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L’ultima lettera d’amore
Titolo originale: The Last Letter From Your Lover
Anno: 2021
Paese: Canada
Genere: drammatico, sentimentale
Produzione: Blueprint Pictures, Film Farm Productions
Distribuzione: Netflix
Durata: 110 min.
Regia: Augustine Frizzell
Sceneggiatura: Nick Payne, Esta Spalding
Fotografia: George Steel
Montaggio: Melanie Ann Oliver
Musiche: Daniel Hart
Attori: Felicity Jones, Callum Turner, Joe Alwyn, Nabhaan Rizwan, Shailene Woodley, Ncuti Gatwa, Emma Appleton, Christian Brassington, Alice Orr-Ewing, Lee Knight, Zoe Boyle, Ben Cross, Diana Kent
Diretto dalla texana Augustine Frizzell, regista di Never Goin’ Back e dell’episodio pilota di Euphoria, L’ultima lettera d’amore è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Jojo Moyes e pubblicato nel 2010. Il lungometraggio è prodotto da Peter Czernin e Graham Broadbent, entrambi legati per la produzione di Tre manifesti a Ebbing, Missouri (M. McDonagh, 2017), mentre le due attrici protagoniste, Felicity Jones e Shailene Woodley, rivestono il ruolo di produttrici esecutive. Daniel Hart (Old Man & the Gun, D. Lowery, 2018) cura la colonna sonora, particolare anche per l’inserimento di una canzone originale: Cherry Flavored Stomach Ache degli Haim, band pop rock statunitense. Nel cast, oltre alla Jones e alla Woodley, figurando Callum Turner, Joe Alwyn e Nabhaan Rizwan. Il film è disponibile su Netflix a partire dal 23 luglio 2021.

Trama di L’ultima lettera d’amore
Quando la brillante giornalista Ellie Haworth (Felicity Jones) trova una serie di romantiche lettere inviate negli anni Sessanta, non riesce a contenere la propria curiosità nello scoprire il mistero che celano. Promossa da una rinnovata iniziativa, Ellie, con l’aiuto dell’archivista Rory McCallan (Nabhaan Rizwan), comincia una difficoltosa ricerca nel passato, scoprendo la storia tra Jennifer Stirling (Shailene Woodley) e Anthony O’Hare (Callum Turner) e rivalutando persino le sue più consolidate convinzioni.

Recensione di L’ultima lettera d’amore
In seguito al successo di Io prima di te (T. Sharrock, 2016), era comprensibile ritenere adeguata la scelta di produrre l’adattamento cinematografico di un altro romanzo della scrittrice londinese Jojo Moyes, autrice, nel 2018, addirittura della sceneggiatura, in collaborazione con Til Schweiger e Lo Malinke, di Un viaggio indimenticabile (T. Schweiger). E del resto, in L’ultima lettera d’amore, c’erano tutte le premesse per ottenere il medesimo esito, con due attrici ingaggiate del calibro di Shailene Woodley e Felicity Jones, potenzialmente in grado di conferire profondità ad un lungometraggio alla ricerca proprio di tale aspetto. Perché la scelta di affidare un film di questo genere alla classe ’79 Augustine Frizzell, regista del solo Never Goin’ Back (2018), rappresentava già una scommessa abbastanza rischiosa nel particolare caso della trasposizione del romanzo di Moyes. Una scrittrice in grado di affermarsi nella categoria sentimentale, ma al contempo legata in L’ultima lettera d’amore con un lungometraggio che fatica a definirsi, collocandosi in una zona marginalmente a metà fra lo stile di Moyes e il classico e sempre seguitissimo cinema tratto dai romanzi di Nicholas Sparks.

In fondo, gli sceneggiatori Nick Payne e Esta Spalding, sembrano affascinati a tal punto da film come Dear John (L. Hallström, 2010), Le parole che non ti ho detto (L. Mandoki, 1999) e il celebre Le pagine della nostra vita (N. Cassavetes, 2004) da inserire parti di ognuno all’interno del film, replicando addirittura alcune sequenze. Pioggia, lettere, una storia ambientata negli anni Sessanta, confermano ciò, nonostante l’apprezzabile tentativo, da parte di Felicity Jones e Nabhaan Rizwan di modificare lo stile del film. Che paradossalmente fatica a conquistare proprio per l’ossessiva volontà di simulare Sparks, romanziere dallo stile comunque ben diverso. E la ragione si nasconde anche nella modalità di raccontare le diverse epoche. Shailene Woodley, per esempio, attrice in grado di gestire ruoli anche complicati, come la Jane Chapman di Big Little Lies – Piccole grandi bugie o la ribelle Alexandra King nell’indimenticabile Paradiso Amaro (A. Payne, 2011), esprime una recitazione quasi ovattata da un periodo comunque descritto attraverso comportamenti e battute inverosimilmente perfette.

In L’ultima lettera d’amore, nonostante un titolo che rimanda a disperate e remote possibilità, non ci sono certo le atmosfere, e persino la foga, di alcune sequenze di Le pagine della nostra vita, né le reali difficoltà incontrate da Garrett (Kevin Costner) in Le parole che non ti ho detto. Forse, ripensando a quest’ultimo film, la criticità può anche spiegarsi con l’assenza di un caratteriale attore non protagonista, ruolo rivestito dal grande Paul Newman proprio al fianco di Costner, ma anche da una sceneggiatura non sempre fluida. In tal senso, anche la brava Felicity Jones, pur conferendo una certa vitalità al lungometraggio stabilendo un’affinità con Bridget Jones, resta costantemente relegata in una visione passata, rivolgendo l’attenzione verso la nostalgica storia tra Jennifer Stirling e Anthony O’Hare. Ciò sottolinea un’altra criticità, ribadendo le difficoltà di Frizzell, ma anche degli sceneggiatori, nel gestire due storie ambientate in epoche differenti. Infatti, se al principio la divisione temporale sembra funzionale al genere di film, col trascorrere dei minuti deriva verso una progressiva dispersione, purtroppo capace di ridurre le attenzioni nei confronti della divertente storia tra Ellie Haworth e Rory McCallan. Che resta una relazione simpatica senza però un particolare approfondimento, rendendo L’ultima lettera d’amore un film con un’interessante fotografia (curata da George Steel), ma allo stesso tempo ben lontano dai migliori lungometraggi tratti dai romanzi di Nicholas Sparks.

Note positive
- Lo stile interpretativo di Felicity Jones e, in generale, la storia tra Ellie Haworth e Rory McCallan
- La fotografia di George Steel
- La scenografia di alcune sequenze
Note negative
- La volontà di realizzare una trasposizione cinematografica in linea con quelle tratte dai romanzi di Sparks, che resta un autore molto diverso