Intervista al regista e al cast di Valley of the gods

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Valley of the gods è un film diretto da Lech Majewski, prodotto da CG Entertainment in collaborazione con Lo Scrittoio. Il cast è composto da John Malkovich, Keir Dullea, Josh Hartnett, Bérénice Marlohe, Jaime Ray Newman, Charlotte Rampling.

Qual è stato l’impegno di CG Entertainment riguardo al film?

Lorenzo Ferrari (Presidente della CG Entertainment): Abbiamo aspettato tanto tempo per far uscire questo film perché desideravamo dare la possibilità al pubblico italiano di vederlo in sala, poiché pensiamo che la visionarietà delle immagini di Lech Majewski sia pienamente godibile principalmente in sala; per questo non usciremo su nessuna piattaforma streaming in contemporanea.

Nel film, il personaggio di Josh Hartnett fa un’invettiva contro l’assurdità del cinema commerciale. Il suo film sembra lottare contro questa assurdità. Questa è la sua idea di cinema?

Lech Majewski: Sì, assolutamente. Abbiamo iniziato a lavorare con Josh e lui ha detto che è diventato un attore con Basquiat, un film che è stato una sorta di inizio per me. Josh lo ha visto quando era ancora alle superiori ed è stato così impressionato da decidere di diventare un attore. 8 ⅟₂ di Federico Fellini è stato un altro film dove anche noi ci volevamo vendicare contro il cinema commerciale.

Qual è il suo interesse nei confronti delle storie e dei miti? Come ha lavorato con i Navajo?

Lech Majewski: Quando scrivevo questa storia ho incontrato molti miliardari negli Stati Uniti che collezionavano l’arte moderna e sono stato molto interessato al potenziale che tutto questo denaro dava loro. Poi ho riscontrato che la loro vita è molto più limitata della mia; infatti dovevano essere separati comune perché la loro prevedeva delle misure di protezione, delle guardie che li proteggevano perché avevano paura di cose che sarebbero potute succedere loro. Loro stavano in una sorta di gabbia. Era incredibile quanto queste persone avessero una così scarsa libertà e allo stesso tempo quanto denaro avessero. Allo stesso tempo ho incontrato i Navajo mentre preparavo il film con Viggo Mortensen, e siamo andati alla Monument Valley. Loro all’inizio erano molto riluttanti nel parlare con noi ma io ero molto intrigato. Ho iniziato ad instaurare un rapporto con loro e ho iniziato a capire quale fosse il loro agio interiore rispetto la loro povertà. Ho riscontrato che la loro vita interiore fosse molto più affascinante delle persone economicamente ricche.

Come hanno reagito i Navajo alla visione del film?

Lech Majewski: Credo siano molto orgogliosi di questo film. Infatti uno di loro ha detto che è il primo film di un bianco che pensa dalla loro prospettiva, dal loro modo di vedere il mondo; e non lo vedono in una sorta di logica – causa ed effetto ma hanno un approccio più poetico. Quando ho camminato nella Valle degli dei con i Navajo, io vedevo questi spazi vuoti attorno a me e loro parlavano con gli antenati che vivevano in questi spazi. Loro sono sempre connessi ai loro antenati, cosa che noi non siamo. Quello che è assurdo è che il territorio dei Navajo è enorme ed è caratterizzato da un’estrema povertà, mentre sono circondati da territori di grande ricchezza.

Da dove è nata l’idea per il film? Quanto tempo le è occorso per scriverlo?

Lech Majewski: Ci ho messo una vita per scriverlo perchè è stata una storia lunga. Ho visitato il deserto degli Stati Uniti occidentali e quando ho girato “Gospel according to Harry” stavo per entrare in un luogo sacro e per tutta la vita ho sentito la forza di questo luogo. Poi nel 2011 sono andato a girare i colori della passione e ho deciso di tornare nella valle degli dei. Era gennaio e ho iniziato a sviluppare la trama. Abbiamo cominciato a parlare con i Navajo, siamo andati in Arizona e una persona ha iniziato a raccogliere tutte le leggende e i miti. Io vivo negli USA e gli Stati Uniti non sanno molto delle persone native e di quello che pensano. È stato affascinante per me. Non è solo un lavoro, non lo faccio per gli interessi del film, per me è un’avventura. È il modo in cui posso entrare in un nuovo mondo e puoi vedere la parte interna di esso. È un regalo che ti arricchisce.

Lei ha lavorato con registi molto eccentrici come Terrence Malick e David Lynch. Com’è stato lavorare con Lech Majewski?

Bérénice Marlohe: Questi film sono molto rari. Quando ho letto la sceneggiatura era esattamente quello che stavo cercando perché sono interessata alle domande esistenziali e queste sono civiltà che hanno un’enorme saggezza della vita, e anch’io credo in tutto questo. Lech come regista ha una grande dimensione spirituale; è una persona complessa e molto ricca.

Vedendo Valley of the gods si notano tanti riferimenti a Kubrick. Ha lavorato con Lech su questa dimensione Kubrickiana?

Keir Dullea: Ho lavorato con una sessantina di registi ma Lech è il più vicino a Stanley Kubrick perchè lui ha una grande attenzione al dettaglio. Lavorare in Valley of the gods è stata un’avventura. Devo dire di aver visto i colori della passione di Lech e subito dopo ho pensato di dover assolutamente lavorare con lui perchè è stato così brillante che ha catturato la mia attenzione.

Oltre a Kubrick e Federico Fellini c’è anche Ermano Olmi?

Lech Majewski: Mi piace molto Ermano Olmi e mi piace molto il cinema italiano. Io sono un figlio del cinema italiano perchè quando ero piccolo guardavo i film italiani ma non capivo nulla però sono rimasti con me. Il motivo per cui poi ho deciso di fare film è perché a Venezia c’era mio zio che insegnava al conservatorio e io visitavo sempre la galleria dell’accademia e la “tempesta del Giorgione” mi colpì molto. Quest’immagine per me ha tanti significati e quando a 18 anni stavo decidendo che fare della mia vita, sono uscito dalla galleria e ho avuto una sensazione: ho fatto un collegamento tra questo quadro e Blow Up di Antonioni e ho pensato che se Giorgione fosse stato vivo sarebbe stato Antonioni. Ho inizato quindi a studiare all’accademia delle arti e poi a fare film.

Ha pensato di fare un film in Italia?

Lech Majewski: Dino Buzzati è il mio scrittore preferito. De Chirico è il mio pittore preferito. Il periodo metafisico è quello che preferisco. Ho un progetto riguardo Dino Buzzati ma è un po’ misterioso e non voglio parlarne ora.

Che cosa ricorda dei film fatti in Italia?

Keir Dullea: Ho girato due film in Italia: Le ore nude e il diavolo nel cervello. In Italia ho lavorato solo con persone fantastiche; non ricordo una divisione tra una grande stella e una persona meno importante. C’era uguaglianza mentre a Hollywood c’è una sorta di gerarchia.

Dove ha girato il film?

Lech Majewski: L’interno del castello l’ho girato in Polonia (Sono parti di diversi castelli che ho poi unito). Il paesaggio americano è girato nella parte meridionale dell’Utah, e il paese dei Navajo nel New Mexico e Arizona.

Qual è il rapporto tra la figura maschile e quella femminile nel film?

Lech Majewski: Forti sono sia gli uomini che le donne perchè gli uomini guidano ma abbandonano, c’è un senso di perdita; sono deboli da soli rispetto a quando sono con le loro donne. Un uomo così potente e ricco (Wes Tauros) che poi dice allo scrittore “io non sono niente”. Tra i Navajo la figura forte è la donna del giovane. Le donne sono il cuore e l’anima nella vita di un uomo.

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