The Host (2006): i mostri dell’indifferenza

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The Host locandina

The Host

Titolo originale: Gwoemul

Anno: 2006

Nazione: Corea del Sud

Genere: Horror, Fantascienza

Casa di produzione: Chungeorahm Film, CJ E&M Pictures

Distribuzione italiana: Punto Zero

Durata: 119 min

Regia: Bong Joon-Ho

Sceneggiatura: Bong Joon-hoHa Won-junChul-hyun Baek

Fotografia: Kim Hyung-Ku

Montaggio: Kim Sun-min

Musiche: Lee Byung-woo

Attori: Song Kang-ho, Byeon Hie-bong, Park Hae-il, Bae Doo-na, Go Ah-sung, Paul Lazar, Scott Wilson

Trailer originale di The Host (2006)

A un anno dallo scontro titanico tra il Gigante di Skull Island e il Dinosauro radioattivo, a pochi mesi dal terzo successo cinematografico firmato Jordan Peele e tra le sporadiche segnalazioni di un contagio, quale circostanza migliore per recuperare la visione del Monster Movie coreano? Tra mascherine chirurgiche e pescioni infetti, il maestro Bong Joon-Ho è pronto a farsi riscoprire, reinterpretare e, qualora servisse, rivalutare; il film è disponibile nel catalogo Netflix in lingua originale sottotitolato.

Trama di The Host

Gli scarti chimici di un obitorio vengono intenzionalmente smaltiti attraverso il sistema fognario e, riversandosi nel fiume Han, ne contaminano le acque; una mutazione genetica indotta dall’inquinamento trasforma un pesce in una creatura anfibia dalle dimensioni smisurate. Il mostro, attirato con del cibo, fuoriesce dall’acqua e massacra i passanti inermi per poi rinabissarsi nel fiume portando via con sé il corpo, probabilmente esanime, di una bambina. Viene per giunta diramata un’allerta virus a causa di un batterio riconducibile alla mostruosità stessa. Il padre (Song Kang-ho) della piccola scomparsa, entrato in contatto con il sangue dell’animale, viene giudicato infetto dal governo e quindi trattenuto, insieme alla famiglia, in stato d’isolamento forzato. Quest’ultimo si darà alla fuga nel disperato tentativo di rintracciare la figlia, trovandosi contemporaneamente a fronteggiare l’anomala creatura e le forze di polizia coreane.

Fotogramma di The Host (2006)
Fotogramma di The Host (2006)

Recensione di The Host

Sin dai primi minuti Bong Joon si dimostra estremamente riconoscibile e nessun elemento lascia spazio ad ambiguità sulla provenienza della pellicola. Come nel più celebre Parasite, la narrazione si snoda a partire da un MacGuffin, semplice ma incisivo quanto basta da stimolare già in incipit una riflessione critica; un utilizzo consapevole dell’espediente narrativo è infrequente (i Coen insegnano) e già di per sé motivo di elogio. A sostegno di quanto espresso sopra, un certo racconto di chi risiede ai margini rimane una prerogativa anche del film in esame; lotta di classe e critica socioeconomica contraddistinguono pure questo Monster Movie a basso budget. Quello del regista sudcoreano è un modo amabile e progressista di fare cinema, che rigetta totalmente la gerarchizzazione dei generi cinematografici; in ogni contesto infatti, comico, demenziale od orrorifico che sia, è possibile collocare un sottotesto più o meno esplicito. Questa capacità di oltrepassare i generi, di sfumarne i bordi e di amalgamarli all’interno di uno stesso prodotto, rappresenta una costante nella filmografia di Bong Joon, che anche in questo caso crea un equilibrio miracolistico tra momenti di sana ilarità, di dramma e di terrore; a scene dai tratti “Gore” si intervallano istanti da “Spoof“. Torna pertanto la volontà di sperimentare e di rendersi accessibile assumendo le sembianze di uno spettacolo di puro intrattenimento adrenalinico. Nonostante i campi siano inevitabilmente più lunghi rispetto a opere come Snowpiercer, la povertà vive comunque d’inquadrature claustrofobiche e, persino qui, attimi di convivialità godono di un minutaggio generoso; non c’è mai fretta né si percepisce l’urgenza di tenere incollato lo spettatore.

I protagonisti all'interno del piccolo chiosco in cui vivono e lavorano - The Host (2006)
I protagonisti all’interno del piccolo chiosco in cui vivono e lavorano – The Host (2006)

Senz’altro uno dei punti di forza del film è la scrittura dei personaggi e la direzione degli attori, qui il suo feticcio Song Kang-ho è ai massimi livelli; è un asiatico biondo e nessuno perde mai l’occasione di chiamarlo stupido, da padre squattrinato qual è non riesce ad acquistare un cellulare per la figlia. Il cellulare è una figura simbolica che assume una certa valenza nel racconto, questa figlia rapita tenta in ogni modo di procurarsene uno per segnalare la posizione ai familiari, incontrando però di volta in volta ostacoli differenti. Chi nasce nella disgrazia non ha gli strumenti per affrancarsi, non c’è talento che regga e il senso di colpa di un genitore non conosce alibi; anche il povero nonno, tra una mazzetta e l’altra, si interroga sulle cause dell’ottusità del figlio, forse non ha ricevuto abbastanza proteine da piccolo, pensa in un momento di sconforto. In definitiva, tra laureati disoccupati e informatici sottopagati, i temi cari al nostro autore non mancano, ma rimangono più abbozzati, meno efficaci e troppo celati nelle allegorie; per di più, è molto facile perdersi nelle sovra letture considerando il nome del regista in questione. La raffigurazione stessa di un governo assolutista e cospirazionista, per quanto in linea con le moderne derive di pensiero, allo stato attuale rischia di apparire retorica e ridondante. Più a fuoco invece l’analisi ambientalista, che offre spunti interessanti e lascia aperti alcuni quesiti. Chi è il vero mostro? Chi è quest’ospite? Siamo noi uomini? Ospiti su una terra non nostra, incaricati di custodirla per chi verrà, offrendola inalterata, identica a come ci è stata donata. Queste immagini in movimento sono lo specchio nero di un popolo gretto, artefice della propria scomparsa, che con l’incuria e l’ingordigia anima forze distruttrici, la stessa indifferenza che sopprime l’empatia e porta il borghese a tollerare la fame altrui e la disuguaglianza.    

Il comparto tecnico è ineccepibile, superiore anche alle più fortunate produzioni successive. La costruzione della tensione è eccellente, la tempestiva collocazione dei lunghi silenzi restituisce un’angoscia tremenda e a questi si succedono, in modo ordinato, momenti Spilberghiani realizzati con la medesima cura. I colori sono fantastici e le immagini più sature si fondono con quelle più spente attraverso un montaggio ottimo. L’unico equilibrio mancato è quello contenutistico, che resta spaccato tra discorsi ora didascalici ora metaforici. Altra nota stonata è la messa in scena della creatura marina, che risente del budget contenuto e del passare degli anni e non regala sequenze esageratamente entusiasmanti.

In conclusione

Il film risulta, in certi frangenti, manchevole di un’identità definita e non sempre centra l’obiettivo; non spicca nessuno dei due lati, né quello puramente ludico né quello più critico. Non il miglior film di Bong Joon, meno deciso e sanguinolento di quanto lasciasse presagire, ma comunque un Monster Movie di tutto rispetto, girato e interpretato alla perfezione. A convincere in particolar modo è il finale, privo di inutili buonismi e capace di fomentare dibattiti coinvolgenti. Il nostro dimostra ancora una volta di poter far bene ovunque e di possedere i caratteri di un grande artista di genere, certamente il futuro lo porterà ad incontrare un pubblico esteso e differenziato, lontano dalla boria cinefila.

Note positive

  • Regia
  • Sceneggiatura
  • Scrittura dei personaggi
  • Performance attoriali
  • Toni della narrazione
  • Musiche

Note negative

  • Sottotesto difficile da decifrare e vagamente retorico
  • Computer grafica mediocre
  • Sembianze del mostro non particolarmente accattivanti
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