Nomadland (2020): lo stile nomade come viaggio metaforico della vita

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Trailer del film Nomadland

Nomadland è il terzo lungometraggio indipendente della regista, sceneggiatrice e produttrice cinese Chloé Zhao, dopo The Rider – Il Sogno di un Cowboy (2017) e Songs My Brothers Taught Me (2015). Zhao dirigerà l’atteso film della Marvel, Eternals (uscita prevista per il 5 novembre 2021), essendo questo il suo primo lavoro mainstream.

Il film è basato nel libro di no finzione Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Century della giornalista statunitense Jessica Bruder.

Tra i molti premi e nominazioni che ha ricevuto il film figurano il Leone d’Oro alla 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e il Golden Globe per il “Miglior Film Drammatico” e per “Miglior Regista”. Inoltre, Nomadland è stato il film più premiato ai BAFTA 2021 per “Miglior Film”, “Miglior Regia”, “Miglior Attrice Protagonista” e “Miglior Fotografia”.

Il lungometraggio che vede tra i produttori la sua stessa protagonista, Frances McDormand, si è pure aggiudicato sei nomination agli Oscar 2021 per “Miglior Film”, “Miglior Regista”, “Migliore Attrice Protagonista”, “Migliore Sceneggiatura Non Originale”, “Miglior Fotografia” e “Miglior Montaggio”, di cui ha vinto “Miglior Film”, “Miglior Regia” e “Migliore Attrice Protagonista”.

Nomadland arriverà in Italia il 30 aprile 2021 su Star all’interno di Disney+.

“Non sono una senzatetto. Sono senza casa. Non è la stessa cosa.”

Fern (Frances McDormand) Cit. Nomadland

Trama di Nomadland

Dopo il collasso economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern (Frances McDormand) carica i bagagli sul proprio furgone e si mette in strada alla ricerca di una vita fuori dalla società convenzionale, come una nomade moderna. Accompagnata da diversi nomadi reali come Linda May, Swankie e Bob Wells, Fern esplora i vasti paesaggi dell’Ovest americano in un viaggio di scoperte e guarigione che cambierà se stessa per sempre.

“Noi non solo accettiamo la tirannide del dollaro e la tirannide del mercato: noi l’abbracciamo. Ci assoggettiamo volentieri al giogo, alla tirannia del dollaro che ci accompagna per tutta la vita. Penso all’analogia con il cavallo da soma… Il cavallo da soma che è disposto a lavorare fino all’estremo per poi essere messo da parte e questo accade a così tanti di noi. Se la società vuole gettarci via, mettere noi cavalli da soma da parte, noi dobbiamo radunarci e prendervi cura gli uni degli altri ed è questo il punto: per come la vedo io, il Titanic sta affondando, la situazione economica sta cambiando e quindi il mio obiettivo è calare il mare e le scialuppe e mettere in salvo più persone possibili.”

Bob Wells Cit. Nomadland

Recensione di Nomadland

Anche se la pandemia del Covid-19 ha rappresentato una vera “catastrofe” pure per l’industria cinematografica, non sono sicuramente mancati dei titoli da vedere (almeno tramite le piattaforme streaming), come neanche sono mancati i riconoscimenti per Nomadland, il terzo lungometraggio della regista e sceneggiatrice cinese Chloé Zhao.

Zhao, anche produttrice e montatrice, si conferma con questo film come un riferimento del cinema indipendente contemporaneo. Il suo lavoro indie, indirizzato più verso le tematiche sociali e con l’interesse particolare nella cultura storica del Midwest statunitense, aveva già avuto riscontri positivi con il suo secondo film The Rider – Il Sogno di un Cowboy (2017), che ha vinto il Premio Art Cinema del Festival di Cannes lo stesso anno.

Nomadland, invece, ha iniziato il suo percorso di successo nella stagione di premiazioni qui in Italia, aggiudicandosi il Leone d’Oro nella 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in un’edizione particolare data l’emergenza sanitaria mondiale.

Da Venezia è partita, quindi, la strada verso gli Oscar dove ora concorre in ben sei categorie con la (quasi) certezza di vincere in quelle principali, salvo sorprese. Ma qual è la storia che racconta Nomadland? E innanzitutto, qual è il merito di questo film?

Con gli occhi da chi non è originaria del paese ma è ormai amalgamata alle radici statunitensi, Chloé Zhao fa una rilettura del cosiddetto “Sogno Americano” esplorando la vita di coloro che lo stanno ridefinendo e che abitano fuori le convinzioni sociali: i nomadi.

Frances McDormand (anche produttrice del film) interpreta Fern, una vedova sessantenne che ha dovuto lasciare la città mineraria Empire (in Nevada) dove ha vissuto praticamente tutta la sua vita, questo dopo la chiusura permanente dell’impianto della US Gypsum Corporation nel 2011. In questa industria di lastre di roccia lei lavorava insieme al marito ormai deceduto. Il fallimento del rinomato impianto serve, a sua volta, per contestualizzare questa storia dentro la crisi economica generata dal crollo finanziario del 2008 negli Stati Uniti.

Dopo di perdere la sua casa, il suo compagno di vita e anche la sua comunità, Fern non vede altre opzioni per restare una donna indipendente oltre al vivere nel suo furgone, nel quale percorre molti chilometri lungo l’Ovest del paese. Nel suo viaggio accetta qualsiasi lavoro può trovare per procurarsi un sostegno: da lavorare in un magazzino Amazon, fino ad attendere il bancone di un fast-food, o fare la hostess in un parco di camper.

Senza un posto fisso “proprio” dove andare, Fern intraprende la vita da nomade, della quale si mostra riluttante all’inizio cercando un lavoro stabile che per la sua età sembra impossibile da trovare. Impossibile gli risulta pure il fatto di avere dei benefici sociali degni (quale una pensione), dopo una vita lavorando da part-time e sotto contratti poco “giusti” che ora non gli permettono di invecchiare senza preoccupazioni e in maniera indipendente.

È così come Fern “sceglie” questo stile di vita minimalista (pur avendo amici e parenti che vogliono dargli una mano), un modo di vivere a cui si addentra pian piano conosce e fa comunità con altri nomadi che diventano i suoi mentori. I loro consigli e storie personali aiutano Fern non solo a saper affrontare la strada, ma soprattutto a trovare il senso della vita stessa e a riscoprire il significato della parola “casa”. Perché come ben ribadisce lei, i nomadi non sono dei “senzatetto”, solo non hanno una casa – convenzionale -.

“Il potere del cinema di finzione è ciò che mi ha colpito di più e mi ha ispirato a realizzare film, e in questo periodo stiamo correndo il rischio di dimenticare questo potere. Non volevo solo concentrarmi su qualcuno che usava la strada come un mezzo per un fine: non ero interessata a fare un commento sociale su quanto sia brutto il capitalismo americano. Preferirei vedere un documentario su questo argomento, girato da qualcun altro. Ciò che volevo fare era entrare in questo mondo ed esplorare un’identità americana unica: il vero nomade.”

Chloé Zhao, registra, sceneggiatrice, produttrice e montatrice di Nomadland

Tematiche affrontate in Nomadland

Per raccontare questa storia girata in sei mesi tra South Dakota, Nebraska, Nevada, Arizona e California, Chloé Zhao ha lavorato strettamente con la due volte Premio Oscar Frances McDormand (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri; Fargo; America Oggi), al punto di costruire addirittura insieme il camper dove vive Fern e creare il personaggio stesso della protagonista.

Stupita per il lavoro della regista cinese in The Rider-Il Sogno di un Cowboy, McDormand è quella che ha cercato Zhao per fare Nomadland (e voleva Chloé anche come attrice), un film basato sul libro omonimo di inchiesta di Jessica Bruder di cui l’attrice aveva già i diritti insieme a Peter Spears (produttore di Call Me By Your Name). A loro tre si aggiungono poi i produttori Dan Jovey e Mollye Asher (produttrice degli altri due film di Zhao). È così come si è iniziato a produrre questo road movie che nella sua finzione fa un ritratto abbastanza fedele dello spirito di vita nomade statunitense, ma non solo: mostra anche come i nomadi costituiscono un flusso di manodopera migratoria stagionale e, di conseguenza, una vera forza lavorativa oltre che conformare una semplice comunità minimalista e, per ignoranza, “giudicata”.

Dall’inchiesta di Bruder, perciò, viene presa la panoramica generale di ciò che sono i nomadi statunitensi, da una prospettiva sociale, economica e spirituale. Ma la trasposizione del libro va molto oltre a queste tematiche indagate in maniera giornalistica dalla scrittrice.

Il lavoro di Chloé Zhao in Nomadland ha un approccio documentaristico, anzitutto per l’uso di nomadi reali che interpretano se stessi tra cui Linda May, Swankie e Bob Wells (organizzatore del raduno annuale di nomadi Rubber Tramp Rendezvous), che appaiono pure nel libro. Questo approccio si estende, inoltre, al suo metodo di produzione e ripresa: gruppo di lavoro ristretto in modo da poter immergersi più facilmente in questa comunità, rielaborazione giornaliera della sceneggiatura a seconda delle scoperte e testimonianze ottenute, e soprattutto passare del tempo insieme ai nomadi per guadagnarsi la loro fiducia e avere un rapporto genuino e rispettoso che potesse aiutare a raccontare loro nella maniera più veritiera possibile.

Nonostante sia il nomadismo la tematica centrale, dire che il film fa solo una rivisitazione al riguardo sarebbe rimanere troppo nel superficiale, È giustamente la ricchezza dei contenuti trattati ciò che rende questo film un prodotto che vale in ogni suo singolo elemento.

La critica al sistema economico capitalista e alla mancanza di protezione dei lavoratori è evidente nella sceneggiatura di Zhao, quanto la discriminazione basata sull’età negli Stati Uniti. Queste tematiche servono da cornice e non prendono mai il posto da protagonista che occupano, senza dubbio, le persone che vivono ai margini della società come i nomadi.

Il veicolo della storia di Nomadland viene costituito, perciò, dallo stile di vita nomade e dal contesto socioeconomico del paese, ma il film invita a fare una lettura ancora più profonda.

Fern viene spinta a diventare nomade non solo per cause economiche e perdite materiali, ma per un bisogno interiore. Da un lato, il rimanere una donna indipendente dal sostegno della sua famiglia. Dall’altro lato, il superamento del dolore della perdita del marito e di tutto ciò che aveva e che ha conosciuto dalla vita fino a ora. Quindi tramite la protagonista si attraversa un dramma esistenziale e d’identità personale, che trova una sua guida nei nomadi e che si rifugia nel ritorno alle radici dell’essere umano, ossia alla Madre Terra. In questo senso, la natura è una fonte di sapienza e ispirazione, una medicina per l’anima oltre a essere la “casa” comune dei nomadi e di tutti gli esseri viventi.

Il viaggio di Fern non è solo fisico, ma è specialmente interiore… Un viaggio pieno di gioie e difficoltà, sogni e tante volte di sconforto, di guadagno e di perdite lungo la strada… È un viaggio metaforico dell’esistenza umana.

Nomadland rappresenta, perciò, la vita stessa: una storia di scoperte, guarigione, persone che vanno via e altre nuove che arrivano… Un percorso dove c’è il bisogno di ascoltare se stessi per ritrovarsi, dove c’è in gioco l’intelligenza emotiva e l’indipendenza non solo economica e materiale, ma di pensiero e di spirito che si raggiunge solo liberandosi dal passato per andare avanti e riuscire ad avere una vita veramente “propria”.

“Come diceva mio padre: ciò che viene ricordato, vive. Forse ho passato troppo tempo della mia vita solo a ricordare.”

Fern (Frances McDormand) Cit. Nomadland

Una storia profonda raccontata con semplicità

Nomadland è un film dalla forma minimalista, sia nella narrazione visiva, sia nel trattamento del conflitto e dei personaggi nella sceneggiatura. Questo tono “sereno” e quasi imperturbabile del film, voluto e spontaneo come lo stesso modo di lavorare di Chloé Zhao, gioca sia in favore che contro.

Da una parte, la sceneggiatura riesce a vincolare perfettamente le tematiche e il loro contesto con il conflitto della storia, esaltando più che altro lo stile di vita nomade. In questo senso, la scrittura viene rafforzata dall’ottima regia di Zhao e dalla stupenda fotografia di Joshua James Richards (responsabile pure dei due film precedenti della cineasta) che danno prevalenza all’ambiente dove interagiscono i personaggi, ossia ai vasti paesaggi naturali, con molti campi lunghi e pochi movimenti di macchina. Una semplicità bella e funzionale che rispecchia, tra l’altro, la solitudine, il distaccamento dalle cose materiali e la parte introspettiva che caratterizzano la vita da nomade. Il cuore di Nomadland è, indubbiamente, nel linguaggio visivo.

Un altro aspetto positivo da sottolineare è il personaggio di Fern. L’interpretazione eccezionale di Frances McDormand, al di là della sua bravura dimostrata in ogni sua performance, si deve in buona misura alla costruzione del suo ruolo da protagonista. Non è un caso che Frances e Fern sembrinouna persona sola. Visto che tanto lei come David Strathairn (candidato all’Oscar per Good Night, and Good Luck e amico stretto della McDormand) dovevano recitare insieme ad attori non professionisti, i loro personaggi sono stati sviluppati con molte caratteristiche vere di entrambi (compresi i loro nomi Fern e Dave). Questo per incorporare i due attori nel miglior modo possibile ai nomadi reali che interpretano se stessi. Infatti, uno dei grandi meriti di Zhao come regista e sceneggiatrice di Nomadland è giustamente questa sua capacità di rendere impercettibile la differenza tra realtà e finzione, creando una storia omogenea e completamente credibile.

La regia, la sceneggiatura e la fotografia formano un’armonia poetica, insieme a un sound design molto curato che risalta i suoni della natura e una colonna sonora potente (non originale) composta dalle musiche di Ludovico Einaudi appartenenti al suo ultimo lavoro intitolato Seven Days Walking. Il compositore italiano si era ispirato pure alle emozioni e stimoli che ha sperimentato nelle sue passeggiate sulle Alpi italiane ed è stato questo il motivo per cui Zhao ha scelto i suoi brani.

Nonostante Nomadland ha tutti questi pregi, c’è un aspetto che potrebbe essere considerato “debole” nel film. La trasformazione del personaggio di Fern è sottile quanto lo sono gli snodi narrativi, principalmente, perché il conflitto della protagonista è più interiore e, di conseguenza, non così evidente per chi non fa molta attenzione. A questo si aggiunge il fatto che il film si prende abbastanza tempo mostrando i racconti personali dei nomadi che, anche se sono funzionali al conflitto, forse possono sembrare predominanti alla trama stessa.

Tutto questo rende il film un po’ lento nei suoi ritmi, in particolare per chi aspetta di vedere azioni contundenti o per chi predilige l’intrattenimento sopra l’apprezzamento del film pure come una forma d’arte per raccontare storie.

Nomadland è molto più che due ore di un viaggio in un camper. Ciò che succede è importante quanto i posti dove succede. In questo equilibrio, segnato da contrasti tosti e belli, si esplora una modalità di vita che potrebbe sembrare “aliena” e perciò “giudicata” dalla società, e si fa con uno sguardo semplice e profondo che offre delle riflessioni sentite riguardo al concetto di casa, sugli anziani nel tessuto sociale, sul sistema economico, sull’idea di gentilezza umana, sulla vita e la morte, parlando in maniera intima a ogni spettatore.

Il riconoscimento che ormai gode Nomadland dovrebbe essere letto dal punto di vista del grande lavoro artistico e tecnico che è stato fatto da Chloé Zhao con un budget ridotto (circa cinque milioni di dollari), con uno sguardo contemplativo e metodo genuino che ha portato avanti con un gruppo ristretto di professionisti (se paragonato a grandi produzioni come il suo prossimo film Eternals della Marvel), riuscendo a raccontare con una semplicità poetica il nomadismo come parte della cultura americana, ma soprattutto una storia profondamente esistenziale che rispecchia quella di tante altre persone nel mondo, specialmente in questi tempi difficili dove in tanti hanno perso il lavoro e anche cari affetti.

Risulta assurdo che invece di esaltare i meriti di questo film e di Zhao come cineasta indipendente, in tanti si concentrino a ribadire come l’unica cosa rilevante il fatto che lei è donna ed è la prima “di colore” asiatica-statunitense ad essere candidata all’Oscar e a tanti altri premi. Il “politicamente corretto” di “moda” crea di nuovo (e paradossalmente) le sue “ingiustizie”.

Ma certamente, chi non rimane nel superficiale e va sempre oltre, apprezzerà Nomadland per ciò che è e per il suo significato, una valutazione che non è “orfana” visto che ha un suo perché di fondo, ma particolarmente perché il film semina le sue radici nell’interiore di chi lo vede con gli occhi di un’anima come quella di Fern che ha delle ferite da guarire per poter continuare lungo la strada.

“Una delle cose che amo di più di questa vita è che non c’è un addio definitivo. Ho conosciuto centinaia di persone qua giù. Io non dico mai addio per sempre, dico solo ‘ci vediamo lungo la strada’.”

Bob Wells Cit. Nomadland

NOTE POSITIVE

● La regia di Chloé Zhao e la sua capacità di raccontare una storia profonda con una semplicità accattivante, che rialza la parte spirituale e introspettiva che dà forma alla storia. Notevole l’ottimo lavoro insieme a Frances McDormand e gli altri attori e nomadi veri che danno le loro testimonianze senza mai percepirsi il confine tra la realtà e la finzione.

● Il taglio documentaristico della sceneggiatura di Zhao, al coinvolgere dei nomadi reali (Linda May, Swankie, Bob Wells) che appaiono anche nel libro omonimo di inchiesta di Jessica Bruder in cui si basa il film. La mancanza di esperienza recitativa di loro, così come il confine tra realtà e finzione, sono impercettibili grazie alla buona regia e scrittura di Zhao.

● L’interpretazione eccezionale di Frances McDormand. Fern è un personaggio fatto alla sua misura che non poteva essere incarnato da un’altra attrice, ma solo da lei.

● La fotografia di Joshua James Richards caratterizzata da piani generali che mettono in risalto i paesaggi dell’Ovest americano, ma che soprattutto fanno parte essenziale del racconto della vita dei nomadi, della solitudine e della connessione interiore che specialmente il personaggio di Fern cerca in questo viaggio. Questo viene rafforzato da un buon uso della luce anche naturale e da una palette che mischia i colori della natura (toni blu, marroni, verdi). Tutta la narrazione visiva sicuramente è potenziata dai costumi minimalisti e dal lavoro posteriore di color grading.

● La musica immersiva (non originale) di Ludovico Einaudi, elemento chiave dell’emotività che trasmette il film.

NOTE NEGATIVE

● Il film potrebbe sembrare lento per i suoi ritmi narrativi.

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