The Unforgivable (2021): il difficile (re)inserimento nella società

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Trailer di The Unforgivable

Disponibile su Netflix dal 10 dicembre, The Unforgivable è diretto dalla tedesca classe 1983 Nora Fingscheidt, vincitrice al Festival internazionale del cinema di Berlino 2019 del premio Alfred Bauer per Systemsprenger (2019), film candidato anche all’Orso d’oro. Sceneggiato da Peter Craig (The Town, B. Affleck, 2010), Hillary Seitz (Eagle Eye, D. J. Caruso, 2008) e Courtenay Miles (Mindhunter, 2019), il lungometraggio prodotto (anche) da Sandra Bullock è basato sulla miniserie TV Unforgiven (2009) con Suranne Jones nel ruolo di Ruth Slater. Il premio Oscar Guillermo Navarro (per Il labirinto del fauno, G. del Toro, 2006) cura la fotografia del film, mentre il tedesco Stephan Bechinger, già collaboratore di Nora Fingscheidt in Systemsprenger, condivide il montaggio con il due volte candidato all’Oscar Joe Walker (12 anni schiavo, S. McQueen, 2013; Arrival, D. Villeneuve, 2016). Musicato dal duo composto da David Flaming (Elegia americana, R. Howard, 2020) e il premio Oscar Hans Zimmer (per Il re leone, R. Allers, R. Minkoff, 1994), nel cast di The Unforgivable figurano la vincitrice dell’Academy Awards Sandra Bullock (The Blind Side, J. L. Hancock, 2009), Jon Bernthal (The Wolf of Wall Street, M. Scorsese, 2013), Vincent D’Onofrio (The Judge, D. Dobkin, 2014), Rob Morgan (Mudbound, 2017) e il premio Oscar Viola Davis (per Barriere, D. Washington, 2016)

Trama di The Unforgivable

Non è semplice riprendere a vivere dopo 20 anni trascorsi in un carcere, ma Ruth Slater (Sandra Bullock) intende comunque riallacciare i rapporti con il passato, quando non era ancora stata incriminata per aver compiuto un atto efferato. Il suo obiettivo, con l’aiuto dell’avvocato John Ingram (Vincent D’Onofrio), è rintracciare la sorella minore Katherine Katie” Malcolm (Aisling Franciosi), abbandonata poco prima di essere incarcerata, ma la sua speranza si scontra inevitabilmente con la comunità in cui vorrebbe reinserirsi, chiaramente decisa a non dimenticare ciò che ha compiuto…

Recensione di The Unforgivable

Il cinema, inteso come sceneggiatori e registi, è sempre stato attratto da caratteri (apparentemente) borderline come ricercati (o meglio fuggitivi) e detenuti; personaggi collocati oltre quel limite che confina la società da molti definita inopportunamente “comune”: la stessa in cui viviamo ma che volontariamente o meno tende verso un’eccessiva semplificazione, motivata da opportunismo o classica non conoscenza, del mondo che c’è oltre, certamente più complesso di quello che si può ritenere. Monster, la pellicola del 2004 diretta da Patty Jenkins che è valsa l’Oscar a Charlize Theron, ne è un esempio, con il personaggio di Aileen definito da una duplice (ma non solo) espressione: da un lato una spietata criminale, dall’altro persino capace di mostrare empatia per la giovane Selby (Christina Ricci). E lo stesso vale per due lungometraggi con la presenza di Clint Eastwood: Una calibro 20 per lo specialista (M. Cimino, 1974) e Un mondo perfetto (C. Eastwood, 1993), un eccellente road movie in cui il ricercato Butch Haynes (Kevin Costner) instaura un’amicizia quasi paternale con il piccolo Phillip “Buzz” Perry (T. J. Lowther). In questi casi, e in parte anche nella serie Netflix Orange Is the New Black (J. Kohan), viene spontaneo (e delle volte paradossale) avvicinarsi emotivamente, e addirittura apprezzare, quel protagonista ribelle che, per la sua conflittualità nei confronti degli “altri”, riesce persino a rappresentare un acculturato modello di anticonformismo, in cui la figura del detenuto/ricercato conquista delle potenzialità a livello sociologico.

Un aspetto che però può anche promuovere “cadute” nella più classica retorica, delineando un carattere che da “antagonista” diventa troppo rapidamente eroe. Un rischio che la giovane regista Nora Fingscheidt e il trio di sceneggiatori evita ampiamente, non solo per le caratteristiche di Ruth Slater presenti nello script, ma anche grazie all’eccellente interpretazione di Sandra Bullock. Per lei i tempi in cui accoglieva nella propria casa un potenziale giocatore di football americano (The Blind Side, J. L. Hancock, 2009) o navigava nello spazio (Gravity, A. Cuarón, 2013) sembrano trascorsi da decenni, tanto appare immedesimata in un carattere difficile, addirittura scorbutico, e pericolosamente incline alla già citata retorica. Ruth invece esce dal penitenziario conservando comunque quel realismo che dona spessore alla pellicola. È nervosa, spaventata, a tratti aggressiva, ossessionata da quel passato che ha condizionato tutto il resto e soprattutto decisamente vera. In tal senso, la Fingscheidt e i due montatori (Joe Walker e Stephan Bechinger) risultano apprezzabili per come stabiliscono un continuo rimando con ciò che è accaduto 20 anni prima, raffigurando in questo modo la personalità complessa di Ruth ma anche la difficoltà nell’andare avanti, nel riprendere la propria vita come se qualcuno l’avesse semplicemente sospesa. Nonostante alcuni passaggi di sceneggiatura non sempre all’altezza delle interpretazioni, il film è apprezzabile proprio per la capacità di definire un nuovo tema del genere, più incline all’introspezione psicologica e all’arduo inserimento in una società che spesso rifiuta, allontanando (anche istintivamente) ciò che non conosce. La lite tra Ruth e un’altra dipendente nell’azienda in cui lavora ne è un esempio, ma anche il comportamento di Blake (Jon Bernthal), modello di quell’atteggiamento condiviso da molti.

Eppure, la bravura della regista tedesca si nota anche nel trattamento di tali ruoli, caratterizzati non solo da un’apprezzabile (e non così diffuso) realismo, ma anche da un atteggiamento che sorprende, come la gentilezza dell’avvocato John Ingram, disposto ad aiutare Ruth nonostante i suoi precedenti, pur avendo dei reali (appunto) contrasti con la moglie Liz (Viola Davis). Azioni e reazioni che definiscono l’intero corso del film, con una pur ristretta comunità che diventa a sua volta “criminale”, importunando Ruth e logorandola psicologicamente. Sandra Bullock, come già espresso, riesce a interpretare la protagonista in modo esemplare, sconvolgendo le più comuni aspettative e dimostrando, anche grazie a primissimi piani, i contrasti della sua personalità. Che sono interiori, nascosti dietro a quello sguardo delle volte perso ma sempre indirizzato verso il suo obiettivo. Ovvero rintracciare ciò che resta della propria famiglia. Perché sì, anche una persona reclusa per 20 anni può ancora dimostrare di avere delle emozioni. E forse tentare in questo modo di avviarsi verso quella personale (e importantissima) redenzione che nessuna condanna potrà mai conferire.

Note positive

  • L’interpretazione di Sandra Bullock, capace di rappresentare il carattere complesso di Ruth Slater
  • La regia di Nora Fingscheidt
  • Il trattamento del principale tema del film da parte degli sceneggiatori Peter Craig, Hillary Seitz e Courtenay Miles

Note negative

  • Alcuni passaggi dello script, eccessivamente forzati e discordanti rispetto alla qualità (alta) del lungometraggio
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