Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: Un film quotidiano

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Jeanne Dielman, 23, quai du Commerc locandina

Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Titolo originale:

Anno: 1975

Paese: Belgio

Genere:  Drammatico

Produzione: Paradise Films, Unité Trois

Distribuzione:  New Yorker Films, Olympic Films

Durata: 201 min

Regia:  Chantal Akerman

Sceneggiatura: Chantal Akerman

Fotografia: Babette Mangolte

Montaggio:  Patricia Canino

Attori: Delphine Seyrig, Jan Decorte, Henri Storck, Jacques Doniol-Valcroze, Yves Bical

Trailer del film Jeanne Dielman

Trama di Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Tre giorni, in duecentoventicinque minuti, nella vita di una vedova solitaria che abita con il figlio ancora adolescente e che conduce una esistenza ordinaria fatta di piccole attività quotidiane – le faccende di casa, il baby sitting per i vicini, la cucina – e di piccoli “servizi sessuali” che le servono a tirare avanti.

Jeanne Dielman,
Fotogramma del film

Recensione di Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Tra le qualità di un film, specialmente nel cinema classico e/o commerciale, vengono indicati spesso il ritmo e la concatenazione degli eventi nella trama quali elementi di cui tenere conto per un giudizio sull’opera. Vi dico subito non è questo il caso. Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (noto anche come Jeanne Dielman) richiede sicuramente un certo impegno da parte dello spettatore non solo per la durata del film (201 min.), ma anche e soprattutto per il modo in cui la vicenda di Jeanne viene raccontata.

Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles

Nel corso del film si capiscono una serie di cose: Jeanne è una donna vedova da sei anni che vive con il figlio tardo adolescente, la sua vita è meticolosamente e rigidamente scandita dalla routine quotidiana nella quale rientra la prostituzione. Le faccende domestiche appaiono fin da subito organizzate in modo da ottimizzare gesti e movimenti secondo una coordinazione quasi ipnotica. Le interazioni della donna con il mondo esterno, ma anche con il figlio e i clienti, sono fredde, essenziali, ridotte al minimo; anche quando i vicini di casa tentano di fare conversazione le risposte si limitano a monosillabi o cenni del capo. I tre giorni raccontati nel film sono intervallati da didascalie che indicano la fine dei primi due giorni e, attraverso i dettagli, sui quali indugia la macchina da presa, si può cogliere una lenta e progressiva modificazione del comportamento della donna. Quelli che prima sono gesti misurati al millimetro, perfettamente coordinati nei modi e nei tempi, cominciano pian piano a sgretolarsi. Ecco che una zuppiera lasciata senza coperchio assume simbolicamente la valenza del vaso di pandora, gli errori si fanno sempre più evidenti fino a un finale inesorabile e per certi versi liberatorio.

La macchina da presa è posta in basso e movimenti di macchina assenti, alla maniera di Yasujir Ozu e Kenji Mizoguchi, molte delle inquadrature sembrano essere ispirate dai maestri giapponesi sia per la posizione della cinepresa che per la ricerca di simmetria nella composizione producendo in questo modo un effetto straniante nello spettatore. Altre influenze evidenti sono quelle di Robert Bresson e del neorealismo italiano con riferimento particolare alla scena in cucina della cameriera in “Umberto D.” La colonna sonora musicale è totalmente assente eccezion fatta per inserti diegetici di musica classica che accentuano l’effetto di esasperato realismo. E’ proprio attraverso l’azione rallentata fino all’immobilità e indugiando sui tempi morti che la Akerman costringe lo spettatore a soffermarsi sui dettagli e sull’ambiente domestico che diventa il vero protagonista del film. E’ lui, infatti, il colpevole della repressione sessuale e dello sfruttamento economico della donna: i mestieri di casa al pari della prostituzione sono un lavoro da donna come indica anche l’indirizzo nel titolo.

Jeanne Dielman è considerato giustamente un punto di riferimento del cinema moderno femminista e la Akerman si inserisce nella corrente sperimentale denominata cinema decostruzionista che, dalla fine degli anni sessanta raggruppò un certo numero di opere di stampo autoriflessivo che avevano come bersaglio quello di svelare l’artificio illusorio su cui si basa il cinema tradizionale. Per ottenere questo risultato oltre al realismo e alla dilatazione delle inquadrature alcuni registi tra i quali la Akerman puntarono alla de-drammatizzazione delle scene come avviene per quelle in cui Jeanne incontra i suoi clienti: la prostituzione diventa una delle attività di routine della donna. Un film di forte impatto emotivo nonostante l’apparente freddezza della messa in scena che, secondo me, rientra tra i grandi film da vedere assolutamente. Se però, come già accennato, cercate azione e ritmo dovrete necessariamente guardare in altre direzioni.

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