Funny Games (2007): spettacolo della violenza

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Funny Games

Titolo originale: Funny Games

Anno: 2007

Paese: USA, Gran Bretagna, Francia

Genere: Thriller

Produzione: Celluloid Dreams, Celluloid Nightmares, Dreamachine, Halcyon Pictures, Tartan Films, X Filme International

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 111 minuti

Regia: Michael Haneke

Sceneggiatura: Michael Haneke

Fotografia: Darius Khondji

Montaggio: Monika Willi

Musiche: Varie

Attori: Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Brady Corbet, Devon Gearhart, Boyd Gaines, Siobhan Fallon Hogan

Trailer italiano di Funny Games

Funny Games è un film diretto da Michael Haneke nel 2007, auto – remake dell’omonimo film del 1997, realizzato, appunto, dallo stesso Haneke in Austria. Ricalca perfettamente l’opera originale ma, a differenza della versione austriaca, è realizzato in lingua inglese con un cast di attori anglofoni, con l’obiettivo di arrivare a un pubblico più internazionale.

Michael Pitt in una scena di Funny Games

Trama di Funny Games

Ann, George e il loro piccolo figlio Georgie, sono diretti verso la loro seconda casa, dove trascorrono le vacanze estive. Arrivati a destinazione e salutati i loro cari amici, in una giornata apparentemente tranquilla si imbatteranno in due ragazzi. Questi dapprima appaiono gentili e affabili ma, improvvisamente, iniziano a comportarsi in modo sospetto e poi aggressivo, dando il via a un’esplosione di violenza nella casa della famiglia.

Recensione di Funny Games

Una famiglia borghese, sorridente e tranquilla, viaggia in macchina diretta verso la loro casa delle vacanze estive, ascoltando musica classica. A un tratto una musica extradiegetica irrompe in scena, un brano dalle sonorità metal, particolarmente aggressive e violente, risultando quasi fastidioso alla visione e all’ascolto dello spettatore. Questa invasione disturbante in campo è il perfetto preludio a quello che accadrà di lì a poco: l’invasione nella pace dell’intimità dell’inaspettato, del violento, dell’ingestibile, della profonda cattiveria dell’essere umano. Quello che offre il regista Micheal Haneke è un vero e proprio spettacolo della violenza, fatto di torture fisiche e psicologiche, provando a testare nuovamente, dopo l’omonima opera del 1997 rivolta a un pubblico europeo, la sopportazione e i limiti dello spettatore, spingendolo a riflettere rispetto alla sua posizione di voyeur a tratti compiaciuto, e perché no, anche condannando la sua complicità e il piacere che in lui può provocare la visione di tale violenza. Haneke critica con estrema freddezza, rigore formale e austerità (caratteristiche tipiche di questo straordinario e intransigente regista) la follia criminale dei due bei terribili giovani che infliggono quelle violenze atroci e umilianti, rendendo conscio lo spettatore del suo atto di guardare, ricordando a quest’ultimo la sua responsabilità e la consapevolezza che deve scaturire da quella visione. La violenza non deve essere semplicemente consumata, ma filtrata e giudicata dallo sguardo di ognuno.

Naomi Watts in una scena di Funny Games

Questi aspetti appena esposti sono continuamente messi in evidenza nel corso della narrazione, dalla regia e dalle battute dei carnefici, e dai molteplici sguardi in macchina che rivolge il personaggio di Michael Pitt, sfondando la quarta parete, conversando con lo spettatore, pronto a essere così sollecitato nel gioco a cui sta volontariamente partecipando. “Perchè non ci uccidete e basta?”, dice Ann, “Sottovaluta l’importanza dello spettacolo”, risponde uno dei due ragazzi; poco dopo viene ribadito nuovamente il concetto, “Dobbiamo divertire il nostro pubblico” viene detto da uno dei due. L’operazione che viene attuata si basa sul crollo della sospensione dell’incredulità, in cui il fruitore si trova consapevole del suo atto di guardare un’opera di finzione, ciò però non limita per nulla l’impatto che essa ha, la sua potenza e il suo messaggio, in una esposizione della violenza che non trova giustificazioni e, soprattutto, spiegazioni, e in una descrizione severa della profonda e completamente ingiustificata malvagità dell’essere umano. Un’operazione che si avvicina alle opere di David Cronenberg, più nella poetica (la violenza e l’influenza dei media sono delle tematiche care al regista canadese) che nello stile, e che cita Arancia Meccanica nella sua fredda rappresentazione e nei costumi indossati dai protagonisti di questo orrore; i personaggi di Michael Pitt e Brady Corbet ricordano infatti, con il loro abbigliamento bianco e modo di fare, i Drughi capitanati da Alex DeLarge nell’iconico film di Kubrick.

Michael Pitt in una scena di Funny Games

Interessante la riflessione che si può trarre dalla rappresentazione di questi ragazzi: giovani, dai visi ‘infantili’ e innocui, con quel fare gentile e inizialmente rassicurante, come a voler ricordare che la cattiveria si nasconde nei posti più insospettabili, persino dietro alla gentilezza e all’apparente innocenza giovanile. Ma la violenza conosce molteplici vie, sa infiltrarsi ovunque e in chiunque, nessuno è davvero insospettabile. E non esiste redenzione dinanzi a questo male, condannato a un ciclo infinito che non conosce interruzione; ciò viene sottolineato dal finale del film. L’essere umano è l’animale più violento e selvaggio che esista, capace di usare la sua intelligenza e metodicità per atti spregevoli, ed è proprio questo che ci distingue dagli altri esseri viventi: la possibilità che l’uomo si concede di usare e consumare la violenza, anche e solo, per puro gioco e divertimento.

Frame di Funny Games

Funny Games rappresenta perfettamente il cinema contemporaneo sia per la rappresentazione della violenza come mai si era vista prima, sia per l’operazione di remake fatta da Haneke, molto frequente negli ultimi decenni. Un film che è davvero un piccolo gioiello nella sua versione originale tedesca come anche nella versione anglofona, rappresentativa e profondamente riflessiva. Non proprio un gioco facile per gli stomaci deboli, ma Micheal Haneke ne vale sempre la pena.

Note positive

  • Ottima e originale sceneggiatura
  • Interpretazioni straordinarie
  • Regia perfettamente equilibrata

Note negative

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