Il Labirinto Del Fauno (2006) – Poetico manifesto del genio di G. Del Toro

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Trailer italiano del film

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2006, il sesto lungometraggio di Guillermo Del Toro riscosse – e continua ancora oggi a riscuotere – un enorme successo fra pubblico e critica, arrivando ad aggiudicarsi tre Premi Oscar per Miglior Fotografia, Scenografia e Trucco.

Si tratta del secondo capitolo di quella che doveva essere una trilogia spirituale per Del Toro, ambientando fattispecie fantastiche nello scenario della sanguinosa Guerra Civile spagnola. Il primo capitolo – El espinazo del diablo del 2001 – lanciò definitivamente la carriera del regista messicano in campo internazionale, ma Il Labirinto del Fauno cementò la sua figura come uno degli autori cinematografici più geniali del nostro tempo (il terzo film, per il quale fu anche pronto un titolo di lancio, non vide mai la luce).

Il dark-fantasy è la dimora preferita di Del Toro (anche letteralmente, basterebbe dare un’occhiata alla spettacolare abitazione di Los Angeles) e, dopo aver portato sul grande schermo la sua personale reinterpretazione di due “mostri” del mondo fumettistico (Blade II del 2002, e Hellboy del 2004), i tempi furono maturi per un grande classico della letteratura. Pur non essendo un suo adattamento, non è difficile riscontrare diversi punti in comune fra la giovane Ofelia “deltoriana” e la protagonista di “Alice in Wonderland“, divisa fra sogno e realtà.

Tuttavia, occorre rimarcarlo, la pellicola presenta tutta l’anima personale del regista, con la sua genesi da riscontrare in un suo taccuino pregno di meravigliosi bozzetti composti nel corso degli anni. Talmente personale che, nonostante Hollywood premesse per un’atmosfera meno sinistra e la recitazione in lingua inglese al fine di rendere il film accessibile ad un pubblico più ampio, Del Toro si oppose dichiarando come il film non fosse stato concepito per il profitto, ma per la sua visione, rinunciando al suo intero stipendio da regista per assicurarsi che i requisiti del budget fossero rispettati.

Ivana Baquero nel ruolo della giovane Ofelia - Il labirinto del fauno
Ivana Baquero nel ruolo della giovane Ofelia – Il labirinto del fauno

Trama de Il Labirinto del Fauno

Tanto tempo fa, nel regno sotterraneo. Dove la bugia, il dolore, non hanno significato, viveva una principessa che sognava il mondo degli umani. Sognava il cielo azzurro, la brezza lieve e la lucentezza del sole. Un giorno, traendo in inganno i suoi guardiani, fuggì. Ma appena fuori, i raggi del sole la accecarono, cancellando così la sua memoria. La principessa dimenticò chi fosse e da dove provenisse. Il suo corpo patì il freddo, la malattia, il dolore, e dopo qualche anno morì. Nonostante tutto, il Re fu certo che l’anima della principessa avrebbe, un giorno, fatto ritorno, magari in un altro corpo, in un altro luogo, in un altro tempo. L’avrebbe aspettata, fino al suo ultimo respiro. Fino a che il mondo non avesse smesso di girare.
(Narratore)

Una fiaba degna di questo nome non può certo non incominciare con un “Once upon a time” e la magnetica voce di Tonino Accolla – narratore nel doppiaggio italiano – non fa sicuramente sconti per poter dare inizio ad un magico viaggio attraversando il ponte che separa fantasia e realtà.

Nel 1944, in una zona montuosa della Spagna logorata dalla Guerra Civile, si assiste alla caccia dei ribelli – che continuano a contrastare il nuovo regime franchista – da parte dello spietato capitano Vidal (Sergi Lòpez), il quale ha chiamato a sé la moglie Carmen (Ariadna Gil) affinché possa partorire in sua presenza. La stessa decide di portare sua figlia Ofelia (Ivana Baquero), nata dal precedente matrimonio con un sarto morto durante la guerra, e la premurosa governante Mercedes (Maribel Verdù).

Con la madre sofferente e con un violento patrigno, Ofelia si rifugia nel suo personale mondo dell’immaginazione, trovando conforto nei libri per poter evadere dalla realtà. Un mondo che però si rivelerà non essere solo una fantasia, ma un sogno lucido a occhi aperti. Una notte infatti, accompagnata da delle fate, Ofelia si addentrerà in un labirinto situato presso la sua nuova dimora, incontrandovi una misteriosa creatura dalle sembianze di un Fauno (Doug Jones) che le rivelerà la sua vera natura. Ofelia sembrerebbe infatti essere in realtà la reincarnazione di Moana – la principessa di un incantato mondo sotterraneo – e per poter tornare a casa la bambina dovrà superare le tre prove del Labirinto.

Ofelia incontra il Fauno
Ofelia incontra il Fauno

Recensione de Il Labirinto del Fauno

Fantasia usata come espediente per cercare di evadere dalla realtà, quando questa è troppo dolorosa e soffocante da sopportare. Tuttavia sfuggire del tutto è impossibile e il mondo reale permane, con la necessità qui di Del Toro nel raccontare gli orrori e il dramma della Guerra Civile, visti attraverso gli occhi innocenti di una bambina.

Attraverso lo specchio: fantasia e realtà

Lasciando abilmente aperto il dubbio – se le visioni di Ofelia siano solamente frutto della sua fantasia, o proprio la stessa si ritrovi immersa in un mondo effettivamente magico – il film di Del Toro si sviluppa con il perfetto equilibrio nel passaggio bidimensionale dal reale al fantasy, dove si contrappongono buio e luce, magia ed orrore, senza mai marcare del tutto la linea che separa i due mondi.

Ed è così che oltrepassando il portale magico (attraverso lo specchio), la pura innocenza di Ofelia si riflette nella brutalità del comandante Vidal nel torturare – anche con un gusto sadico non del tutto velato – i ribelli che riesce a scovare. Due personaggi talmente distanti, eppure accomunati dal voler credere al proprio mondo che hanno e stanno contribuendo a creare. Vidal crede ciecamente nella dittatura di Franco: non combatte i rivoltosi perché costretto a farlo da ordini superiori, ma perché nella sua retta e tormentata visione del mondo crede che questo sia necessario e l’unico modo possibile. Allo stesso modo Ofelia, seppur con qualche titubanza iniziale, crede alla sua natura svelata dal Fauno e con una certa determinazione cerca di portare a termine le prove del labirinto. Ha bisogno di aggrapparsi a quelle parole, a quel mondo, per riuscire a tornare principessa e poter fuggire dall’oppressione di dolore creata dal patrigno.

Un finale poi spietato e sfruttato con maestria da Del Toro, riuscendo ad apparire agrodolce nel lasciare allo spettatore la libertà di scegliere – come per i due protagonisti – a quale versione della storia, a quale mondo, credere. Un intento, per tematiche e impatto emotivo, che il regista messicano replicherà con successo anche nel 2017 con lo stupefacente La forma dell’acqua, riuscendo ancora a strappare qualche lacrima e lasciare impressa una visione magica e fuori da ogni tempo e luogo.

Il film si sviluppa su così tanti livelli, che durante la visione sembra cambiare forma.

(Stephanie Zachareck)

Il Labirinto del Fauno
Il Labirinto del Fauno

Manifesto estetico del genio di Del Toro

I tre Oscar tecnici arrivati per Miglior Fotografia, Scenografia e Miglior Trucco, rendono giustizia a un’opera monumentale dal punto di vista dell’impatto visivo, ammaliante nella sua messa in scena.

Per un uomo che ha più volte visto la morte in faccia, rappresentare nelle sue opere il vero aspetto della paura risulta dolorosamente più semplice e con essa, anche il modo per provare a contrastarla. Il Labirinto del Fauno mette in scena l’ennesimo dualismo anche nel saper colpire l’occhio di chi lo ammira. Del Toro e il direttore della fotografia G. Navarro, scelsero infatti di privilegiare la composizione delle immagini rispetto ai dialoghi, con la differenza tra il mondo umano e quello fantastico che viene espressa in particolare dall’uso della palette cromatica: da una parte tingendosi di blu, con i suoi toni cupi, orrorifici, macabri ed efferate sequenze sanguinolente; dall’altra invece cercando di sfumare con tonalità dorate, una luminosità calda ed accogliente con rari – ma importanti – momenti di gioia.

Riempiendo il suo taccuino di appunti e meravigliosi bozzetti circa i viaggi onirici effettuati durante la notte, il simbolismo è e rimane preponderante nel cinema del regista messicano. Si potrebbe menzionare l’albero in cui Ofelia dovrà addentrarsi durante la prima prova, il quale possiede una conformazione che ricorda sia le corna del Fauno, sia l’apparato genitale femminile, rimandando al concetto di fertilità e rinascita.
Il mostruoso Uomo Pallido è invece basato su una creatura della mitologia giapponese (che prende il suo nome proprio da “occhi sulle mani”), mentre una scena agghiacciante del film viene direttamente ripresa dal quadro di F. Goya “Saturno che divora i suoi figli”. La creatura rappresenterebbe infatti per Del Toro tutto il male istituzionale che si “nutre” degli indifesi – non risparmiando in più di una scena frecciate avvelenate alla combinazione tra la Chiesa cattolica ed il fascismo – non a caso sorvegliante di un ricco banchetto dal quale, se il malcapitato dovesse assaggiare qualcosa, finirebbe divorato dal mostro.

Nel cast, oltre ai già citati I. Baquero e la grandissima prova di S. Lòpez, impossibile non menzionare il camaleontico attore feticcio di Del Toro: il mimo statunitense Doug Jones…lui sì che è un personaggio appartenente alle fiabe. Oltre infatti a ricoprire gli svariati ruoli di Abe in Hellboy, del Dio anfibio ne La forma dell’acqua, e delle apparizioni spettrali in Crimson Peak, non bastava qui dare vita al misterioso personaggio del Fauno, ma serviva anche impersonare le terrificanti movenze dell’Uomo Pallido. Su tutti, un lavoro di trucco sui due personaggi a dir poco sbalorditivo, confermando per l’ennesima volta come una geniale artigianalità sarà sempre superiore alla migliore CGI.

E si dice che la principessa discese nel regno paterno e che lì regnò con giustizia e benevolenza per molti secoli, che fu amata dai suoi sudditi e che lasciò dietro di se delle piccole tracce del suo passaggio sulla terra, visibili solo agli occhi di chi sa guardare.
(Narratore)

L'Uomo Pallido interpretato da D. Jones
L’Uomo Pallido interpretato da D. Jones

Considerazioni Finali

Il capolavoro di Del Toro è manifesto della sua poetica filmografia, riuscendo a raccontare un’emozionante fiaba nera – a tratti dolcemente macabra, cogliendo l’atmosfera sensoriale di una notte tormentata e pericolosa al chiaro di luna – che imbriglia pregevoli invenzioni visive ed una spiccata tensione narrativa.
Crogiolandosi in una fantastica messa in scena che collide con la cruda realtà, ed attraverso la struggente ninna nanna composta da J. Navarrete alla colonna sonora, questa perla del dark-fantasy giunge alla sua degna conclusione in un finale dolceamaro al quale non si smette di pensare anche dopo aver terminato la visione.

Per me queste cose sono come una cipolla, man mano che scopri più strati, piangi ancora di più. Non ci sono vincitori nelle guerre, solo sangue e vinti.

(Guillermo Del Toro)

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