Exil – Il pregiudizio mascherato dal razzismo (Trieste Film Festival)

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I contenuti dell'articolo:

Exil

Titolo originale: Exil
Anno:
 2020
Paese di produzione: 
Germania, Belgio, Kosovo
Genere:
 thriller sociale
Durata: 
121 minuti
Produzione: Komplizen Film, Frakas Productions, Ikonë Studio, WDR, ARTE, VOO, BeTV
Distribuzione: The Match Factory
Regista: 
Visar Morina
Sceneggiatura: 
Visar Morina
Fotografia:
Matteo Cocco
Montaggio: 
Laura Lauzemis, Hansjörg Weißbrich, Visar Morina
Colonna sonora: Benedikt Schiefer
Attori: Mišel Matičević, Sandra Hüller, Rainer Bock, Thomas Mraz, Flonja Kodheli

Trailer del film Exil

Trama di Exil

Xhafer è un inohio state jersey fsu football jersey ohio state jersey 49ers jersey ohio state jersey 49ers jersey custom made football jerseys 49ers jersey custom made football jerseys College Football Jerseys 49ers jersey Ohio State Team Jersey Iowa State Football Uniforms ohio state jersey ohio state jersey gegnere farmaceutico originario del Kosovo, che lavora e vive in Germania con la moglie Nora e i tre figli. Il ritrovamento di un topo appeso al cancello della sua villetta alimenta nel protagonista il sospetto che i suoi colleghi lo discriminino perché razzisti, in una successione di eventi simili che lo portano alla paranoia e alla follia. Lo spettatore sarà portato a chiedersi se sono davvero questi gli autori di tali gesti e, soprattutto, se sotto il velo del razzismo, che il protagonista molto spesso chiama, non si nasconda altro.

Recensione di Exil

L’esilio porta con sé l’idea di un allontanamento forzato, solitamente non voluto dal soggetto stesso, in un luogo lontano dalla propria patria; ne consegue una condizione di esclusione e di non appartenenza che è la stessa che vive Xhafer, lontano dal Kosovo.

Il regista e sceneggiatore del film Visar Morina, di origine kosovara e che da molti anni vive in Germania, ricorda le sue difficoltà nell’adattarsi a un paese diverso dal proprio, gli episodi di discriminazione e i pregiudizi nei confronti della sua patria, economicamente più debole. Tuttavia Exil non vuole raccontare l’esperienza personale del regista, a cui si ispira solo per il trasferimento, né tantomeno incentrarsi sul razzismo, affrontato invece in modo trasversale per parlare d’altro.

Xhafer se ne va in giro come Bill di Un giorno di ordinaria follia (Joel Schumacher, 1993), col volto sudato e un nervosismo manifesto, padrone del mondo e con l’intenzione di porre ordine e prendersi quello che è suo; nel protagonista del film di Schumacher il delirio è generato dalla separazione con la moglie e la figlia e la perdita del lavoro, mentre in Exil, il caos parte proprio da Xhafer che nutre un pregiudizio nei confronti dei colleghi tedeschi che considera tutti, in qualche modo, razzisti. L’ufficio in cui lavora è un ambiente asettico, con corridoi labirintici, dove non c’è spazio per gli oggetti personali e nel cui ascensore stanno tutti in silenzio; il protagonista ne è un perfetto abitante, dati il disinteresse e l’indifferenza nei confronti del collega che gli lavora davanti e l’arroganza con cui tratta la donna delle pulizie, sua connazionale, nonché amante occasionale.
Tale contesto grigio e anonimo è incorniciato dalla figura di Urs, collega che esclude e umilia Xhafer, cancellandolo dalla mailing list degli avvisi di riunione ed esponendo pubblicamente le inesattezze del suo operato; egli è – almeno inizialmente – l’incarnazione dell’antagonista, personaggio verso cui proviamo lo stesso rancore e il senso d’ingiustizia del protagonista e a cui facilmente additiamo gli episodi anonimi di matrice razzista di cui è vittima Xhafer.

Ben presto, però, ci si rende conto che quest’ultimo ha qualche colpa, che in realtà è un antieroe, con la sua mentalità ottusa e una vanità ridicola, come dice la moglie.

È infatti in casa, nel secondo spazio presentato in questo film, più personale e privato, che si rivela ancor di più la natura di Xhafer, il quale si lamenta dei suoi colleghi, spiegando le loro azioni solo con il razzismo, non pensando che dietro agli sguardi torvi e freddi ci possano essere altre motivazioni. Il rapporto con la moglie sembra incrinarsi ogni giorno di più, trascinato dall’autocommiserazione e anche da un certo maschilismo del marito che comincia a intimorirla con le sue paranoie e con gesti inconsueti; la discesa del protagonista è iniziata e lo spettatore è gradualmente meno empatico nei suoi confronti. Vi è un contrasto tra la perfezione architettonica e geometrica delle villette residenziali, e delle stanze dell’ufficio di Xhafer, e le crepe che si celano dietro questi luoghi, l’apparenza ingannevole di una facciata pulita che nasconde il delirio di onnipotenza di un uomo non apprezzato, non perché straniero ma perché non è poi così gentile.

Capire quest’ultimo punto significa ribaltare il punto di vista iniziale sul film, che sembrava parlare di una vittima del razzismo a lavoro e delle becere intimidazioni a base di topi morti; le seconde si verificano, ma gli autori non sono i suoi colleghi; anche il razzismo esiste, ma non in questo film. È con una rivelazione della moglie di Urs che scopriamo infatti che l’accanimento dell’uomo nei confronti di Xhafer derivava dall’invidia del primo, surclassato dal protagonista che, arrivato in Germania, aveva preso il suo ruolo lavorativo inconsapevolmente; lo spettatore è costretto allora a riavvolgere il nastro e a rendersi conto che Exil vuole parlare del divario economico, di una piccola lotta di classe, di un sistema a cui si è talmente avvezzi da non vederlo.


Il pregiudizio esiste ma non risiede nella questione razziale, bensì nell’arroganza di puntare il dito basandosi su un luogo comune, nell’incapacità di un uomo d’immedesimarsi nell’altro, nell’ansia di controllo del proprio territorio; se un atteggiamento razzista mina l’alterità, Xhafer non la considera neanche, troppo occupato a difendere la propria autorità (con la donna delle pulizie) e la propria virilità (con la moglie). Come accade solitamente per gli antieroi protagonisti, vi è una sorta di redenzione finale, quando Xhafer si accorge di quanto, nel profondo, sia stato discriminatorio verso alcune categorie e decide di andare al compleanno della suocera, ritenuta da lui insoddisfatta perché la figlia ha sposato un kosovaro. Il film si chiude con un lungo silenzio, durante il quale Xhafer è invitato ad aspettare prima di entrare nella sala: se ne sta dietro la tenda a calmare il respiro e a testa china nell’attesa, per la prima volta in balìa di una decisione altrui, simbolicamente rimesso al suo posto dopo tanto tempo.

Note positive

  • Ottima fotografia
  • La colonna sonora mantiene alta la tensione del film
  • Ritmo perfetto

Note positive

  • Nulla da rilevare
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