Il pistolero (1976): l’omaggio-addio ad un mito del cinema

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Il pistolero (1976)_John Wayne_Lauren Bacall_Ron Howard

Il pistolero

Titolo originale: The Shootist

Anno: 1976

PaeseStati Uniti d’America

Genere: western

Produzione: M. J. Frankovich, William Self

Distribuzione: Paramount Pictures, Dino De Laurentiis Company

Durata: 100 min.

Regia: Don Siegel

Sceneggiatura: Miles Hood Swarthout, Scott Hale

Fotografia: Bruce Surtees

MontaggioDouglas Stewart

MusicheElmer Bernstein

Attori: John Wayne, Lauren Bacall, Ron Howard, James Stewart, Richard Boone, Hugh O’Brian, Bill McKinney, Harry Morgan, John Carradine

Trailer de Il pistolero

Diretto da Don Siegel (Ispettore Callaghan: il caso ‘Scorpio’ è tuo!!, 1971; Fuga da Alcatraz, 1979), Il pistolero è tratto dal romanzo scritto da Glendon Swarthout (1975). Il film è sceneggiato dal figlio di Glendon Miles Hood Swarthout e da Scott Hale, mentre il candidato all’Oscar Bruce Surtees (per Lenny, B. Fosse, 1974) cura la direzione della fotografia. Musicato dal vincitore dell’Academy Awards Elmer Bernstein (per Millie, G. R. Hill, 1967), il lungometraggio è montato da un altro premio Oscar: Douglas Stewart (per Uomini veri, P. Kaufman, 1983). Nel cast, di assoluto livello, figurano John Wayne (Oscar 1970 per Il Grinta, H. Hathaway, 1969), Lauren Bacall (candidata all’Oscar 1997, L’amore ha due facce, B. Streisand, 1997; Honorary Award nel 2010), James Stewart (Oscar 1941 per Scandalo a Filadelfia, G. Cukor, 1940) e Ron Howard (due Oscar nel 2002 per A Beautiful Mind, R. Howard, 2001). Il pistolero ha ricevuto una nomination all’Academy Awards 1977 nella categoria “miglior sceneggiatura”. Lauren Bacall, che aveva già collaborato con Wayne in Oceano rosso (W.A. Wellman, 1955), invece ottiene, per la sua interpretazione, la candidatura ai BAFTA Awards, mentre Ron Howard riceve la nomination ai Golden Globes. Tra le curiosità la presenza nel cast di James Stewart, già vicino a Wayne in L’uomo che uccise Liberty Valance (J. Ford, 1962) e La conquista del West (J. Ford, H. Hathaway, G. Marshall, 1962).

Trama de Il pistolero

1901. Al leggendario pistolero John Bernard Brooks (John Wayne) sembra essere rimasta solo la fama quando fa ritorno a Carson City. Deciso a giungere alla resa dei conti con tre dei suoi più temibili nemici, per prepararsi al conflitto prima si reca dal dottor Hostetler (James Stewart), suo grande amico, e poi trova ospitalità nella pensione gestita della signora Rogers (Lauren Bacall) insieme a suo figlio Gillorm (Ron Howard). Il ragazzo, in particolare, a differenza di sua madre e dello sceriffo Thibido (Harry Morgan), instaura con Brooks un buon rapporto fondato sulla fama del pistolero, in grado di donare a John una nuova prospettiva della vita…

Recensione de Il pistolero

Scrivere una recensione del film diretto da Don Siegel nel 1976 non può certamente esimersi dal considerare l’ultima interpretazione della lunghissima carriera di John Wayne, attore-mito del cinema western che fin dalla sua prima apparizione accreditata (in Il grande sentiero, R. Walsh, 1930) ha saputo rappresentare la perfetta idealizzazione di un’icona americana come il cowboy (un percorso ben ricordato attraverso l’inserimento di sequenze provenienti da precedenti lungometraggi). Stoico, temerario ma anche riflessivo e sempre fiero e rispettoso nei confronti di se stesso, Wayne è riuscito a definire i propri personaggi sulla base (e le richieste) del grande western statunitense. Quello di John Ford, per esempio, in cui appariva come il protagonista orgoglioso e autentico; come l’eroe che conferisce significato alla medesima parola, rappresentando, proprio grazie alle sue qualità, un genere cinematografico che ha saputo raggiungere la vetta e poi resistere, con la stessa fierezza dei propri simboli, al naturale declino espresso anche da un cineasta come Quentin Tarantino in C’era una volta… a Hollywood (2019).

In tal senso, i film di Sergio Leone, da Per un pugno di dollari (1964) a Il buono, il brutto, il cattivo (1966), hanno segnato un inevitabile cambio di rotta, con personaggi caricaturizzati (utilizzando ad esempio l’uso insistito dello zoom) e un’inesistente differenza, nonostante il titolo dell’opera del ’66, tra “eroi” e “antagonisti”. Non c’è dubbio quindi, dato il successo delle pellicole leoniane, che l’influenza di tale stile abbia comportato la filiazione (o l’emarginazione?) e successivamente il decadimento del classico cinema western, con attori (tra cui lo stesso Wayne in Chisum, A. V. McLaglen, 1970) che hanno tentato una difficile conversione artistica. Eppure, proprio l’interpreta del celebre Rooster Cogburn (in Il Grinta, H. Hathaway, 1969, film che valse a Wayne l’Oscar), ha dimostrato un ritorno alle origini degno dei famosi film diretti da John Ford (su tutti Sentieri selvaggi del 1956) o da Howard Hawks (regista dell’innovativo Un dollaro di onore, 1959). Del resto, con Il pistolero e prima ancora con il più violento I cowboys (M. Rydell, 1972), Wayne lascia la sua solida testimonianza in un mondo (e una società) dilaniata dai conflitti. Erano gli anni Settanta, la guerra del Vietnam si era appena conclusa, e l’assoluto eroe di decine di film non era più in perfetta forma. I tempi d’oro di Hollywood stavano diventando solo nostalgici ricordi, ma nonostante ciò Siegel riesce a riunire icone di un’altra epoca come Lauren Bacall e James Stewart nel suo personale e poetico saluto a Wayne.

Perché Il pistolero, film comunque – e naturalmente – diverso dai primi interpretati dall’attore nato a Winterset nel 1907, riesce a condensare le qualità che lo hanno mitizzato, inserendo il personaggio di J.B. Brooks in un contesto capace di sottolineare proprio tali caratteristiche. L’anno, ad esempio, il 1901, definisce un momento di passaggio tra due generazioni, avvalorate da quell’automatizzazione (o progresso) ormai incalzante. Il veicolo a motore, uno dei primi, viene infatti guidato da Richard Boone (nel ruolo dell’antagonista Sweeney) manifestando il cupo pessimismo di Siegel (e non solo) nei confronti della nuova era. Una condizione evidenziata anche dallo stesso Wayne in una sequenza con Rick Lenz (Dobkins), costretto malamente a lasciare la proprietà della signora Rogers per voler scrivere una edulcorata e inverosimile biografia del pistolero. Oppure con il corrotto sceriffo Thibido (interpretato da Harry Morgan), e ancora con l’opportunista Serepta (Sheree North) interessata soltanto ai soldi di J.B. Brooks.

Dei caratteri che entrano in conflitto con la più comprensiva (almeno in un secondo momento) signora Rogers, con il dottor Hostetler, con la giovane incontrata su un tram trainato da cavalli poco prima della sparatoria finale, e soprattutto con il giovane Gillom, interpretato dal già famoso Ron Howard (nel 1974 aveva debuttato in Happy Days). Proprio con il ragazzo (modello quindi di una speranza futura), J.B Brook stabilisce una relazione quasi paterna, insegnandogli ciò che sa fare meglio senza avere timore nel mostrare il suo vero “io”, certamente meno leggendario di quello impresso nella mente di Gillom. Eppure, è con il ragazzo che il pistolero cerca d’intravedere la sua redenzione, chiaramente espressa nella sequenza finale impreziosita da fotografia e scenografia che ora potremmo definire quasi tarantiniane (con un rimanda a The Hateful Eight, Q. Tarantino, 2015). La stessa che definisce una speranza fortemente ambita da Wayne, mito americano doverosamente omaggiato da Don Siegel, capace di raffigurare con grazie stilistica una sceneggiatura che sancisce l’addio a un’icona assoluta del cinema.

Note positive

  • La grande (e ultima) interpretazione di John Wayne
  • Le interpretazioni di Lauren Bacall, James Stewart e Ron Howard
  • La regia di Don Siegel
  • La sceneggiatura, basata sul romanzo di Glendon Swarthout, di Miles Hood Swarthout e Scott Hale
  • La fotografia di Bruce Surtees
  • Le scenografie

Note negative

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