Pachinko – La moglie coreana – Prima stagione (2022). Epopea familiare dall’essenza forte e poetica

Recensione, trama e cast della serie Pachinko - La moglie coreana (2022). Una saga familiare che esplora la discriminazione dei coreani in Giappone

Condividi su

Trailer di “Pachinko – La moglie coreana”

Informazioni sulla serie e dove vederla in streaming

Basata sull’omonimo romanzo della scrittrice coreana Lee Min Jin, la serie americana, rilasciata in esclusiva su Apple TV+ dal 25 Marzo 2022, è stata accolta sin da subito con grande successo, specialmente grazie alla presenza di attori di fama internazionale come Lee Min-ho e il premio Oscar Youn Yuh-jung. Apprezzate in modo particolare la fotografia, la sceneggiatura e le musiche, con menzione d’onore alla sigla.

La serie ha inoltre ottenuto nomination e premi significativi, tra cui il Critics choice award come migliore serie straniera e la nomination al Satellite Award come migliore mini serie.

Trama di “Pachinko – La moglie coreana”

La serie, seguendo gli sviluppi del romanzo di Lee Min Jin, ripercorre la storia su più piani temporali tra loro intrecciati di tre generazioni di una famiglia coreana a partire dagli inizi del 900′, in una Corea travolta dalla dominazione giapponese, fino alla fine degli anni 80’, in un Giappone diviso tra innovazione e crisi imminente. Al centro delle vicende, nonché anello di congiunzione di tutti i personaggi, vi è Kim Sunja( interpretata da Kim Min-ha nella prima fase e da Youn You-Jung nella seconda).

Sunja, nata donna in un Paese povero e sfortunato, la Corea soggiogata dall’impero giapponese, è una figlia del miracolo: sin dalla sua infanzia cresce infatti intelligente e curiosa, perché spronata dal padre a scoprire quante più cose possibili, ma anche e soprattutto astuta, diversa dalle sue coetanee. Nonostante il suo approccio alla vita, l’attrazione e la successiva passione verso il ricco commerciante Koh Hansu(Lee Min-ho), un coreano trapiantato in Giappone, cambiano le sue sorti con una gravidanza non voluta e un figlio non riconosciuto dallo stesso Hansu, già sposato in Giappone. È a quel punto, in quegli anni così difficili perché precedenti alla Seconda guerra mondiale, che la vita, fino a quel momento tranquilla, di Sunja cambia. Divenuta sposa per salvare la propria dignità del pastore Baek Isak (Steve Noh), uomo dolce e comprensivo, verso il quale l’iniziale simpatia diverrà amore, si trova a doversi trasferire a Osaka, abbandonando sua madre e la sua vita di sempre per l’ignoto, ma soprattutto per un mondo all’insegna della povertà, della discriminazione razziale, della brutalità del regime giapponese, un mondo nel quale cercherà tuttavia di costruire il migliore dei futuri possibili per il suo primo figlio Noa, nato dalla sua prima unione con Hansu, e Mozasu, nato dal suo matrimonio con Isak. Parallelamente alle sue vicende, la serie segue negli anni 80’ il punto di vista di suo nipote Baek Salomon(Ha Jin), figlio di Mozasu, giovane uomo orgoglioso e ambizioso, cresciuto all’ombra delle sue origini coreane, in visita dagli Stati Uniti alla nonna in Giappone per portare avanti nuovi investimenti, non senza difficoltà legate alle sue origini, non senza nuove scelte difficili da intraprendere, all’ombra della sala Pachinko, gioco d’azzardo giapponese, simbolo dell’intera famiglia, collante di quella presenza coreana a Osaka, al centro di tutte le vicende dei personaggi nel passato come nel presente.

Minha Kim e Steve Sanghyun Noh in “Pachinko - La moglie coreana”
Minha Kim e Steve Sanghyun Noh in “Pachinko – La moglie coreana”

Recensione di “Pachinko – La moglie coreana”

Se a prima vista “Pachinko” potrebbe sembrare una vasta e dispersiva epopea familiare, una visione approfondita mostra come in realtà la serie, splendida in primis per le performance attoriali, sia costruita per unire vicende di un privato familiare complesso e delicato con quelle di un popolo intero, non soltanto quello coreano, sottomesso al Giappone per oltre trent’anni, ma in particolare il popolo dei coreani in Giappone, i cosiddetti “Zainichi, apolidi e senza pace, perchè cresciuti lontani dalla Corea, ma mai riconosciuti come cittadini in Giappone. La diversità generazionale che attraversa l’intera serie e l’incontro-scontro di più piani temporali sono funzionali alla narrazione di una condizione perenne, al riconoscimento di una diversità, che diventa motivo di emarginazione nella vita di Sunja, come in quella dei suoi figli, Noah e Mozasu e, in ultimo, persino in quella di Solomon. È in questo modo che “Pachinko” apre una pagina di storia a noi sconosciuta, ma riapre anche ferite recenti, come il trattamento delle donne sinocoreane nei territori occupati, i massacri di coreani Zainichi, come quello avvenuto in seguito al terremoto del Kanto del 1923 o la repressione dei movimenti operai. Tocca delicatamente e tragicamente ciascuno di questi temi, che segnano di volta in volta i personaggi, senza mai tuttavia trascurare alcun dettaglio, specialmente nelle pieghe che la discriminazione dei giapponesi nei confronti dei coreani assume, periodo dopo periodo, dal trattamento del popolo coreano, servo dell’invasore nella propria terra, a quello come manodopera povera e ritenuta non civilizzata per le proprie usanze, sino alla più fine discriminazione ancorata alle differenze linguistiche o di espressione nel mondo degli affari.

Se da un lato la discriminazione, in primis sotto gli occhi di Sunja, è un elemento fisso in tutta la serie, dall’altro sono proprio gli approcci dei diversi personaggi nelle diverse epoche a cambiare e a mostrare una presa di coscienza della continua lotta alla sopravvivenza crescente in una terra, il Giappone, che rimarrà sempre ostile al di là di qualsiasi livello di integrazione. Se Sunja affronta il suo destino in modo combattivo e pragmatico, intraprendendo qualsiasi azione per mantenere in vita i propri figli e adoperandosi con ogni mezzo per una vita dignitosa, Solomon, giovane altamente ambizioso, in un’epoca ormai libera, anche se solo apparentemente, da regimi  e dittature di pensiero, reagisce alle provocazioni , lotta contro la stessa bestia nera del razzismo e dell’estraneità in patria in modo diverso dalla propria nonna, più impulsivo e a tratti disperato, incapace di comprendere come in un Giappone così apparentemente tanto all’avanguardia possa ancora emergere un odio così sottile, ma al tempo stesso sfacciato, per il diverso. Sunja e Solomon rappresentano così due risvolti generazionalmente diversi della stessa medaglia ed è proprio questo a legarli, ma non è tutto. L’intera serie si costruisce infatti su un costante dualismo nelle modalità in cui i personaggi interagiscono con il proprio destino, a partire dai due co protagonisti maschili: Hansu e Isak, il primo pragmatico e opportunista, perché segnato da un passato doloroso, il secondo buono, ma al tempo stesso così tanto idealista da affrontare a sue spese le conseguenze del proprio libero pensiero. Così questa dualità prosegue incessante anche nella generazione successiva, quella dei figli di Sunja, Noa e Mozasu, diversi sin dalla scelta del proprio destino durante il caratteristico rito coreano del doljabi. In ultimo lei, Sunja, la protagonista, è scissa tra questi due approcci alla vita, che in un certo qual modo le appartengono nella stessa proporzione, proprio come le appartengono e le stanno a cuore i suoi due amori, quello per Hansu, un’attrazione per lei inevitabile, e quello per Isak, un amore pieno, comprensivo, seppur apparentemente più tenero che passionale.

Sunja risponde ed è dentro alle logiche del suo destino, marcato dalla presenza ineffabile, ma tangibile in più scene, della fortuna, da donna coraggiosa, forte, ma anche amorevole sin dagli inizi e si potrebbe dire che è proprio nella sua stessa esistenza, nel modo in cui reagisce alle disgrazie e ai disonori, ai dolori e alle paure, che si esprime la metafora del Pachinko, un gioco d’azzardo disonorevole da commercializzare in Giappone, ma al tempo stesso accattivante, perché capace di confondere e attrarre il giocatore in un continuo vortice di scelte e fortuna.

Non di minor importanza risultano tuttavia nella visione di questa serie gli aspetti tecnici: non solo la fotografia preziosa regala infatti delle inquadrature poetiche per gli standard delle serie tv, ma anche la ricerca linguistica effettuata merita attenzione, dando spazio non soltanto a tre lingue differenti, ma anche ai dialetti, come quello di Jeju dei primi del 900′,

In ultimo, parlando di Pachinko non si può non parlare delle scelte musicali effettuate proprio dai registi in primis, in particolare per quanto riguarda la sigla, un’allegra sequenza di passi di danza sulle note di “Let’s live for today”, resa allo spettatore appositamente per creare contrasto con la drammaticità delle storie raccontate, che contribuisce senz’altro a rendere “Pachinko” un prodotto televisivo di grande qualità su cui volgere l’attenzione.

Mari Yamamoto in “Pachinko - La moglie coreana”
Mari Yamamoto in “Pachinko – La moglie coreana”

Cosa aspettarci dalla seconda stagione?

Se i primi 8 episodi hanno regalato agli spettatori un intricato mosaico di Storia e vicende familiari, di amore e violenza, di drammi adulti, ma anche di tenerezze infantili, la seconda stagione, focalizzata sulla seconda guerra mondiale e sul dopo guerra, particolarmente doloroso per il Giappone, di cui i primi due episodi sono già disponibili, promette altrettante emozioni, ma, soprattutto, di coinvolgere il mondo occidentale in un panorama storico troppo spesso poco presente sui nostri libri di Storia. Non c’è dubbio che, viste le premesse di questa prima stagione, anche la seconda terrà lo spettatore col fiato sospeso fino all’ultimo episodio, ricreando proprio quella stessa magia di una sala Pachinko.

In conclusione

“Pachinko” emerge come una serie avvincente e complessa che intreccia la storia personale e quella collettiva con maestria. Attraverso le vite di Sunja e dei suoi discendenti, la serie esplora la dura realtà della discriminazione e dell’emarginazione vissuta dai coreani in Giappone, rivelando le sfumature di un’esperienza storica spesso ignorata. La forza dei personaggi, accompagnata da una narrazione visivamente e tecnicamente impeccabile, fa di “Pachinko” non solo una cronaca di lotta e sopravvivenza, ma anche un’opera di grande rilevanza e riflessione. La serie riesce così a unire il racconto intimo con la grande storia, lasciando un’impronta duratura nello spettatore.

Note positive

  • Performance attoriali eccezionali
  • Narrazione complessa che unisce storia personale e collettiva
  • Fotografia e ricerca linguistica di alta qualità

Note negative

  • La narrazione può apparire dispersiva per alcuni
  • I salti temporali e le diverse prospettive potrebbero confondere
  • Il contrasto tra la sigla e il contenuto drammatico può sembrare discordante a chi cerca coerenza tonale
Condividi su
Francesca Sansone
Francesca Sansone

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.