Il maestro e Margherita (2024). Dissenso, censura e potere nella Russia di ieri e di oggi

Recensione, trama e cast del film Il maestro e Margherita (2024), una lettura politica e visionaria del capolavoro di Bulgakov.

Condividi su
Il maestro e Margherita (2024) – Regia di Michail Lokšin – © Len Blavatnik, Russia 1 – Immagine concessa per uso editoriale da mariannagiorgi
Il maestro e Margherita (2024) – Regia di Michail Lokšin – © Len Blavatnik, Russia 1 – Immagine concessa per uso editoriale da mariannagiorgi

Trailer di “Il maestro e Margherita”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Michail Afanas’evič Bulgàkov, nato a Kiev nel 1891 e morto a Mosca nel 1940, è indubbiamente una delle figure più celebri della letteratura russa, avendo realizzato opere teatrali e romanzi che sono entrati di diritto nel canone letterario non solo russo, ma anche mondiale. I suoi scritti sono apprezzati in tutto il mondo da letterati, studiosi e lettori, che si sono soffermati su opere come I racconti di un giovane medico (1963), Cuore di cane (1925), Uova fatali (1925) e Morfina (1927), oltre al capolavoro assoluto Il maestro e Margherita — una delle pietre miliari della letteratura del Novecento.

Questo romanzo, scritto da Bulgàkov tra il 1928 e il 1940 (anno della sua morte), vide la luce sotto il regime dittatoriale di Stalin e incontrò numerose difficoltà editoriali. Il testo riuscì a essere pubblicato per la prima volta solo tra il 1966 e il 1967, in una versione ampiamente censurata dall’Unione Sovietica, che lo giudicò eccessivamente critico verso lo Stato comunista. Probabilmente fu grazie alla moglie Tat’jana Nikolaevna Lappa che il manoscritto integrale cominciò a circolare clandestinamente in Russia e in Europa. La prima edizione completa venne infine stampata ufficialmente a Francoforte nel 1969. Da quel momento, la fama di Bulgàkov crebbe esponenzialmente, e Il maestro e Margherita ottenne un successo editoriale straordinario, soprattutto in Russia, divenendo un’opera di riferimento assoluto, nonostante i suoi toni critici nei confronti del regime staliniano.

Il romanzo ha ispirato numerose trasposizioni cinematografiche, non molto fortunate, a partire da Pilatus (1970), film finlandese che adatta solo la parte biblica dell’opera, e dalla pellicola italo-iugoslava Il maestro e Margherita (1972) con Ugo Tognazzi. La prima versione cinematografica sovietica risale al 1986 con Fuete, seguita da due film — uno del 1994 diretto da Yuri Kara, l’altro del 1996 di Sergueï Desnitski — che tuttavia non vennero mai distribuiti, né nelle sale né in televisione, finendo per essere dimenticati o persino distrutti.

Nel 2005 fu prodotta la miniserie Master i Margarita diretta da Vladimir Bortko, che non riscosse grande successo in Russia. Diversa invece la sorte della trasposizione cinematografica uscita nel 2024, diretta da Michael Lockshin, regista russo nato negli Stati Uniti nel 1981 e laureato in psicologia presso l’Università statale di Mosca. Lockshin — figlio dello scienziato Arnold Lockshin, rifugiato politico in URSS — ha criticato pubblicamente l’operato di Putin e la guerra in Ucraina, e dal 2021 vive a Los Angeles. Ha esordito alla regia nel 2020 con il lungometraggio russo Pattini d’argento.

Inizialmente Michael Lockshin non era stato scelto come regista e sceneggiatore del progetto. Quando la produzione è partita nel 2018, dopo che nel 2017 la società russa Mars Media aveva acquistato i diritti del romanzo dagli eredi dello scrittore, venne nominato Nikolai Lebedev alla regia e alla sceneggiatura del lungometraggio. La sceneggiatura fu completata nello stesso anno, ma l’arrivo della pandemia rallentò e modificò radicalmente i piani produttivi. Proprio in quel periodo Lebedev abbandonò il progetto per dedicarsi al film Norimberga; fu così che Michael Lockshin subentrò come nuovo regista, riscrivendo completamente la sceneggiatura.

Le riprese iniziarono nel luglio del 2021, con set tra Mosca, San Pietroburgo e Malta, mentre la distribuzione internazionale era inizialmente prevista sotto l’etichetta Universal Pictures. Tuttavia, l’invasione russa dell’Ucraina cambiò radicalmente i piani: il film, ancora in fase di post-produzione, venne bloccato quando il regista — apertamente critico nei confronti dell’operato di Putin in Ucraina — stava ultimando il montaggio a Los Angeles, città in cui attualmente risiede.

Stavo appena iniziando a montare il film quando la Russia ha invaso l’Ucraina e tutto è cambiato. La Universal Pictures si è ritirata dalla Russia. Ho fatto dichiarazioni contro la guerra, come farebbe qualsiasi essere umano normale. A quel punto il film è entrato in un limbo per un anno. Nel 2022 non sapevamo nemmeno se avremmo potuto completarlo. La post-produzione si fermò, ed è stato solo nel 2023 che, con un budget più ridotto, il progetto è stato riconfigurato. Alla fine sono riuscito a finirlo. Il produttore stesso non era sicuro che sarei rimasto alla guida. Inizialmente avevamo libertà artistica, ma molti temi trattati sono diventati tabù in Russia dopo l’invasione all’Ucraina. Nonostante ciò, grazie alla presenza di attori europei, il film ha ottenuto una distribuzione in Russia. Il mio nome non appariva né sui poster, né alla première: non è stato nemmeno menzionato. – Dichiarazione del regista

Nonostante le molteplici difficoltà, la pellicola ha avuto la sua prima il 25 gennaio 2024, con distribuzione in Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Uzbekistan, ottenendo un ottimo riscontro sia di critica che di pubblico. Il film ha collezionato 14 premi e 9 candidature, tra cui il Premio Cyber Fest 2024 per il Miglior Film Russo dell’Anno e ben sette riconoscimenti ai Premi Nika (l’equivalente russo dei David di Donatello), vincendo in tutte le principali categorie — esclusa la regia, esclusa probabilmente per motivi politici: miglior film, miglior attore, miglior attrice, miglior fotografia, miglior production designer, migliori costumi e miglior tecnico del suono.In Italia il lungometraggio è distribuito nelle sale a partire dal 19 giugno 2025, grazie a Be Water Film, in un contesto storico in cui la cinematografia russa fatica enormemente a trovare spazi di distribuzione nel mondo occidentale e democratico. Un’operazione culturale che, proprio per questo, assume un peso simbolico ancora maggiore. Anche se la sensazione che distribuire all’estero questa pellicola, alquanto critica verso la Russia e lo Stato Russo, abbia reso più facile la distribuzione internazionale di questo lungometraggio.

Trama di “Il maestro e Margherita”

Nella Mosca grigia e opprimente degli anni ’30, un giovane drammaturgo finisce al centro di uno scandalo: la sua opera teatrale su Ponzio Pilato, a pochi giorni dalla prima, viene bloccata e censurata, accusata di sacrilegio, dissenso ideologico e critica aperta allo Stato sovietico ateo. L’opera viene bandita, e lo scrittore con essa: gli viene impedito di partecipare agli eventi letterari e viene progressivamente emarginato.

Isolato, in piena crisi esistenziale, e privo di mezzi economici, il drammaturgo s’imbatte nella bella e misteriosa Margherita, donna benestante dallo sguardo malinconico. Tra i due nasce un’intensa relazione sentimentale e romantica: un amore clandestino e travolgente che offre all’uomo rifugio dal male del mondo. Margherita, donna sposata, affascinata e partecipe, diventa la sua musa, leggendo le sue pagine e ribattezzandolo con il nome di “Maestro”.

Guidato dalla passione e dalla conoscenza di un enigmatico uomo tedesco di nome Woland, il Maestro comincia a scrivere un romanzo il cui centro è una Mosca trasfigurata, divenuta teatro dell’apparizione di un carismatico e inquietante straniero — incarnazione del Diavolo — accompagnato da creature grottesche e surreali.

Il romanzo si intreccia inevitabilmente con la vita dell’autore: diventa riflesso e denuncia di una realtà oppressiva e censoria, facendo riferimento in modo implicito ma inequivocabile alle scomparse e ai processi subiti da molti letterati e artisti dell’epoca staliniana. Quest’opera, testimone del dissenso e della verità, si trasforma per il Maestro in una minaccia concreta, un pericolo mortale.

Recensione di “Il maestro e Margherita”

La Russia è spesso definita, soprattutto in ambienti occidentali e in ambito NATO, come uno Stato autoritario, in cui vige un forte sistema di censura politica e culturale volto a impedire la diffusione di idee che possano incrinare l’unità del pensiero pubblico o fomentare dissenso nei confronti del governo di Vladimir Putin. Se accettiamo questa prospettiva — quella condivisa dal mondo democratico occidentale — risulta sorprendente che il Ministero della Cultura russo abbia finanziato la trasposizione cinematografica del romanzo Il maestro e Margherita di Michail Bulgàkov: un’opera iconica e centrale per la cultura russa, ma anche profondamente carica di significati simbolici e critici nei confronti dell’URSS staliniana.

L’epicentro drammaturgico del romanzo è infatti una forte critica politica, che si sviluppa attraverso allegorie potenti sul potere, sull’ideologia e sulla censura. Portare sul grande schermo una narrazione di questo tipo — e farlo con fondi pubblici russi — implica inevitabilmente un rischio per uno stato che dovrebbe essere autoritario: quello di favorire la diffusione, sia pure tra le righe, di un messaggio ideologicamente scomodo nel contesto politico attuale. Ed è ciò che in effetti accade. Lo sceneggiatore e regista non si limita a una trasposizione fedele del romanzo, ma imbastisce una lettura fortemente autoriale, intensificando la componente critica rivolta non solo all’oppressione culturale staliniana, ma anche al clima politico contemporaneo. Il racconto si trasforma così in un dispositivo che interroga apertamente il presente, denunciando i meccanismi del potere autoritario e l’uso sistemico della censura, non solo nel passato sovietico ma anche nell’era putiniana.

Nel contesto post-invasione dell’Ucraina, questo gesto cinematografico assume una valenza ancor più pungente: Il maestro e Margherita, nella versione firmata da Michael Lockshin, diventa per molti detrattori del regime una pellicola che mette a nudo le contraddizioni del potere russo, riflettendo con forza tanto sul passato quanto sull’oggi. Una narrazione scomoda, che sorprende proprio per essere stata finanziata dallo stesso apparato che, almeno formalmente, pretende di controllare ciò che raccontare si può — e ciò che invece deve tacere. Ovviamente gli eventi successivi al 2018 — anno in cui il progetto ha avviato la sua fase produttiva — hanno conferito all’intero materiale narrativo una nuova lettura, più cupa e marcatamente critica, che ne ha intensificato l’impatto ideologico. Alla luce del contesto geopolitico odierno, l’opera assume così una dimensione ancora più potente e scomoda, elevandosi a veicolo di denuncia nei confronti delle attuali ideologie politiche putiniane, almeno secondo il pensiero di certa critica (anche russa) e secondo il pensiero del cineasta, che vive tra Los Angeles e Mosca. 

Il Maestro e Margherita è un romanzo circondato da misticismo e superstizione. È stato a lungo considerato “maledetto” per una eventuale trasposizione cinematografica . Inizialmente, ero scettico riguardo a questa cosiddetta maledizione, ma dopo la bizzarra sequenza di eventi che ha circondato la produzione e l’uscita del film, in seguito anche all’invasione su larga scala della Russia in Ucraina nel 2022, la mia prospettiva è cambiata. I temi del romanzo — censura, potere , lotta tra paura e libertà — improvvisamente sembravano profetici. Le scene del film, che pensavamo rappresentassero gli anni ’30, erano diventate realtà viventi, e viceversa. La vita reale si era in qualche modo fusa con il film, e vedere questo evolversi nel 2024 è stato un’esperienza surreale. Vedevamo il film come un’occasione per interrogarsi su dove potessero condurre certi processi — sia in termini di censura che di libertà artistica — ma non avremmo mai potuto immaginare che, nel giro di appena due o tre anni dalla stesura della sceneggiatura, quelle riflessioni sarebbero risultate così urgenti e autoriali. Erano già temi presenti nel romanzo originale, certo. Ma noi li abbiamo portati in primo piano in modo più evidente, quasi involontariamente profetico — e non potevamo aspettarci che sarebbero diventati così profondamente attuali. – Dichiarazione del regista

La trasposizione cinematografica di Lockshin possiede, come del resto il romanzo, una struttura narrativa complessa e stratificata, articolata in più linee che si intrecciano per restituire alla drammaturgia il senso profondo e polifonico dell’opera letteraria. Come accaduto in molte precedenti trasposizioni del romanzo del 1940, anche il film del 2024 privilegia la narrazione “moscovita”, sacrificando in parte quella biblica, incentrata sull’incontro tra Pilato e Yeshua Ha-Notsri (ovvero Gesù). Nonostante ciò il film riesce a trovare un equilibrio drammaturgico interessante tra i due archi narrativi grazie all’introduzione di una terza linea autonoma: quella dedicata al drammaturgo censurato, colui che — come Pilato nel romanzo di finzione — si confronta e si scontra con il potere e ne viene schiacciato, colui che incontra Woland, conosce la bella Margherita, ne diventa l’amante e, spinto da questa passione e dalla persecuzione ideologica, inizia a scrivere Il maestro e Margherita. In questo processo creativo di lotta al potere del drammaturgo, le sue ferite interiori, i pensieri e la sua vita stessa — tanto sentimentale quanto poetica — si fondono in un racconto di critica aspra al potere, immerso in un’estetica grottesca, fantastica, talvolta persino horror.

Proprio attraverso questa terza dimensione narrativa, che si intreccia inesorabilmente alle linee drammaturgiche e visive del romanzo, pur restando in parte autonoma, il film rende più esplicita — talvolta con toni al limite del ridondante — la tematica della censura: la lotta degli scrittori per la libertà creativa, per il diritto di parlare dei problemi sociali e politici del proprio tempo. La vicenda del protagonista è profondamente legata a questa riflessione: prima attraverso Pilato, poi attraverso il suo stesso romanzo, è il tema del dissenso a determinare il suo destino. L’uomo finisce rinchiuso in manicomio per aver scritto e pensato contro l’ideologia atea e repressiva dello Stato sovietico — come accade a molti altri scrittori e poeti che incontra all’interno della struttura psichiatrica, anch’essi “colpevoli” di aver manifestato, anche solo con un gesto o una parola, una minima forma di opposizione.

Questa trama originale, creata interamente da parte dello sceneggiatore ed esplicitamente ispirata al cuore invettivo del romanzo, evidenzia con forza la strategia repressiva del potere sovietico e russo, che elimina sistematicamente ogni voce dissonante per mantenere il controllo sull’opinione pubblica. Tale riflessione viene poi proseguita in modo più metaforico nella parte “di finzione” del lungometraggio, là dove realtà e immaginazione finiscono per fondersi, soprattutto nella mente del drammaturgo, isolato tra allucinazioni, elettroshock e memoria, dove la narrazione del romanzo “Il maestro e Margherita” e la sua vita si mescolano insieme, distorcendo completamente la realtà dei fatti e degli eventi. 

Il lavoro di Michael Lockshin si distingue per la sua capacità di trasformare un’opera letteraria complessa in un film che non solo ne rispetta le tematiche fondamentali, ma le rilancia in chiave contemporanea, rendendole vive e urgenti. La sua regia non si limita a trasporre il testo di Bulgakov: lo attraversa, lo rilegge, lo frammenta, attraverso un montaggio alternato, per poi ricomporlo in una narrazione che parla direttamente al presente, senza mai tradirne lo spirito originario. Il cuore pulsante del film è, dunque, la riflessione sulla libertà di espressione e sulla censura, che Lockshin affronta non come semplice rievocazione storica, ma come questione ancora aperta. La Mosca staliniana degli anni ’30, con la sua atmosfera plumbea e repressiva, diventa lo specchio deformante di ogni regime che teme la parola, l’immaginazione, il dissenso. In questo contesto, la figura dello scrittore perseguitato assume un valore simbolico: è l’artista che resiste, che continua a scrivere anche quando tutto lo spinge al silenzio.

Lockshin costruisce così un racconto che trascende il tempo e lo spazio, parlando dell’urgenza di raccontare, della vulnerabilità della verità e del prezzo che si paga per difenderla. La scelta di non aderire rigidamente alla struttura del romanzo, con l’invenzione della linea narrativa “reale” del drammaturgo che scrive il romanzo, permette al film di respirare, di aprirsi a nuove interpretazioni, di diventare un’opera autonoma e profondamente politica. Non a caso, la pellicola è stata oggetto di attacchi da parte della propaganda filogovernativa russa, che l’ha accusata di essere anti-regime e ideologicamente sovversiva.

Non sono stato io a decidere inizialmente di adattare Il Maestro e Margherita. I produttori mi hanno contattato dopo il mio primo film, avendo già tentato di sviluppare il progetto per anni con un altro team . Quella versione, un adattamento fedele del romanzo, alla fine è andata in frantumi. Sapevo che se avessi preso in mano questo progetto, non poteva essere una semplice trasposizione — doveva essere un film in grado di reggersi da solo. Doveva essere un film che risuonasse per il pubblico moderno di tutto il mondo, compresi quelli che non avevano letto il libro, pur mantenendo lo spirito dell’opera di Bulgakov. Il nostro approccio è stato quello di creare un film all’interno del mondo del romanzo, piuttosto che una semplice trasposizione. La struttura complessa e modernista del libro — con più linee temporali, allegorie — significava che dovevamo rielaborare la struttura e aggiungere elementi del retroscena, in particolare per il Maestro, per dare forma a un film centrato sul protagonista che rispettasse la struttura in tre atti. Io e il mio co – sceneggiatore, Roman Kantor, abbiamo passato mesi a ri leggere il romanzo e a consultare esperti di Bulgakov, creando un concetto che potesse funzionare cinematograficamente, pur rispettando la visione dell’autore. – Dichiarazione del regista

La forza visiva e concettuale del film si fonda su una costruzione narrativa ambiziosa e rigorosa, capace di restituire la complessità del materiale letterario attraverso una messa in scena stratificata e simbolica. Però, questa solida architettura drammaturgica sembra lasciare in secondo piano la dimensione più intima e pulsante del racconto: quella dell’amore.

Il legame tra il protagonista e Margherita nel film appare trattenuto, quasi sfocato. Lockshin sembra privilegiare la tensione ideologica e la riflessione sul potere, sacrificando in parte la carica passionale che avrebbe potuto offrire maggiore profondità e respiro al racconto. La relazione tra i due amanti, pur sostenuta da una buona prova attoriale di Giulia Snigir, manca di quella forza viscerale capace di scuotere lo spettatore, di coinvolgerlo nel loro tormento e nella loro eventuale salvezza. La storia d’amore, soprattutto perchè ampliata nel lungometraggio, avrebbe potuto essere intensa, appassionante, in grado di incendiare l’opera con un fuoco interno — ma questo non accade mai pienamente. Margherita è, senza ombra di dubbio, un personaggio interessante, affascinante ma la sceneggiatura e la regia non riescono a far esplodere quella passione che sarebbe stata necessaria per rendere credibile e coinvolgente il legame amoroso con il protagonista.

Così è come se l’amore, invece di essere il motore redentivo che attraversa e riscatta l’oscurità del mondo come avviene nel romanzo, restasse confinato a un ruolo accessorio: funzionale, ma non trasformativo. In questo senso, la pellicola si espone a un rischio tangibile — quello di apparire più come un’opera di denuncia che come un racconto di redenzione. Eppure, proprio in quella tensione tra l’ideale e il vissuto, tra la parola e il sentimento, si gioca la sfida più profonda dell’opera originaria.

In conclusione

Il maestro e Margherita di Michael Lockshin è un’opera complessa e ambiziosa, che merita la visione non solo per la sua forza cinematografica, ma anche per la sua attualità ideologica. Rivolta a uno spettatore maturo e consapevole, amante del cinema d’autore e della letteratura classica, è un film che solleva interrogativi urgenti sulla libertà espressiva in contesti repressivi. Nonostante alcune mancanze sul piano emotivo e romantico, resta una pellicola coraggiosa, stratificata e capace di generare un dibattito stimolante.

Note positive

  • Riflessione politica contemporanea sulla censura e la repressione
  • Ottima trasposizione di un’opera letteraria complessa
  • Estetica visiva suggestiva e costruzione simbolica coerente

Note negative

  • Tensione romantica poco sviluppata e distante emotivamente
  • Alcuni passaggi troppo espliciti nel messaggio politico

L’occhio del cineasta è un progetto libero e indipendente: nessuno ci impone cosa scrivere o come farlo, ma sono i singoli recensori a scegliere cosa e come trattarlo. Crediamo in una critica cinematografica sincera, appassionata e approfondita, lontana da logiche commerciali. Se apprezzi il nostro modo di raccontare il Cinema, aiutaci a far crescere questo spazio: con una piccola donazione mensile od occasionale, in questo modo puoi entrare a far parte della nostra comunità di sostenitori e contribuire concretamente alla qualità dei contenuti che trovi sul sito e sui nostri canali. Sostienici e diventa anche tu parte de L’occhio del cineasta!

Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Intepretazione
Emozione
SUMMARY
3.8
Condividi su
Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.