Grazie ragazzi (2023): la vita irrompe nell’arte

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Grazie ragazzi locandina

Grazie ragazzi

Titolo: Grazie ragazzi

Anno: 2023

Nazione: Italia

Genere: commedia

Casa di produzione: Palomar, Wildside

Distribuzione: Vision Distribution

Durata: 117 min

Regia: Riccardo Milani

Sceneggiatura: Michele Astori, Riccardo Milani

Fotografia: Saverio Guarna

Montaggio: Patrizia Ceresani, Francesco Renda

Musiche: Davide Canori

Attori: Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Nicola Rignanese, Imma Piro, Gerard Koloneci, Liliana Bottone, Bogdan Iordachioiu, Fabrizio Bentivoglio

Trailer ufficiale del film Grazie Ragazzi

Grazie ragazzi è un film commedia diretto da Riccardo Milani, con Antonio Albanese e Sonia Bergamasco. Il regista romano – dopo l’apprezzata doppietta filmica di Come un gatto in tangenziale – torna sul grande schermo portando in scena un racconto di natura critico-sociale, dalle tinte agrodolci. Il lungometraggio, scritto dallo stesso Milani in collaborazione con Michele Astori, è un adattamento del francese Un triomphe di Emmanuel Courcol, premiato agli “European Film Awards” nel 2020. Quest’ultimo, a sua volta, è un rifacimento del documentario Les Prissonniers de Beckett (2005) sulla vera storia di Jan Jonson, attore svedese che aveva adattato Aspettando Godot assieme a cinque detenuti di un carcere di massima sicurezza.

Trama di Grazie ragazzi

Antonio (Antonio Albanese) è un attore fallito, che si guadagna da vivere doppiando film porno. Da tempo, ha chiuso nel cassetto il sogno della recitazione: l’unica cosa che lo faceva sentire vivo. Un giorno, però, un suo ex compagno di scena, Michele (Fabrizio Bentivoglio), gli offre, in qualche modo, l’occasione di rimettersi in gioco. In qualità d’insegnante, egli dovrà tenere sei ore di laboratorio teatrale a un gruppo di detenuti del carcere di Velletri. Nonostante le reticenze iniziali, Antonio accetta l’impiego, ritrovandosi a contatto con una classe tanto esigua quanto inaspettatamente talentuosa. Così, ecco il colpo di genio: mettere in scena con i suoi ragazzi il capolavoro del Teatro dell’Assurdo, Aspettando Godot di Samuel Beckett. Da qui, inizia un viaggio di apprendimento e scambio umano che apre le porte alla sorprendente drammaturgia della Vita.

Recensione di Grazie ragazzi

Milani ci ha abituato, ormai, al gusto del prodotto visivo dolceamaro. A quella sana commedia intelligente che, non rinunciando a brillanti note di comicità, riesce a raccontare storie di grande impatto emotivo e di chiara impronta sociale. Lo aveva fatto, di recente, con Come gatto in tangenziale, che, nel suo impasto goliardico e drammatico, porta in luce l’incontro-scontro tra differenti (inconciliabili?) ordini collettivi: la borghesia intellettuale dei “Think Thank”, rappresentata da Giovanni (Antonio Albanese) e la borgata “contaminata” di Bastogi, incarnata da Monica (Paola Cortellesi). Il regista, ora, ritorna a fare appello ai dettami della commedia sagace, per fare occhio di bue sul profilo degli ultimi, dietro la cui avventura personale, in fondo, non fa che nascondersi quella di tutti.

Dai casotti popolari e dai prati di lavanda, ci si sposta nelle mura di un carcere spoglio, la cui direzione è attribuita all’impostata Laura (Sonia Bergamasco). L’ambientazione si trasforma, l’interprete principale no. È ancora l’attore romano Albanese, infatti, a incarnare il prototipo d’individuo istituzionalizzato che non si è mai sporcato le mani, affondandole nella pasta della vita. A un tratto, però, l’occasione di rifarsi, arriva come un fulmine a ciel sereno. È lui che, nelle vesti di un doppiatore che si reinventa professore, fa la conoscenza di un bizzarro gruppo di detenuti, ai quali deve tenere un corso teatrale. Gli aspiranti attori – dei tipi superficialmente grotteschi e goffi – incarnano una diversificata galleria caratteriale con cui non si fa fatica a empatizzare: c’è Damiano (Andrea Lattanzi), il fighetto biondino balbuziente; Aziz (Giacomo Ferrara) l’immigrato più romano dei romani di sette generazioni; Mignolo (Giorgio Montanini), il “gigante buono” dalla libidine facile; Diego (Vinicio Marchioni), la new entry irruenta tutto muscoli e rispetto; e Radu omaccione armato di scopa e riflessivo silenzio.

Grazie ragazzi - Antonio in una scena del film
Grazie ragazzi – Antonio in una scena del film

Al primo incontro con Antonio, quasi tutti i detenuti, escluso Aziz, cercano di apparire per quello che non sono: dei bulletti avanzi di galera che tentano di distrarsi alla meglio da una squallida e opprimente routine. Eppure, dietro questo velo d’apparenza, c’è dell’altro. Sono «veri», come dice Antonio. E la verità che si portano dentro anima e corpo è qualcosa sui cui vale la pena scommettere. Qualcosa in cui credere, fino in fondo. Ma come tirarla fuori questa verità? Beh, che domanda! Ci pensa il teatro.

Ecco che, nella scrittura e regia di Milani, la recitazione è più che un meccanico mestiere in cui si imparano a memoria dialoghi e battute. Agli occhi dello spettatore che sa guardare, essa diventa un prezioso strumento tramite cui riscattare le sorti della propria esistenza. Il mezzo attraverso cui preservarsi dagli abissi della solitudine e dell’incomunicabilità. L’occasione più unica che rara di esprimere la propria natura senza filtri o inibizioni. L’opportunità d’imparare a fidarsi delle propria voce interiore, delle potenzialità nascoste. In altre parole, ciascuno dei ragazzi, educati all’impegno e alla perseveranza, tentano di apprendere l’arte più complessa che possa esistere: conoscere sé stessi. Così, spronati dai consigli e dalle frasi motivazionali del loro maestro, Mignolo, Diego, Aziz, Damiano e Radu, a suon di battute e monologhi, scavano nelle pieghe della loro vita, per portare alla luce un io fratturato da paura, sfiducia personale e quel lacerante «dubbio di non essere nessuno», per dirla con i Måneskin. E attraverso quale opera i personaggi possono rileggere la propria vita? Beh, naturalmente recitando Aspettando Godot di Samuel Beckett. Opera cardine del teatro dell’assurdo, in cui vengono stravolti i canoni della tradizione drammaturgica. Un pezzo di nudo teatro in cui chi vi fa parte non fa che intavolare discorsi futili, vivendo in un perenne e inconcluso stato di attesa. Come Estragone e Vladimiro, anche i nostri detenuti vivono una sorte simile. Rinchiusi nello spazio esiguo del carcere, tutti aspettano, con ansia e apprensione, qualcosa che, come il fantomatico Godot, alla fine non arriva mai: la libertà. E’ questo ciò a cui loro aspirano. Ecco che allora l’opera del celebre autore irlandese, diventa specchio vivo della loro dimensione esistenziale: quella di uomini imperfetti e fragili, vittime di una gabbia terrena, sempre alla ricerca di quell’oltre che possa saziare la sete dell’irraggiungibile.

I cinque detenuti, con Antonio, prima di andare in scena
I cinque detenuti, con Antonio, prima di andare in scena

Eppure, nelle versioni portate in scena dai ragazzi, in occasione del loro fortunato tour teatrale, Godot ci arriva sotto le luci del palcoscenico, suscitando lo stupore di tutti, compreso Antonio. La sua (grottesca) materializzazione ha una carica semantica profonda. Si tratta di un’apparizione che, inevitabilmente, sottende un messaggio rivoluzionario. La concreta opportunità di cambiare la storia, riscriverne le pagine, per aprire le porte a un finale diverso, in cui, seppur per poco, si ottiene ciò che si desidera: una felicità compiuta. Un finale in cui, dunque, non solo accade che l’invisibile personaggio beckettiano si mostri in carne e ossa, ma anche che il teatro smetta di essere pura finzione scenica per coincidere con la Vita. Un’esistenza caotica che, con il suo carico strabordante d’imprevisti e colpi di scena, va incontro a un infinito numero di possibilità. Così, tutta l’umanità – di cui i nostri protagonisti ne rappresentano la porzione più viva – attende, disperatamente, la sua di possibilità.

In conclusione

Milani, servendosi di un cast ben affiatato e del camaleontico Albanese, confezione una pellicola di profondo respiro, capace di tenere alta l’attenzione del pubblico, tra sequenze più colorite e vivaci, e momenti narrativi impregnati di lirismo. Al netto di una narrazione lineare, rimane la sensazione di essersi imbattuti in un racconto che ben ricorda il potere salvifico e catartico dell’arte. Un film che ci urla a gran voce quanto la finzione scenica, dal canto suo, sia sempre a servizio della realtà e di quell’umana materia che ne fa parte.

Note positive

  • Un cast ben amalgamato
  • Ritmo narrativo

Note negative

  • /
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