Quattro ragazzi sotto i trent’anni condividono un appartamento da tempo e fermati dal contagio, si trovano ad affrontare ombre più grandi che vivere in quella situazione. Questa è la premessa di State a casa, il nuovo film di Roan Johnson in arrivo dal 1 luglio nelle sale italiane e prodotto da Palomar e Vision Distribution. Dopo aver frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia, il regista ha iniziato il suo percorso con la televisione, poi il debutto al cinema con l’esordio I primi della lista seguito da Fino a qui tutto bene e Piuma. All’anteprima stampa del film abbiamo avuto modo di approfondire diversi aspetti di questa nuova dark comedy italiana; i produttori Carlo Degli Esposti e Nicola Serra hanno motivato così le loro scelte: “C’è un film fatto per il cinema, che esce in sala. Finalmente c’è un meccanismo di controtendenza rispetto a quello che abbiamo visto nell’ultimo anno e mezzo. I film fatti per il cinema, al cinema non sono andati. Il messaggio importante è che stiamo tornando in sala con delle scelte produttive diversificate.”
Roan Johnson ha raccontato così l’idea e la fase di scrittura del suo quarto film: “Per natura mi sono scoperto più regista. Magari in futuro la cosa cambierà, ma sono sceso a patti sul fatto che mi sento a mio agio sul set. In primo luogo, lo spunto per questa storia viene dall’ineluttabilità di quello che è accaduto nella nostra vita con la pandemia. Coinvolgerà un paio di generazioni, che dovranno fare i conti su com’erano le cose prima, dopo e nel mentre. State a casa l’ho scritto anche per ragioni catartiche. Io scrivo sempre per risolvere dei problemi psicologici che ho, per esorcizzare questo momento.”

State a casa è stato girato a Roma durante il secondo lockdown, ma è ambientato durante il primo. “Ho scritto varie storie, ma questa era la più potente, una dark comedy che ho temuto di non finire. Mentre stavo a casa mi sentivo un privilegiato, con una carriera e una vita impostata, ma se avessi 27 anni, la fascia d’età più colpita, fragile economicamente e psicologicamente, sarei uscito di testa. Mi sono messo in quella mentalità e mi son ritrovato in Nicola e un po’ in Paolo, i due protagonisti maschili interpretati da Lorenzo Frediani e Dario Aita, con ambiguità e contraddizioni con cui fare i conti.”
Chiusi in lockdown all’interno di un appartamento di Roma, troviamo i quattro coinquilini interpretati da Dario Aita, Giordana Faggiano, Lorenzo Frediani e Martina Sammarco. Due settimane di prove, dove hanno vissuto nella stessa casa trasformata poi nel set del film, mettendo a frutto la convivenza.
“La forza e la potenza di aver potuto provare prima è stato un privilegio, che sarebbe necessario per l’arte della recitazione. È considerato un lusso ma dovrebbe essere la base, in un altro modo non avremmo mai trovato la semplicità del rapporto poi portata sul set. Il mio personaggio è stato difficilissimo da interpretare, anche perché Roan ha continuato ad aggiungere strati. Ho fatto un lavoro sul corpo, cosa di cui stavo prendendo consapevolezza in quel momento: m’è servito tanto, soprattutto per un personaggio in cui spicca l’elemento della seduzione” spiega Giordana Faggiano, interprete di Benedetta. Per quanto riguarda il dialetto aggiunge: “All’inizio ho fatto un po’di resistenza con il barese, ho dovuto studiare tanto. Mi svegliavo alle 5 del mattino e provavamo, è stato bello avere quello scambio costante.”

Ad interpretare Spatola, il padrone di casa viscido e sospettoso, è Tommaso Ragno, scintilla origine delle sequenze più oscure e del lento delirio collettivo nel film. Nella sua carriera tantissimo teatro e cinema, sempre in equilibrio tra ribrezzo e magia. Consacrato definitivamente in Fargo 4, nel ruolo di Donatello Fadda. Del ruolo racconta: “Gran parte di questa partecipazione è legata al rapporto con i ragazzi, non conoscevo nemmeno uno di loro e mi hanno davvero accolto: è una cosa non scontata trovare immediatamente complicità, ma questo è dovuto ad una capacità di saper giocare insieme. Per esempio, per l’aneddoto con il serpente; ho avuto una crisi isterica nella scena tenendolo in mano, naturalmente è simbolo archetipico e se non fosse stato per una mia totale vanità, e con il loro dileggio di supporto, non ce l’avrei fatta. Con Roan avevo già lavorato: lui ama gli attori, forse perché in qualche modo è lui stesso un attore. Il film è veramente un’esplosione di energia”.