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Malavia
Titolo originale: Malavia
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: drammatico
Casa di produzione: Archimede, Rai Cinema, Ministero della Cultura, Film Commission Regione Campania
Distribuzione italiana: Fandango Distribuzione
Durata: 96 minuti
Regia: Nunzia De Stefano
Sceneggiatura: Nunzia De Stefano, Giorgio Caruso
Fotografia: Matteo Carlesimo
Montaggio: Sarah McTeigue
Musiche: Speaker Cenzou
Attori: Mattia Francesco Cozzolino, Daniela De Vita, Junior Rodriguez, Francesca Gentile, Ciro Esposito, Nicola Siciliano, Artem
Trailer di “Malavia”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
“Malavia” è il un film co-scritto insieme a Giorgio Caruso e diretto da Nunzia De Stefano. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2025, sezione Freestyle, l’opera è prodotta da Archimede e Rai Cinema. Il cast è formato da Mattia Francesco Cozzolino, Daniela De Vita, Junior Rodriguez, Francesca Gentile, Ciro Esposito, Nicola Siciliano e Artem. Prossimamente nei cinema con Fandango Distribuzione.
Malavia è nato ascoltando gli adolescenti che mi parlavano della loro interazione con la musica come una valvola di sfogo. Confrontandomi con loro ho potuto notare due tipi di reazioni: c’è chi si lascia trascinare dal mito dei soldi facili, mentre altri vedono la musica come un modo per esprimere se stessi. Questa doppia visione è vera soprattutto in realtà difficili, dove i ragazzi crescono troppo in fretta, ed è ciò che accade a Sasà, il protagonista, che condivide con gli amici la passione per la musica rap. Il mentore di Sasà, Yodi, pronuncia una battuta alla quale sono molto legata, che dice proprio Yodi al protagonista: «Non dovete rincorrere i treni, ma dovete essere voi il treno!». Da qui nasce anche il messaggio del film, cioè di come l’arte della musica può aiutarti a evadere da un contesto difficile e spingerti oltre.
Note di regia
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Trama di “Malavia”
Sasà è uno scugnizzo di tredici anni, della periferia di Napoli. Trascorre le giornate con i suoi due migliori amici, Cira e Nicolas, ascoltando musica rap.
Cresciuto senza padre, vive da solo con la sua giovane madre Rusè. Tra i due c’è un legame molto profondo, che spesso sfocia in una sproporzionata gelosia da parte del figlio. Amante dell’hip hop e dotato di un grande talento musicale, Sasà aspira a diventare un rapper famoso per permettere alla madre una vita migliore.
L’incontro con Yody, noto rapper della old school partenopea, sembra dare slancio al suo sogno e lo porta a comporre il suo primo vero pezzo: un rap dedicato a Rusè.
Tuttavia, lo scontro con la realtà cinica del mondo della musica e della strada, costringe Sasà ad abbandonare le proprie aspirazioni. Disilluso, cede alla criminalità pur di aiutare economicamente la madre, ritrovandosi a spacciare nel cortile della scuola. Quando viene scoperto, rischia di perdere tutto. Divorato del senso di colpa, dal dolore provocato a Rusè e dalla possibilità di essere portato in una casa-famiglia, Sasà sprofonda in una forte depressione dalla quale non sembra esserci via di uscita.
Recensione di “Malavia”
Esiste un cinema che non ha paura di guardarsi allo specchio, di riflettere le ferite aperte di una città e di una generazione senza filtri consolatori. “Malavia” di Nunzia De Stefano appartiene a questa categoria di opere che scelgono la strada della testimonianza quasi documentaristica, rinunciando consapevolmente alle seduzioni dello spettacolo per concentrarsi su una verità sociale tanto dolorosa quanto innegabile. Eppure, proprio in questa scelta di fedeltà al reale, il film finisce per imbrigliarsi in un paradosso: raccontare con onestà non basta a rendere necessario un racconto che abbiamo già visto troppe volte.
Il peso della ripetizione: cronaca fedele di una caduta annunciata
La storia di Sasà, tredicenne delle periferie napoletane, è un percorso di caduta annunciato fin dal primo fotogramma. Il ragazzo vive in simbiosi morbosa con la madre Rusè, una donna giovane che porta addosso le cicatrici di una maternità precoce e di un’assenza paterna mai colmata. Il loro rapporto, viscerale e soffocante, è il nucleo emotivo del film: un amore che diventa gabbia, protezione che si trasforma in dipendenza. Sasà non è solo un figlio, è un guardiano, un amante platonico, un bambino che si è fatto uomo troppo presto e che per questo non riesce a essere né l’uno né l’altro.
L’hip hop è il suo linguaggio, la sua possibile salvezza. Le rime che compone con Cira e Nicolas nei vicoli del quartiere sono più di un passatempo: sono grida di esistenza, tentativi di dare forma al caos interiore, di costruire un’identità in un contesto che sembra progettato per negarla. L’incontro con Yody, rapper della vecchia guardia napoletana, accende in Sasà una speranza che il film tratta con rara delicatezza: la possibilità di trasformare il talento in riscatto, di usare la musica come ascensore sociale. Il pezzo rap dedicato a Rusè diventa così il manifesto di un amore filiale estremo, quasi doloroso nella sua purezza.
Ma “Malavia” – il cui titolo evoca immediatamente la “mala via”, il percorso sbagliato – è un film sulla disillusione. De Stefano non concede al suo protagonista alcuna facilità narrativa: l’industria musicale si rivela cinica, il talento da solo non basta, e la strada esige tributi che un ragazzino non dovrebbe pagare. Lo spaccio nel cortile della scuola è la conseguenza inevitabile di un sistema che offre ai giovani delle periferie solo due alternative: la miseria o la criminalità. Sasà sceglie quest’ultima non per vocazione, ma per amore materno distorto, per dare a Rusè quella “vita migliore” che ossessiona ogni sua azione.
Il crollo, quando arriva, è devastante. La scoperta, il rischio della casa-famiglia, il senso di colpa che divora il ragazzo dall’interno: De Stefano filma questa discesa con occhio partecipe ma mai sentimentale. La depressione di Sasà è rappresentata senza estetismi, come un buco nero che inghiotte ogni residuo di speranza. È qui che il film raggiunge la sua maggiore intensità emotiva, mostrando come la fragilità adolescenziale, sottoposta a pressioni insostenibili, possa implodere in un silenzio assordante.
Tra impegno civile e ripetizione
Eppure, nonostante la sincerità dell’intento e la precisione sociologica della rappresentazione, “Malavia” fatica a sottrarsi alla sensazione di déjà-vu. Il problema non è nella qualità dell’esecuzione – che è dignitosa, a tratti toccante – ma nell’assenza di una voce distintiva. Il cinema italiano degli ultimi due decenni ha esplorato più volte questo territorio: da “Gomorra” a “Fiore”, da “La paranza dei bambini” a “Ariaferma”, abbiamo visto molteplici variazioni sul tema della giovinezza negata nelle periferie del Mezzogiorno. De Stefano si inserisce in questa tradizione con rispetto, ma senza riuscire a scardinarne le convenzioni.
Il triangolo Sasà-Rusè-criminalità è una struttura narrativa ormai codificata, così come lo è l’uso dell’hip hop come colonna sonora esistenziale del disagio giovanile. Anche la parabola ascesa-caduta, con l’illusione del riscatto seguita dall’inevitabile capitolazione, appartiene a un repertorio che rischia l’automatismo. Ciò che manca a “Malavia” è forse un punto di vista inedito, uno sguardo che riesca a illuminare questa realtà da un’angolazione ancora inesplorata. Il film racconta con onestà, ma non riesce a sorprendere; colpisce, ma secondo modalità già note.
Questo non significa che “Malavia” sia un’opera inutile. In un paese che troppo spesso dimentica le sue periferie, ogni racconto che riporta al centro queste esistenze ai margini ha una sua legittimità. Il film di De Stefano documenta con precisione etnografica un mondo dove i tredicenni hanno gli occhi di chi ne ha già visto troppo, dove le madri sono poco più che ragazze e dove il futuro è un concetto astratto, quasi beffardo. C’è dignità in questa testimonianza, c’è impegno civile, c’è la volontà di non voltare lo sguardo altrove. “Malavia”, quindi, resta intrappolato nella zona grigia tra il documentario sociale e la fiction drammatica, senza riuscire a sfruttare appieno le potenzialità di entrambi i linguaggi.
In conclusione
Il film di Nunzia De Stefano è un’opera sincera e dolorosa, animata da genuine intenzioni etiche e da un’evidente volontà di dare voce a chi voce non ha. Ma nella sovraffollata galleria di ritratti delle periferie italiane contemporanee, “Malavia” finisce per essere una testimonianza rispettabile più che una rivelazione necessaria. Un film che merita rispetto per il suo impegno, ma che lascia lo spettatore con la sensazione di aver già attraversato quelle strade, di aver già conosciuto quel dolore, di aver già pianto per quei sogni infranti.
Note positive
- Scrittura
- Regia
- Recitazione
Note negative
- Storia e personaggi già visti
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3.1
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