Gli orsi non esistono (2022): gli ostacoli di un paese

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Titolo originale: Khers Nist

Anno: 2022

Paese: Iran

Genere: drammatico

Distribuzione: Academy Two

Durata: 107

Regia: Jafar Panahi

Sceneggiatura: Jafar Panahi

Fotografia: Amin Jafari

Montaggio: Amir Etminan

Attori: Jafar Panahi, Nase Nashemi, Bakhtiar Panjeei, Mina Kavani, Reza Heydari

Trama de Gli Orsi non esistono

Due storie d’amore parallele all’interno dell’Iran, tra superstizione e potere politico, in cui Jafar Panahi cercherà di risolvere attraverso l’uso della macchina da presa.

Recensione de Gli Orsi non esistono

Una sedia vuota in conferenza stampa e un flash mob sul red carpet. Così è stata la giornata a Venezia per la presentazione dell’ultimo film in concorso della Mostra del Cinema. Jafar Panahi doveva essere presente, ma è stato arrestato per aver manifestato contro il regime iraniano, ancora oggi coinvolto nelle proteste del proprio popolo per la morte di Masha Amani. Nonostante tutto la pellicola ha vinto il Premio Speciale della Giuria dell’edizione appena conclusa, portando con sé una testimonianza davvero forte della situazione in Iran.

Jafar Panahi non è nuovo alla produzione di pellicole girate in autonomia e cariche di critiche nei confronti del governo iraniano. Ciò che viene presentato in questa sua ultima fatica è frutto di un lavoro tipico del suo cinema clandestino, il quale si fa nettamente più politico e cerca di far luce su due eventi all’interno della nazione per estrarre un panorama sociopolitico dell’Iran. Il regista si trova in un villaggio al confine della Turchia e cerca di lavorare a distanza sulla storia di una coppia che vuole sfuggire dall’Iran tramite passaporti falsi, una situazione totalmente finta che si mischia nella realtà di tutti giorni e che lo stesso cineasta ha vissuto nell’ultimo decennio. Allo stesso si trova intrappolato in una situazione di stallo per via di una fotografia scattata per caso che potrebbe compromettere un matrimonio.

Nel primo caso si individua nel cineasta una scelta che sfocia nel metacinema, dove il suo assistente sta girando un film in cui una giovane coppia deve lasciare il paese per trasferirsi altrove tramite l’utilizzo di passaporti falsificati. Questo modus operandi dei due giovani attori mostra da un lato come il cittadino iraniano, oppresso dallo Stato, debba dunque negare se stesso per permettersi una vita differente. Zara si fa carico di questa rabbia e guarda verso la macchina da presa, si rifiuta di partire senza il suo compagno perché il suo amore è più grande della volontà di fuggire. Mischiando, dunque, realtà e finzione, Panahi esplora quali siano i limiti dovuti ai soprusi del governo nazionale. Questo “film nel film” si configura come un dubbio che riflette la situazione di tanti abitanti iraniani: rimango o scappo? Scelgo la via più semplice o si oppone resistenza?

Se la pellicola girata da remoto faceva da sottofondo, gli eventi che attanagliano il regista iraniano non sono da meno. Una foto compromettente mette a rischio la vita di una coppia prossima al matrimonio (fin dalla nascita) e apre discrepanze tra gli abitanti del villaggio, che non solo si diffidano tra loro, bensì iniziano a non avere fiducia anche nello stesso Panahi, il quale riflette continuamente su come riportare l’ordine in una comunità che si basa sulle proprie credenze e superstizioni. Pensa alla fuga, nega di aver scattato la foto, addirittura si sottopone ad un rito di giuramento pronto per essere ripreso e dare prova della sua innocenza, a dichiarare come se fosse il cinema la via di fuga, quello strumento che in un periodo come questo possa dare la verità a chi vive al di fuori dei confini iraniani. Ma la tensione sale e quando la paura si erge come una presenza viva, gli uomini diventano orsi, esattamente quegli orsi di cui il regista è stato avvertito di evitare salendo una strada del villaggio. I sentimenti come il vero amore e la libertà di decidere il proprio destino vengono dunque strozzati dalle millenarie tradizioni degli uomini, accecati dal fanatismo e l’isolamento. Ci sarà dunque una soluzione a tutto questo?

Ancora una volta Jafar Panahi costruisce attorno a sé una pellicola nella quale il cinema si fa verità. Non diviene come il neorealismo italiano, non intende raccontare la vita di un operaio stanco minuto per minuto. Il lavoro costruito dal cineasta si cosparge di denuncia verso quegli organi di potere che terrorizzano la propria gente ogni giorno, giungendo anche a parlare su cosa si possa fare per il proprio paese. Lo sa bene Panahi, che ha sempre trovato un modo per lottare tramite la Settima Arte, producendo sempre pellicole in ogni modo possibile.

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