Don’t Look Up (2021): un irriverente ritratto della (paradossale) realtà che ci circonda

Trailer italiano di Don’t Look Up

Disponibile su Netflix dal 24 dicembre, Don’t Look Up, uno dei lungometraggi più attesi dell’anno, è diretto dal premio Oscar Adam McKay, regista e sceneggiatore de La grande scommessa (2015, film vincitore dell’Academy Awards per la migliore sceneggiatura non originale) e Vice – L’uomo nell’ombra (2018). Scritto dallo stesso McKay insieme a David Sirota (opinionista al The Guardian), il lungometraggio è montato dal candidato all’Oscar Hank Corwin (nel 2016 e nel 2019 rispettivamente per La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra) e musicato da Nicholas Britell: compositore in grado di ottenere due nominations all’Academy Awards per Moonlight (B. Jenkins, 2016) e Se la strada potesse parlare (B. Jenkins, 2018). A curare la fotografia è invece il premio Oscar Linus Sandgren (per La La Land, D. Chazelle, 2016), che, come nel futuro Babylon (D. Chazelle, 2022), si trova (e ovviamente partecipa) all’interno di una produzione di assoluto livello, dotata di un cast eccezionale in cui figurano Leonardo DiCaprio (Revolutionary Road, S. Mendes, 2008; The Wolf of Wall Street, M. Scorsese, 2013), Jennifer Lawrence (Il lato positivo – Silver Linings Playbook, D. O. Russell, 2012; American Hustle – L’apparenza inganna, D. O. Russell, 2013), Meryl Streep (Kramer contro Kramer, R. Benton, 1979; La scelta di Sophie, A. J. Pakula, 1982; The Iron Lady, P. Lloyd, 2011), Jonah Hill (L’arte di vincere, B. Miller, 2011; The Wolf of Wall Street, M. Scorsese, 2013), Cate Blanchett (The Aviator, M. Scorsese, 2004; Blue Jasmine, W. Allen, 2013), Mark Rylance (Il ponte delle spie, S. Spielberg, 2015; Il processo ai Chicago 7, A. Sorkin, 2020) e Timothée Chalamet (Dune, D. Villeneuve, 2021). Il film, già incluso nei migliori 10 film dell’anno dalla National Board of Review, concorrerà ai Golden Globe 2022 in 4 categorie: miglior film commedia o musicale, migliore attrice (Jennifer Lawrence), miglior attore (Leonardo DiCaprio) e migliore sceneggiatura.

Trama di Don’t Look Up

Quale potrebbe essere la mossa migliore se due persone giungessero a conoscenza di una enorme cometa in rotta di collisione con la Terra? Questo è il dilemma che ossessiona il professore di astronomia Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) nel momento in cui comprendono la pericolosità di un possibile impatto. Spontaneamente avvisano le autorità competenti della loro scoperta, convinti dell’assoluta importanza di una pronta reazione, ma con notevole sorpresa capiscono ben presto che a nessuno interessa comprendere fino in fondo ciò che è ormai prossimo. Il problema diventa così la trasmissione del messaggio, che Randall e Kate ritengono di poter finalizzare iniziando un tour per gli Stati Uniti. Aiutati dal dottor Oglethorpe (Rob Morgan) riescono persino ad incontrare il Presidente Janie Orlean (Meryl Streep) e suo figlio, il capo di gabinetto Jason (Jonah Hill), senza però ottenere un reale attenzione. Scontenti e frustrati decidono quindi di apparire in The Daily Rip, un programma mattutino condotto da Brie (Cate Blanchett) e Jack (Tyler Perry), esprimendo con parole dirette ciò che potrebbe avvenire fra 6 mesi…

Recensione di Don’t Look Up

Guardando le sue ultime opere, non vi è dubbio che il regista e sceneggiatore statunitense Adam McKay provi soddisfazione a sfidare le convinzioni, svelando quei retroscena che, se analizzati, si tramutano persino in assurdità. La Grande Scommessa, lungometraggio diretto nel 2015 e classificabile come il precursore di Don’t Look Up, in fondo testimonia proprio tale logica, definendo l’alienato sistema che ha condotto, persino con preavviso, alla crisi finanziaria cominciata (si fa per dire) nel 2007. In quel caso, McKay comprovava, con un linguaggio stilistico chiaramente pop, la veridicità delle “dietrologie” espresse (e sfruttate) dai vari Michael Burry (Christian Bale), sottolineando non solo la fallibilità del sistema, ma anche la sua disumanizzazione e la mancata analisi da parte di chi doveva controllare. Degli elementi che, sotto alcuni aspetti, ritroviamo anche in uno dei film più attesi del 2021, quel Don’t Look Up che è (appunto) una scommessa, in parte per il tema, in parte per la “reunion” di un cast stellare.  Ma se del primo argomento tratteremo in seguito, si può subito affermare che Mckay riesce nel secondo obiettivo, definendo in modo adeguato le parti di ogni interprete. Ciò è certamente semplificato dalla caratterizzazione, volutamente eccessiva e quasi grottesca, dei principali personaggi; tuttavia è innegabile la sinergia espressa sullo schermo, specialmente nel quartetto composto da Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Jonah Hill e Meryl Streep. Il primo, in particolare, riesce a interpretare alla perfezione il dottor Mindy, rendendo il pubblico partecipe dei cambiamenti che inevitabilmente possono avvenire quando si diventa una star della tv. Da professore ansioso, quasi riverente nei confronti della dottoranda Kate Dibiasky, Randall Mindy assume sempre più potere all’interno del panorama televisivo statunitense, diventando paradossalmente servile riguardo ad un sistema che sta combattendo. I complimenti del pubblico, le interazioni sui social, la chimica con la presentatrice Brie Evantee, ammiccano e distolgono Mindy dal ruolo di astronomo, inserendolo in un “circo” in cui niente può considerarsi serio. È questo l’altro tema, ampiamente principale, del lungometraggio. Ovvero la rappresentazione, delle volte irriverente, altre meno, di una realtà che comunque ci caratterizza. Per farlo McKay opta per una strada non scontata, quella della commedia, che però, pur con delle possibili criticità, si rivela capace di differenziare, e quindi conferire personalità, alla sua opera. Riprendendo lo stile de La Grande Scommessa, con delle infiltrazioni che rimandano al cinema dei fratelli Coen, il cineasta statunitense, sempre riguardo ad un tema critico nei confronti della società, si discosta fortemente da drammi come Money Monster (J. Foster, 2016) e Disconnect (H. A. Rubin, 2012). Tuttavia, proprio con il film diretto da Jodie Foster, c’è una sostanziale connessione sul tema dell’egoismo sempre più permeante. Perché se in quel caso era il presentatore Lee Gates (George Clooney) a venire abbandonato dalla comunità, lo stesso (potentissimo) simbolismo viene implicato in Don’t Look Up, che però assume un livello ben superiore, inserendo un rischio collettivo, oltreché un interesse economico che è direttamente proporzionale al disinteresse sociale.

Del resto, viviamo una realtà in cui sembrano contare più le interazioni su Instagram rispetto al dialogo, inteso tra due persone che scambiano idee, opinioni, e che sì, magari potrebbero persino preoccuparsi per qualcosa che non dev’essere per forza divertente. Ciò che tentano di spiegare Mindy e Dibiasky al programma mattutino The Daily Rip. Uno show che è il condensato di tutti gli stereotipi che circolano riguardo all’ambiente tv, con notizie sopravvalutate e altre, spesso le più importanti, sottovalutate. Con sorrisi falsi ed esperti che diventano attori per l’occasione. Con sceneggiate, pur realistiche e opportune, trattate come segni di squilibrio. Tutto questo per recitare quella parte che cantavano i Queen, The Show Must Go On, anche se una cometa grande come l’Everest è in rotta di collisione con la Terra. Una situazione fortemente surreale, comunicata da McKay con arguzia, utilizzando personaggi caricaturali che conducono il film verso quella brillantezza che ha già contraddistinto altre sue opere. Perché delle volte è inutile complicarsi la vita. E perché delle volte è così e basta, come espresso da Kate Dibiasky a Yule (Timothée Chalamet). Non è detto che ai “piani alti” ci siano menti superiori. Non è detto che il piano B riguardi tutti. La nave non dovrebbe affondare, ma nel caso, l’umanità saprebbe ricalcare differenze sociali apparentemente abbandonate. Una logica alla base del Presidente Janie Orlean, più attenta ai sondaggi e ai personaggi (esilarante la foto con Steven Seagal) che all’imminente catastrofe, ma soprattutto al figlio Jason, perennemente in gioco con degli aggeggi pericolosissimi. E poi allo stereotipo vivente Ben Drask (Ron Perlman), l’eroe che “ci deve essere”, stravagante simbolo del contrasto generazionale. Senza dimenticare l’imprenditore (titolo da lui negato) Perer Isherwell (Mark Rylance), chiaro modello, in piena logica pessimista, di un ricco signore autoreferenziale a cui interessano soltanto i profitti; fortemente disumanizzato (più dei discussi alieni) dalla sua stessa tecnologia. La stessa che però dev’essere disperatamente utilizzata per tentare di far “correre” il messaggio, impiegando addirittura star dei social come la cantante Riley Bina (Ariana Grande, suo il singolo Just Look Up) e DJ Chello (Scott Mescudi), emblemi di quell’ormai continuo diversivo a cui la gente ambisce. Ma poi c’è proprio quest’ultima, ovvero la gente, la medesima che delle volte, fuorviata proprio dall’elaborato, complesso e talvolta alienato “sistema” moderno, può non credere all’evidenza. Fino a quando, finalmente, non alzerà lo sguardo, scoprendo quella ipnotizzante realtà destinata ad irrompere, e rovinosamente distruggere, la finzione che (s)popola la Terra.

Note positive

  • L’interpretazione corale del cast, con un plauso particolare a Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence.
  • La sceneggiatura di Adam McKay e Adam Sirota, capaci di utilizzare gli stereotipi evitando comunque la realizzazione di un’opera retorica.

Note negative

  • Nessuna da segnalare

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