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Great Freedom
Titolo originale: Große Freiheit
Anno: 2021
Genere: Drammatico
Casa di produzione: FreibeuterFilm, Rohfilm, ORF Film/Fernseh-Abkommen
Distribuzione italiana: MUBI
Durata: 116′
Regia: Sebastian Meise
Sceneggiatura: Thomas Reider, Sebastian Meise
Fotografia: Crystel Fournier
Montaggio: Joana Scrinzi
Musiche: Peter Brötzmann, Nils Petter Molvaer
Attori: Franz Rogowski, Georg Friedrich, Anton von Lucke, Thomas Prenn
Film che ha ottenuto un notevole riscontro, sia da parte del pubblico che dalla critica: Rotten Tomatoes lo riporta con un gradimento che supera il 90 %; inoltre, ha vinto il Premio della Giuria nella categoria Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2021 ed è stato selezionato per rappresentare l’Austria ai Premi Oscar 2022 nella categoria Miglior film internazionale. In esclusiva italiana su MUBI dal 27 gennaio 2023.
Trama di Great Freedom
1945, 1957 e 1968: il racconto delle carcerazioni di Hans, a seguito del Paragrafo 175, la legge tedesca contro l’omosessualità e la sodomia. Durante questo suo percorso di vita, il protagonista incontra Viktor, incarcerato per omicidio, e con lui stringerà un forte legame che diventerà, volontariamente, indissolubile.
Recensione di Great Freedom
Non è una novità, per il cinema austro-tedesco, affrontare la tematica dell’omosessualità, lasciando negli annali anche lavori decisamente incisivi: oltre al genio di Rainer Werner Fassbinder, che ha affrontato – in generale – il tema della diversità , non si può non ricordare I turbamenti del giovane Törless di Volker Schlöndorff, dall’opera prima dello scrittore austriaco Robert Musil – romanzo di formazione pubblicato nel 1906 – piuttosto che Ai cessi in tassì, pellicola tedesca del 1980 del regista Frank Ripploh.
In alcune pellicole si fa riferimento al Paragrafo 175, legge contro l’omosessualità che vede probabilmente origine dalla Buggery Act 1533, voluta da Enrico VIII di Inghilterra: una delle prime leggi contro la sodomia promulgate in un paese germanico e da cui derivò anche il reato gross indecency per cui Oscar Wilde fu processato e condannato. Paragrafo 175 fu inasprita dal regime nazista e gli omosessuali mandati nei campi di concentramento si ritrovarono nella situazione paradossale, una volta liberati, di finire in cella per questa legge – ancora vigente.

Il lavoro di Sebastian Meise prende spunto da tutto ciò: il film è la storia di Hans Hoffmann dal 1945 al 1968, liberato dal campo di concentramento e più volte incarcerato perché omosessuale. Il racconto predilige l’intrecciarsi dei vari periodi per creare dei momenti di aspettativa che, in effetti, non vengono quasi mai delusi. Ci sono dei riferimenti, come quello legato alla Bibbia, che paiono non casuali, come volute sono alcune riprese non censurate dei rapporti sessuali – anche se rimangono entro un certo limite.
Il protagonista, ben interpretato da quel Franz Rogowski che alcuni ricorderanno quale il pianista tedesco dalle sei dita in Freaks Out di Gabriele Mainetti, vive queste prigionie fra l’amicizia particolare instaurata con l’omicida Viktor Kohl e gli amori del momento, vissuti nel carcere non senza difficoltà. Viktor è interpretato da Georg Friedrich, attore viennese occupato principalmente in produzioni germaniche – fra cui Narciso e Boccadoro di Stefan Ruzowitzky – che conferisce al personaggio uno spessore non indifferente. Se, inizialmente, ci sarà un primo momento di rifiuto verso “il pervertito”, in seguito l’uccisore ne diventerà amico. Un legame che nulla ha a che vedere con l’amore romantico ma che sfocia, sicuramente, in un forte legame di amicizia e complicità.
L’amore romantico è presente in due dei tre periodi rappresentati: nel 1957 è presente Oskar – ruolo ricoperto da Thomas Prenn, giovane attore sudtirolese, nella sua altera bellezza – che segnerà Hans, con la sua debolezza impercettibile ma letale; nel 1968 vediamo invece Leo – interpretato dal giovane Anton von Lucke, artista tedesco che è impossibile non notare anche in Frantz di François Ozon – colmo di una sensibilità che Hans decide di preservare, pagandone le conseguenze.

Un film tutto al maschile, con quattro protagonisti, portati sul grande schermo con forte intensità emotiva, senza eccessi, aiutati da una regia essenziale la quale privilegia il racconto non necessariamente narrato: il film è fatto soprattutto di silenzi, di azioni, di gesti che riescono a comunicare con lo spettatore in maniera efficace. Anche la musica è centellinata a momenti sostanziali, non risultando invadente: anche L’amour, l’amour, l’amour cantata da Marcel Mouloudji è un perfetto accompagnamento alla scena legata alla ripresa della libertà e della vita di Hans, che viene rappresentata in una dark room. Locale che è la massima espressione del lavoro di scenografia, la quale era già stata ben messa in risalto accentuando l’efficacia della claustrofobia delle celle in cui la storia si svolge. Inoltre, i costumi e il trucco sono ben dosati e solo all’apparenza semplici.
Meise ha delle idee ben precise e le porta fino in fondo, creando un lavoro apprezzabile e per nulla scontato. Magari il finale poteva essere rappresentato in altro modo, non tanto per ciò che raffigura quanto per la troncatura data dai titoli di coda – la quale avviene sempre in maniera didascalica, senza musica – ma ciò non distorce la linea registica.

In conclusione
Per nulla simile a Il bacio della Donna Ragno – altro film a tematica queer con una storia in carcere – e con qualche riferimento a Ai cessi in tassì – soprattutto nella parte iniziale – la pellicola risulta non scontata, esente da un facile sentimentalismo, diretta e, alcune volte, anche dura. Una rappresentazione dell’omosessualità a cui, in Italia, non siamo abituati, dove è d’uopo utilizzare una omonormatività rassicurante. Allo stesso tempo, il film non ha il coraggio delle pellicole francesi, ben rappresentate da Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie piuttosto che Théo et Hugo dans le même bateau di Olivier Ducastel e Jacques Martineau, dove si portano fino in fondo le forme tratteggiate.
A questo coraggio – anche se parziale, mitigato da alcuni velamenti – si unisce anche la volontà di portare alla luce una situazione storica difficile da accettare – quella inerente a una legge che solo nel 1969 venne commutata a “casi qualificati” e che venne abolita solo dopo la riunificazione tedesca nel 1994. Per tali ragioni, non si può non apprezzarne lo sforzo, sia produttivo oltre che realizzativo. Il risultato è decisamente più che buono.
Note positive
- Sceneggiatura ben scritta
- Interpreti efficaci
- Essenziale e diretto
Note negative
- Non adatto a tutto il pubblico