2001: Odissea nello spazio (1968): viaggio nel Cinema

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Trailer “2001: Odissea nello spazio”

Film del 1968 prodotto e diretto da Stanley Kubrick, scritto assieme ad Arthur C. Clarke, che produsse il soggetto e, sulla medesima traccia, scrisse il romanzo omonimo pubblicato nello stesso anno. La realizzazione di un film di fantascienza derivò dall’incontro con la poetica di Arthur C. Clarke, e in particolare con il romanzo del 1953 “Childhood’s End “, nel quale una parte dell’umanità, bambini e adolescenti, riesce, grazie all’intervento di un’entità aliena, ad abbandonare una vita di ozio e di amore verso le proprie abitudini per trascendere la condizione esistenziale umana e muoversi così verso un nuovo step evolutivo. Ispiratosi al breve racconto del 1948 “La sentinella” di Clarke, lo stesso scrittore ha riconosciuto come i due racconti, il film e il romanzo, stanno l’uno all’altro “come una ghianda sta a una quercia adulta”. “2001: Odissea nello spazio” è un film che ha rivoluzionato il modo di fare cinema divenendo uno dei massimi della Settima Arte, nonché uno dei più importanti capisaldi del genere fantascientifico. Ha un grandissimo e rilevante significato estetico, culturale e storico, tanto da essere stato inserito nella lista di film preservati nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, e al quindicesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi.

Trama di 2001: Odissea nello spazio

Allerta Spoiler

La trama è composta di quattro episodi che vanno dalla preistoria al 2001 d.C.: “L’alba dell’uomo”, “Clavius”, “Missione Giove”, “Giove e oltre l’infinito”.

L’alba dell’uomo: Una tribù di ominidi sopravvive ai margini della savana africana, tra scarsità di cibo, aggressioni da fiere e la lotta con altri gruppi per una pozza d’acqua. Un giorno compare il misterioso Monolito ricorrente nella trama e che darà stimolo ai personaggi per sviluppare rudimentali utensili, per la caccia e sopraffare violentemente i gruppi rivali. Il lancio di un’arma rudimentale, un osso animale, lanciata verso il cielo si trasforma in un’astronave.

Clavius: Anno 2001. Sono trascorsi 4 milioni di anni. La Luna è una colonia terrestre, abitata dagli uomini, che scoprono un parallelepipedo uguale a quello trovato sulla Terra. Il monolito emette segnali magnetici in direzione del pianeta Giove, questo dà l’avvio ad una spedizione scientifica.

Missione Giove: L’astronave Discovery parte alla volta di Giove. A bordo ci sono 5 uomini di cui tre ibernati e un computer di nome HAL 9000, con funzioni di responsabilità operativa della missione. Il capitano David e l’astronauta Frank si fidano del computer e ricorrono a lui in ogni circostanza. Accade però che Hal dia un’informazione a David, circa un’avaria dell’astronave. David esce nello spazio ma non trova alcun guasto. Allora i due astronauti decidono di escludere Hal dal governo della nave spaziale. Ma il calcolatore legge sulle loro labbra la loro decisione: quindi fa precipitare Frank, uscito dalla capsula per un controllo, lontano dall’astronave. David corre in soccorso del compagno, mentre nella navicella gli ibernati muoiono. Nel rientrare con in braccio il corpo del collega, il computer blocca la porta. Il capitano riesce ad aprire una delle porte di emergenza e prende il sopravvento su Hal, annullandogli gradualmente la memoria.

Giove e oltre l’infinito: Il viaggio prosegue nella densa atmosfera di Giove: David si trova di fronte al monolito ed entra in una nuova dimensione di spaziotempo. David, molto invecchiato, si trova in una stanza stile Luigi XVI. Per l’ultima volta a confronto con il monolito, torna nella dimensione fetale e si vede in trasparenza, nel ventre della madre. L’odissea si è conclusa.

L'alba dell'uomo - 2001: Odissea nello spazio
L’alba dell’uomo – 2001: Odissea nello spazio

Recensione de 2001: Odissea nello spazio

Apertura all’interpretazione

“2001: Odissea nello spazio” è un colossal di fantascienza, ormai cult per molte sue inquadrature e musiche iconiche, ambientato in un futuro prossimo. La storia mette in scena temi come l’identità, il destino della razza umana e il ruolo della conoscenza dell’uomo. La pellicola è la più grande avventura nello spazio che l’immaginario visivo abbia mai intrapreso, una delle più grandi esperienze visive mai realizzate nel corso della storia. Oltre ad aver segnato la carriera di Kubrick, è anche un’opera incredibilmente complessa, capace di indagare l’uomo, mettendo magistralmente in scena un’affascinante allegoria dell’evoluzione, le potenzialità della coscienza umana e l’inevitabile dilemma del futuro, il tutto racchiuso in un’affascinante cornice fantascientifica. Kubrick mostra il fascino esaltante della ricerca, la suggestione della meraviglia e del meraviglioso, che la creazione artistica è in grado di restituire, diversamente dalla speculazione filosofica. Le tematiche presenti sono tante e di grandissima attualità come il dualismo uomo-macchina, la nascita, la vita e la morte, l’evoluzione, il viaggio interstellare. Questo film è aperto ad interpretazioni molteplici, da filosofico-religiose a tecnologiche e sociali, ognuna delle quali altrettanto valida e utile per riflettere. Non si può tentare di dare un’interpretazione oggettiva, perché in primis non c’è, fatto confermato dallo stesso Kubrik, e poi significherebbe volerlo privare del suo aspetto più affascinante, e cioè il suo essere potenzialità, il suo essere film fantascientifico. Perché, al di là della perfezione cinematografica indubbi, ogni spettatore avrà una propria visione, che deriva da un’esperienza unica e soggettiva.

Dunque sono tantissime le chiavi di lettura del film: basti pensare, ad esempio, alla scena dell’osso, come utensile e arma, lanciato in aria, che lascia spazio ad un satellite in orbita attorno alla Terra in un’analogia visiva che mostra come l’uomo, nel suo percorso evolutivo, infondo, non sia cambiato, in quanto è vero che la tecnologia ha toccato vette incredibili, ma ciò che non si è evoluto è il substrato dell’umanità che costruisce oggetti, che dovrebbero rappresentare il culmine evolutivo della razionalità umana, ma che diventano in potenza degli strumenti di morte. Un’altra chiave di lettura è quella che vede l’uomo che non si  rassegna all’intangibilità del senso e pur destinato a breve vicenda, aspira all’infinito; al di là dell’esistenza individuale, nella ripetitività delle generazioni, l’uomo si approssima all’infinito, trascendendo la propria finitezza. Un’altra visione è quella nietzschiana, attraverso la messa in scena dello scontro tra la dimensione del raziocinio e del sapere scientifico con la componente più irrazionale e istintiva dell’uomo; concetto rappresentato dal personaggio di David Bowman, simbolo della razionalità e della ragione apollinea, che supera questo stato categorizzante dell’uomo, per abbracciare il caos, dionisiaco, e ogni possibile destrutturazione del vero. Il senso dell’esistenza umana diventa apparentemente incomprensibile nella sua totalità e ciò porta l’essere umano ad essere un viaggiatore senza meta sia nello spazio sia nella vita e ad accettare questa sua condizione. L’associazione secondo la quale si passa dagli ominidi si passa all’uomo, dall’uomo alla macchina, dalla macchina all’infante cosmico, è un messaggio profondo che pone l’uomo come essere che desidera ambire alla realizzazione del superamento di se stesso, ma per farlo deve farsi travolgere dall’irrazionalità del proprio essere, ritornando bambino e resettando il proprio processo evolutivo, il quale necessita di un nuovo punto di partenza. Una concezione ciclica del tempo testimoniata dalla ricorrenza della figura del cerchio nel film. L’abbandonarsi alla maestosità suprema dell’incomprensione, diventa, quindi, unica fonte di certezza per il futuro dell’uomo. Concetto che scaturisce dal monolite nero, misterioso, incompreso, fondativo dell’evoluzione umana e dei misteri dell’universo. Secondo Kubrick, bisogna lasciare spazio ad una nuova idea di Dio che ruoti attorno al concetto dell’immensità dell’universo, la quale riduce l’uomo ad una insignificante briciola, e che si pone come obbiettivo da raggiungere dall’uomo se vuole superare i limiti del suo essere.

“Il concetto di Dio sta al cuore di 2001, ma non quello delle immagini tradizionali e antropomorfiche di Dio” Stanley Kubrick. 

Altro tema centrale è quello tecnologco: Kubrick fa presagire che la tecnologia avrebbe invaso la vita umana, attraverso il passaggio dall’arma osso utilizzata nel passato, alla tecnologia odierna, in una forma forse più subdola di pericolo da non sottovalutare (HAL, frutto del progresso, è un killer spietato e lucido di fronte al quale l’uomo diventa impotente). Però la tecnologia non si pone come sinonimo di violenza, perché è anche progresso ed evoluzione; come le scimmie, uccidendo, si sono evolute, David, uccidendo HAL, è riuscito a superare il suo essere, arrivando ad una conoscenza profonda.

La cosa certa è che è impossibile trovare una chiave di interpretazione univoca e universale per un film così complesso e profondo, che getta le sue basi proprio sulla scelta di non dare risposte e spiegazioni, dalla quale emerge gran parte del suo irresistibile fascino. L’unica cosa certa è che sia un’esperienza sensoriale unica.

HAL 9000

La figura di HAL è elegante, minacciosa, commovente: un personaggio completo nonostante sia un computer, che si interroga su cosa lui effettivamente sia, rispetto agli umani presenti nell’astronave. La figura di Hal introduce un altro tema centrale del film: quello del problema etico legato alla creazione e alla gestione di un’intelligenza artificiale. Kubrick mostra gradualmente come questa macchina futuristica provi interesse, orgoglio, disappunto, terrore, e di come si lasci andare alla nevrosi, di come abbia un’anima pur non essendo un essere umano. In questo senso, è struggente ed atroce, la scena più straziante del film, in cui David deve annientare HAL, il quale è terrorizzato, impaurito dalla morte, e supplica pietà con un tono di voce calmo, impassibile. Perde progressivamente le proprie capacità, terminando la sua esistenza con l’esecuzione di una frivola canzone, strozzata come lo sarebbe quella di una persona morente (“Girogirotondo” in italiano, e “Daisy Bell” nella versione originale). HAL 9000 è guidato dallo stesso istinto di conservazione degli umani, che lo porta a uccidere Poole e i tre astronauti ibernati, mancando per poco la soppressione di Bowman. Deve tenere nascosto agli astronauti l’obiettivo della missione nonostante debba contemporaneamente servire e obbedire l’uomo. È propio questa contraddizione, questa falla costruita dall’uomo, a portare in errore la macchina. HAL è anche la rappresentazione della “macchina intelligente” come step evolutivo dell’uomo, sintetico e senza carne. Uno step che è però, destinato a fallire. Nel film diventa estensione extracorporea della coscienza e dell’identità umana. Le differenze tra HAL 9000 e l’essere umano diventano evidenti e purtroppo risiedono solo nella materia che li compone e nelle diverse capacità logiche e di calcolo: la tendenza alla sopraffazione e all’errore, permangono in HAL 9000, ribadendo la fallibilità dell’uomo per quello che attualmente è e crede di essere.

Hall 900 - 2001 Odissea nello spazio
Hall 900 – 2001 Odissea nello spazio

Il monolite nero

Incomprensibile, misterioso, esteticamente semplice, oggetto extraterrestre che appare in momenti decisivi nella storia. Nel film accompagna, condiziona e sorveglia il cammino dell’umanità, quasi come se desse l’imput per uno step evoluto; per la prima volta nel momento in cui l’ominide lo ha toccato, poi quando viene toccato da Floy scaturendo un forte segnale radio che punta dritto verso Giove, indicando al genere umano il pianeta nel quale dovrà affrontare il suo prossimo salto evolutivo. Ed infine quando trasforma Bowman in feto. Questo ultimo contatto è propio quello più importante ed enigmatico. Nel finale del film, le parole vengono sostituite dalle immagini e il film diventa un viaggio cosmico e sensoriale, esaltato dalle immagini del celebre viaggio spaziotemporale. In un tripudio di colori, forme e suoni indefiniti, Bowman raggiunge a folle velocità Giove, nelle cui vicinanze è visibile un nuovo monolito nero. Al termine di questa metamorfosi, il monolite o gli extraterrestri potenziali che lo hanno creato, restituiscono alla Terra e al genere umano un loro figlio purificato ed evoluto, che può essere visto come un superuomo nietzschiano; il finale emblematico non ha una versione giusta o sbagliata, ma è aperto a numerose ipotesi: forse il feto avrà presumibilmente un ruolo attivo nel prossimo futuro del pianeta; forse è la nascita di un pianeta, o di altro. Una delle spiegazioni possibili è, appunto, che il monolite sia uno strumento in grado di far evolvere la razza umana. Durante il primo contatto gli uomini scimmia si sono trasformati in abili predatori; nel secondo contatto l’uomo si è spinto a viaggiare verso Giove; nel terzo David è finito in una dimensione parallela; nel quarto e ultimo, quello nella stanza, il protagonista diventa il “Bimbo Stella” o un’entità superiore. Il film potrebbe ipotizzare, dunque, l’esistenza di una forma di vita superiore che sia in grado di far progredire la specie umana, fino a spingerla ad un massimo grado di conoscenza rappresentato, qui, da un feto che fluttua nello spazio.

Il monolite guida l’essere umano, indicandone la strada, gli offre la possibilità di evolvere, ma non si impone mai, lascia che sia l’uomo a decidere di fare il passo risolutivo. Si pone come possibilità, non come scopo, e decidere se coglierla o meno spetta all’uomo; è il mezzo attraverso cui la scimmia da bestia diventa qualcosa di nuovo, di più evoluto; e ipoteticamente e parallelamente, è anche il mezzo che trasforma Bowman in qualcosa di più.

Il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio
Il monolite nero di 2001: Odissea nello spazio

Reparto tecnico

La grandiosità di questo capolavoro deriva anche da un reparto tecnico studiatissimo, a partire da una trama e quindi una sceneggiatura perfetta in ogni suo passaggio. Niente è lasciato al caso, ogni scena ha un significato profondo, ogni parola un senso. Se da un lato vi è un plot riconoscibile, riassumibile e organizzabile, dall’altro c’è una messa in scena di un insieme di elementi che non sono così facilmente ordinabili. Kubrick rivoluziona il genere fantascientifico, prendendone la struttura, decodificandola e destrutturandola. In questo senso è perfettamente realizzata la sequenza del tunnel psichedelico che Bowman attraversa prima di approdare nella stanza stile Luigi XVI: un’allucinante esperimento visivo, psichedelico, con un’alienante fotografia, impressionato dall’apparizione del misterioso e semplice monolite che irrompe scandendo i passaggi della storia umana.

Il film ricorre quasi interamente al predominio dell’immagine, togliendo quasi totalmente i dialoghi, (e quei pochi sono di grandissimo impatto) divenendo un’esperienza soprattutto visuale più che verbale, la quale mira a raggiungere il subconscio dello spettatore in un modo poetico e filosofico, rifuggendo allo stesso tempo da ogni forma narrativa tradizionale. La quasi totale assenza di dialoghi pone la pellicola come un’opera d’arte, con le chiare differenze di forma e di sostanza tra il cinema e l’arte pittorica, nella presenza dell’immagine in movimento e nell’enfasi sul sonoro. In questo modo interpella tutti i sensi dello spettatore e lo spinge a riflettere sui tratti definitori del proprio essere. In molte interviste rilasciate da Kubrick, il regista non ha mai voluto spiegare fino in fondo il significato complessivo della sua opera, dando più importanza all’ambiguità artistica, perché l’atto di spiegare l’arte, finisce per produrre solamente un superficiale valore culturale.

Altro lavoro certosino è stato fatto col montaggio, dove le dissolvenze sono rare e prevalgono i raccordi scoperti, spesso stacchi secchi visivi e sonori insieme, con accentuazione dei contrasti audio-visivi (silenzio/rumore; buio/luce). L’esempio più iconico è il celebre stacco sull’osso che “diventa” astronave o sul finale il David moribondo sostituito da un feto. Anche narrazione è scomposta da scarti improvvisi, ed è figura principe il monolito, forma fallica che indica forza, si pone come oggetto di adorazione: qualcosa che un istante prima non c’era, che all’improvviso appare e anticipa una sorta di evoluzione jumpcut. L’enfasi trionfante dell’intuizione, sottolineata dalle note ascendenti di “Così parlò Zarathustra“, è esaltata da Kubrick sempre attraverso il montaggio: l’ominide apprende l’uso dell’osso come arma, e in montaggio alternato se ne capisce il suo utilizzo. Il montaggio utilizzato è costruito per entrare nella mente dell’ominide a restituire la capacità di immaginare. Una scena che per Kubrick vuole dire che il progresso umano è fondato sulla capacità di immaginazione. Con quell’osso non nasce la violenza, nasce l’immaginazione. La sequenza finale, ambientata nella stanza settecentesca, è caratterizzata dall’uso innovativo del controcampo. Si assiste allo svolgersi della vita di David sino alla sua estrema vecchiezza, attraverso gli sguardi di un David più giovane che percepisce una suo essere più anziano, e, nei controcampi successivi, scompare. Unendo campi e controcampi, il montaggio effettua salti temporali enormi, seppur con un’apparente staticità di tempo e spazio/luogo. Questa sequenza traduce in termini cronologici la paradossale continuità di mondi dentro altri mondi tipica delle incisioni di Escher. Un’esistenza ripetitiva, dominata dalla circolarità, che allude all’ottundente ripetitività del quotidiano. La ricomparsa del monolito spezza la ciclicità, e successivamente alla trasformazione di David morente in feto, la linearità torna prepotentemente, attraverso un movimento di macchina in avanti verso il monolito, quasi a sembrare una via di uscita. E il film si chiude sull’immagine enigmatica del feto astrale.

Kubrick sul set - 2001: Odissea nello spazio
Kubrick sul set – 2001: Odissea nello spazio

Una grandissima importanza nel film sono le musiche, che accompagnano la storia e diventano quasi protagoniste. Tre brani, tra loro diversissimi, condividono un movimento ascendente: il valzer “Sul bel Danubio blu” di Johann Strauss, l’introduzione del “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss, e il “Requiem per soprano, mezzosoprano, cori misti e orchestra” di György Ligeti. Il valzer che accompagna le prime sequenze spaziali, caratterizza la “danza” dei satelliti e della navicella PanAm, scandendo la sincronizzazione fra la navicella appuntita e la stazione orbitante, che culmina nella penetrazione della prima nell’altra. Poi, il tema musicale si conclude in un atto sessuale rappresentato dall’ingresso della navicella, nella stazione lunare che si apre ad accoglierla, come uno spermatozoo in un ovulo. Straordinaria la scelta da parte del regista di realizzare queste astronavi con una forma che ricorda quella degli spermatozoi, creando così un parallelismo fra la procreazione degli esseri umani e la progressiva colonizzazione spaziale. Il brano di Richard Strauss, così come quello di Ligeti, sono il motivo guida del film, perché il primo identifica le scene nello spazio, le congiunzioni astrali, e gli step evolutivi, il secondo le apparizioni del monolite. Questi tre brani hanno in comune uno sviluppo crescendo verso note e accordi acuti, che procede attraverso ripetizioni delle stesse frasi su ottave via via più alte, dando precisamente la sensazione di una spirale che s’innalza su se stessa. Sublime il comparto sonoro, meravigliosa la fotografia di G. Unsworth e J. Alcott che le valse l’Oscar.

Il film è esteticamente spettacolare, risultato raggiunto grazie al talento di Douglas Trumbull, Tom Howard, Wally Veevers che si occuparono degli effetti speciali; il primo per le scenografie, il secondo per gli effetti visivi, e il terzo per i modellini delle astronavi. Il grande lavoro, portò alla creazione di una realtà mai vista, nata (consultando anche la N.A.S.A.) dall’immaginazione di un futuro talmente possibile e realistico da restare iconograficamente insuperato; gli effetti speciali così realistici sono frutto di un grandissimo studio da parte di Kubrick, maniacale nel documentarsi affinché la sua opera risultasse plausibile. A livello di contenuto è sicuramente un capolavoro perché ha una visione, un’accezione adulta e autorale, metafisica e filosofica che non ha precedenti, parlando attraverso la relazione tra l’uomo e l’universo. Un’opera enigmatica, interpretabile in centinaia di modi grazie ai simbolismi e gli eventi straordinari che descrive. Rappresenta la scoperta dell’Io interiore, attraverso tre milioni di anni di Storia. La visione è anche anti-narrativa, perché la storia è raccontata con sguardo distaccato, con recitazioni naturalistiche, con piglio quasi documentaristico ma al contempo visionario.

La regia di Kubrick è precisa, ha inquadrature ferme, geometriche, simmetriche; utilizza controcampi, e la macchina da presa si muove quanto necessario. Una regia evocativa che è parte della storia e non solo un mezzo per raccontarla. Kubrick gira in 70 millimetri Superpanavision, con suono stereofonico, per esaltare lo Spazio e le musiche sinfoniche che fanno sembrare quello umano, una danza verso la scoperta di se stesso. Il ritmo è volutamente lento, mai noioso, costruito con maestria, scandito da inquadrature semplici, ordinate, ferme, da silenzi, musiche e un sonoro evocativo come il respiro degli astronauti che esalta l’infinitezza e il vuoto dello spazio. Kubrick accompagna i movimenti lenti e circolari delle astronavi con i valzer di Strauss, componendo una sorta di danza spaziale unica nel suo genere nel mondo del cinema. “2001: Odissea nello spazio” è un capolavoro che rappresenta il cinema allo stato puro. Trae la sua forza soprattutto dalla regia con le sue inquadrature ferme, pulite, geometriche, simmetriche, e da una fotografia magistrale dai colori evocativi, brillanti, oltre che ad un impeccabile lavoro sul sonoro e le musiche iconiche divenute leggenda. Musiche e sonoro che fanno tutto nel film, comunicano allo spettatore, scaturendone un’infinità di emozioni. Così, la pellicola risulta un’esperienza audio visiva, una sorprendente esperienza sensoriale unica che va oltre il semplice guardare un film, guardare una storia. Vedere “2001: Odissea nello spazio” significa vedere e capire cosa sia il vero Cinema con la C maiuscola.

“Siete liberi di speculare sul significato filosofico e allegorico di 2001: Odissea nello spazio. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio”.

Stanley Kubrick

Il Bambino delle stelle - 2001: Odissea nello spazio
Il Bambino delle stelle – 2001: Odissea nello spazio

In conclusione

In conclusione Kubrick è riuscito a creare un lungometraggio studiato in ogni singola inquadratura, dove nulla è fuori posto e dove la simmetria regna in gran parte sovrana. Gli ambienti spaziali quasi asettici, fanno apprezzare i colori luminosi delle tute spaziali, il rosso occhio di Hal. Vero protagonista del film, non è il cast ma il reparto tecnico, perché la recitazione è sterile, volutamente anemica. Non si tratta di un semplice film: può essere un saggio di filosofia per umanisti, che si interroga sulle origini dell’uomo e il suo ruolo all’interno del cosmo; un manuale di tecnica per i cineasti, grazie all’uso rivoluzionario delle inquadrature, al protagonismo della colonna sonora, al modo in cui furono realizzati gli effetti speciali. Dipende dai punti di vista. Il lavoro certosino a livello estetico definisce l’opera come lo sci-fi scientificamente più verosimile alla realtà mai realizzato (è nota la teoria complottistica secondo cui sarebbe stato Stanley Kubrick in persona, assoldato dalla NASA, a ricreare in studio un realistico allunaggio). Immagini, montaggio e musica si combinano al servizio di un’esperienza visiva inedita e suggestiva, gestita con tocco da maestro da Stanley Kubrick. In una parola: capolavoro.

Note positive

  • Le musiche suggestive, vere protagoniste del fil.
  • Montaggio perfetto
  • Estetica rivoluzionaria e studiatissima.
  • L’enigmaticità della storia e la libera interpretazione.

Note negative

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