fine.

Note Positive:

  • L’alternanza di stili visivi nel corso della pellicola crea un’atmosfera ricca di contrasti, contribuendo a immergere lo spettatore nel mondo del film e a enfatizzare l’evolversi della trama verso toni più tenebrosi.
  • Nonostante il film non riesca completamente a spaventare il pubblico, vi sono momenti ben costruiti a livello registico che generano un senso di inquietudine e tensione, contribuendo a rendere l’esperienza cinematografica memorabile.
  • Gli effetti speciali, soprattutto nella resa visiva della donna in nero, sono ben realizzati, dimostrando un’eccellenza nel reparto del trucco e della CGI, soprattutto considerando l’origine thailandese del film.

Note Negative:

  • Nonostante le ottime idee narrative, la sceneggiatura non riesce a essere potente e ben sviluppata come ci si potrebbe aspettare, lasciando alcune tematiche interessanti non completamente approfondite.
  • Il personaggio di Yad, inizialmente presentato come protagonista, diventa progressivamente piatto e privo di cambiamento interiore, perdendo forza e spazio narrativo a favore di Yak, il vero eroe della storia.
  • Gli elementi soprannaturali e di possessione vengono narrati in maniera troppo sbrigativa, senza dare la giusta profondità alla questione, compromettendo la comprensione degli eventi da parte dello spettatore.
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