Intervista a Federico Gasca: per il suo corto Uroboro

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Che cos’è Uroboro

Realizzato in collaborazione con la casa di produzione Specterfilmcollective e alcune figure di spicco del mondo del web, Uroboro è un cortometraggio diretto da un giovane filmmaker, Federico Gasca, che ha già ottenuto svariati premi con i suoi short – film, art director e designer. La storia narrata è ambientata in una società nostrana degli anni 20, in cui vede come protagonista Giovanni, un pittore di 35 anni, affetto dal parkinson, intento nella creazione di un dipinto.  La storia va ad analizzare l’arte in senso lato concentrandoci sul momento in cui si sviluppa all’interno dell’artista un idea da trasporre su una tela bianca e la forza umana, che cercando di sconfiggere ogni muro, cercherà di compiere il proprio lavoro artistico

Diamo la parola al regista: Federico Gasca, Parlaci di te, chi sei e come è nata la passione per il cinema?

Mi chiamo Federico Gasca, ho 24 anni, e sono un filmmaker freelance.La mia prematura passione per la settima arte nasce inconsciamente circa 7 anni fa. La mia attrazione verso la videocamera, prima di avventurarmi nel sottobosco del cinema indipendente, avviene sul web. Ho cominciato, insieme ad altri ragazzi, a realizzato contenuti virali su Youtube in cui abbiamo riscontrato un successo importante (c.ca 70 mila followers). 

I prodotti che realizzavano erano artisticamente poveri ma la passione ed il divertimento che provavamo nel realizzarli faceva da benzina per una sorta di catarsi inconsapevole. A fronte di un infanzia non troppo stabile vedo ora, a distanza di anni, un periodo di catarsi. Prendere la videocamera tra le mani permetteva al tempo di fermarsi ed alla mia mente di allentarsi. Porterò con me quel periodo per il resto della mia vita e sarò sempre grato alle persone che ne hanno fatto parte: senza quegli anni, iniziati per gioco, forse ora non avrei raggiunto la maturazione e la consapevolezza che penso di possedere oggi. Questa mi permettere di realizzare quello che ora reputo essenziale: raccontare storie.

Da quel momento ho cominciato un percorso di studi dedicato alle arti dello spettacolo ed ancora oggi, continuo a studiare. Lavoro come filmmaker freelance per aziende e clienti privati e parallelamente porto avanti l’amore per la settima arte scrivendo e dirigendo cortometraggi. 

Ho creato un sodalizio artistico importante con Andrea Baglio (Famoso attore, regista e influencer) Fabrizio Valezano (Doppiatore professionista e attore) e Matteo Tibiletti (Drammaturgo, attore e sceneggiatore). Con loro ho avuto la fortuna di realizzare cortometraggi che hanno riscosso successo nel circuito festivaliero nostrano e oltreoceano con la nostra compagnia: La Girodivite Production. Con i nostri prodotti abbiamo avuto l’onore di vincere festival come il Los Angeles Cine Fest il Mobile Film festival di Parigi e tanti altri.

Andrea, Fabrizio e Matteo sono parte attiva del progetto UROBORO rispettivamente come: Produttore/Actor Coach, Produttore/Attore e Sceneggiatore.

Che cosa pensi del cinema di oggi?

Inutile specificare, da buon cinefilo, quanto sia stato fondamentale per me lo studio dei grandi maestri del cinema del passato. Se dovessi stilare una top 5 degli autori (contemporanei e non) che più maggiormente hanno influenzato la mia ideologia di cinema direi A.Tarkovskij, I.Bergman, Federico Fellini, Paul Thomas Anderson e David Lynch. Autori completamente diversi che possiedono però per me una poetica irraggiungibile. 

Come dicevo, avendo studiato i grandi autori del passato non posso che essere di parte rispetto al discorso: il grande cinema sta morendo. MA! Perché c’è una ma, da diverso tempo ho rivalutato questo pensiero. Il cinema non sta morendo, si sta evolvendo. Come ha sempre fatto. Da Antonioni a Guadagnino, Da Hitchcock a Nolan, Da Leone a Tarantino e da Buniel a Lynch. E’ inutile sprecarsi in discussioni inutili riguardo la povertà aristica di molte opere odierne o semplicemente sulla perdita di interesse del pubblico rispetto alla sala.

Il cinema evolve con il pubblico, non deve essere il contrario. E secondo questo concetto è giusto ascoltare il pubblico (unica e vera benzina di quest’arte) ed arrivare ad un compromesso tra autore e spettatore. Il futuro del cinema è in streaming? Non credo. Ma bisogna accettare il fatto che possa essere parte fondamentale di quest’arte da qui a 5 anni. Sono un difensore maniacale della sala rispetto al proprio salotto di casa…. ma… non dimentichiamoci mai perché stiamo facendo questo splendido mestiere: coinvolgere emotivamente le persone. 

Se guardando un prodotto cinematografico o televisivo che sia si riesce a far scatenare qualsiasi tipo di emozione nello spettatore (che sia on sala o meno) penso che l’obiettivo sia stato raggiunto.

Federico Gasca
Federico Gasca sul set del film

Stai per realizzare il tuo cortometraggio Uroboro, come è venuta l’idea per la realizzazione di questa storia?

L’idea mi venne circa un anno e mezza fa. Mi ricordo benissimo: ero in auto diretto non so dove, mi ricordo fosse soltanto un lungo viaggio in auto, e mi colpi come un fulmine l’idea di materializzare a film il rapporto che ho sempre avuto con l’arte. Arte come redenzione, arte come salvezza. 

L’arte non soltanto come senso astratto ma sopratutto per quello che tiene in vita l’arte stessa: le persone. Mi vedo molto nel personaggio di Giovanni, giovane pittore colpito prematuramente da una malattia fatale per la sua arte, il Parkinson. Come sconfiggere una cosa cosi grande? Giovanni non vuole sconfiggere la malattia, vuole realizzare la sua ultima grande opera. Per farlo ha bisogno di qualcuno, ha bisogno di una figura che faccia da carburante. Una persona. Uno specchio; Matilde. Ragazza priva del braccio destro che, forse, permetterà al pittore di fare quell’ultimo difficilissimo gradino verso una pace superiore. L’arte è direttamente proporzionale all’uomo e viceversa. E, per citare Solaris di Tarkovskij:L’uomo ha solo bisogno dell’uomo” ergo: “L’uomo ha solo bisogno dell’arte”.

Leggendo la sceneggiatura ho trovato interessante il loop temporale della mente dell’artista alle prese con il suo immaginario che si contrappone alla realtà, in effetti si è proprio davanti a un cerchio senza inizio né fine che dona alla storia un senso d’incredibile mistero, secondo lei la vita si può leggere attraverso il concetto filosofico mostrato dal simbolo dell’Uroboro?

Credo fortemente nella ciclicità delle cose. Circa un anno fa ho letto un testo che ha cambiato per sempre la mia visione delle cose rispetto alla casualità ed alle coincidenze: La profezia di Celestino. Forse è tra le righe di quel testo che ho trovato l’illuminazione rispetto al concetto di Uroboro. Un’altra ramificazione della poetica di Nietzsche secondo il concetto di Eterno Ritorno. La vita non è banalmente un cerchio, un inizio ed una fine, ma è l’insieme di infiniti piccolissimi cerchi che iniziano da ogni nostra piccola azione. Anche in questo momento, scrivendo queste righe, un cerchio è cominciato.

Chissà quando finirà. Cicli continui di coincidenze (che tali non sono) incatenati fra loro in una rete sempre più fitta dopo ogni giorno che passa della nostra vita. 

Quando si appresta a lavorare alla regia dopo la scrittura della storia, come procede alla scelta delle inquadrature e dell’atmosfera visiva?

Quando riesco a “pescare l’idea” (citando Lynch) ho il vizio di visualizzarla non narrativamente ma attraverso una sequenza d’immagini. Come un puzzle che viene costruito nella mia mente in un modo non convenzionale: da sinistra verso destra, riga per riga.

Le immagini di cui vado più fiero le vedo la sera, nel tepore del mio letto, nel momento in cui chiudo gli occhi. E’ successo diverse volte di addormentarmi pensando a quel puzzle pezzo per pezzo e ricominciare a giocare la sera successiva. Per UROBORO ho cercato di realizzare qualcosa di diverso rispetto a quello che ho fatto finora. Ho studiato una regia che non si limitasse a raccontare ciò che accade nel film ma che, ogni inquadratura, rispecchiasse l’emotività e il punto narrativo della storia. Vado particolarmente fiero della sequenza centrale di Uroboro. Una regia circolare, claustrofobia e sentimentale che spero il pubblico apprezzi.

Che cos’è l’arte? Dato che la stira parla di un pittore alle prese con la sua creazione artistica?

Come dicevo prima l’arte è una sorta di estensione dell’uomo. Per questo una non può esistere senza l’altro. Ma prima di tutto trovo che l’arte sia redenzione. Sia un canale dal quale potersi esprimere e alleggerire la propria mente, non tanto una dote. Tutti fanno arte a modo loro, tutti.

Arte come obiettivo nella vita, arte come talento in quello che si fa, arte come famiglia, arte come lavoro. Se un azione ti rende felice, in quell’azione vi è dell’arte.

Cosa rappresenta per il Pittore la figura di Matilde?

Giovanni, sotto certi punti di vista, è la trasposizione di una parte di me e la messa in scena del mio rapporto con l’arte e le persone. Inutile negare che Matilde, sia lo stesso. In lei vi è la rappresentazione di una persona a me molto cara che in qualche modo ha l’importanza artistica ed emotiva che per Giovanni. Matilde, per il protagonista, potrebbe essere riassunta (senza raccontare troppo sulla storia) come una sorta di eureka. L’illuminazione artistica, il secondo dell’idea. In quel secondo, nella mente degli autori, il tempo si dilata e si creando mondi infiniti. Matilde ne fa parte.

Prossimi progetti e sogni nel cassetto?

Ora ho in mente soltanto Uroboro. La post produzione sarà lunga e necessiterà di figure professionali che, giorno dopo giorno, lavorino al processo di creazione. La mia fame d’arte però è difficile da fermare infatti con il mio gruppo di collaboratori abbiamo già in cantiere produzioni importanti.

In uruboro ho collaborato per la prima volta con la SpecterFilm Collective. Quest’ultima è stata la casa di produzione che ha permesso la realizzazione del progetto. Devo tanto a loro e spero di poterci lavorare ancora. Esiste un progetto a cui stiamo lavorando da circa 2 anni: Blue Dream. Un lungometraggio che cavalca la poetica di Lynch. Chissà cosa accadrà in futuro.

Un ringraziamento speciale a Giulia Pacioni (line Producer e 1ST AD) ed Alessandro Panzeri (Direttore della fotografia) persone disponibilissime costruite su una professionalità rara che, insieme alla loro splendida squadra, hanno reso possibile che la storia di Giovanni (Fabrizio Valezano) e Matilde (Giulia Gonella) potesse prendere vita.

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