Tutto quello che resta di te (2025). La famiglia come luogo politico

Recensione, trama e cast del film Tutto quello che resta di te (2025). Cherien Dabis racconta tre generazioni palestinesi tra memoria, identità e resistenza.

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Tutto quello che resta di te (2025) ©All That's Left of You - Immagine ricevuta per uso editoriale da Officine Ubu
Tutto quello che resta di te (2025) ©All That’s Left of You – Immagine ricevuta per uso editoriale da Officine Ubu

Trailer di “Tutto quello che resta di te”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Cherien Dabis, regista, sceneggiatrice e attrice palestinese-americana residente a New York, è una delle voci più originali e incisive della narrazione arabo-americana contemporanea. Attraverso il suo lavoro, ha ridefinito il modo in cui le identità mediorientali vengono rappresentate sullo schermo, portando alla luce storie intime e universali, spesso ignorate dal mainstream. Con uno stile che intreccia ironia, delicatezza e profondità emotiva, Dabis esplora temi come l’appartenenza, la migrazione, il conflitto culturale e le dinamiche familiari. La Dabis ha esordito alla regia con Amreeka (2009), un film scritto e diretto da lei, che segue il percorso di una madre palestinese immigrata negli Stati Uniti. Presentato al Sundance e premiato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes con il FIPRESCI Award, il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali e ha consacrato la cineasta tra i “Dieci registi da tenere d’occhio” secondo Variety. Nel 2013 ha scritto, diretto e interpretato May in the Summer, una commedia drammatica su una scrittrice palestinese-americana che torna in Giordania per affrontare il passato. Il film ha aperto il Sundance Film Festival ed è stato apprezzato per il suo tono intimo e riflessivo.

In televisione, Dabis ha diretto episodi di serie acclamate come Ramy (Hulu), Ozark (Netflix) e Only Murders in the Building (Disney+), dove nel 2022 è stata candidata agli Emmy Awards per la regia dell’episodio “Il ragazzo del 6B”, raccontato interamente dal punto di vista di un personaggio sordo. Variety lo ha definito “l’episodio dell’anno”.

Dopo aver dimostrato la sua versatilità come attrice in serie come Mo (Netflix), Fallout (Prime Video) eD Extrapolations (Apple TV+), Cherien Dabis torna dietro e davanti alla macchina da presa con il suo nuovo lungometraggio: All That’s Left of You (arabo: اللي باقي منك). Prodotto, scritto, diretto e interpretato dalla stessa Dabis, il film è un intenso dramma familiare che la vede recitare accanto a Saleh Bakri, Mohammad Bakri, Adam Bakri, Maria Zreik, Muhammad Abed Elrahman, Sanad Alkabareti e Salah El Din. Presentato in anteprima mondiale il 25 gennaio 2025 al Sundance Film Festival, la pellicola è stata selezionato come candidato ufficiale della Giordania per la categoria Miglior Film Internazionale agli Academy Awards del 2026. Dopo il Sundance, ha partecipato alla competizione ufficiale del Sydney Film Festival (giugno 2025), dove ha vinto il Premio del Pubblico per il Miglior Film Internazionale. È stato inoltre selezionato per l’8° Malaysia International Film Festival, dove sarà proiettato il 25 luglio 2025. In Italia, il film è distribuito al cinema, dal 18 settembre 2025, da Officine UBU.

Trama di “Tutto quello che resta di te”

Cisgiordania, 1988. Un adolescente palestinese si unisce con determinazione alle proteste contro l’occupazione militare. All’improvviso, il tempo si ferma. La madre, con il volto segnato da angoscia e urgenza, si rivolge direttamente a chi guarda, evocando le ferite di ieri e di oggi. Da quel momento, prende forma il racconto di tre generazioni di una famiglia sradicata, a partire dal 1948, quando oltre 700.000 palestinesi furono espulsi dalle loro case dalle milizie sioniste.

La narrazione si apre con Sharif, il nonno, costretto a lasciare Jaffa durante la Nakba. Nel 1978, il figlio Salim vive in un campo profughi in Cisgiordania, dove viene aggredito da soldati mentre torna a casa. Dieci anni dopo, nel pieno della Prima Intifada, è il giovane Noor a subire la violenza: colpito da un proiettile durante uno scontro, diventa il simbolo di una generazione che non ha conosciuto altro che resistenza.

Attraverso frammenti di memoria e momenti di vita quotidiana, la storia intreccia il vissuto personale con quello collettivo, restituendo un ritratto potente e struggente di un popolo privato della propria terra, ma non della propria dignità. È una cronaca intima e politica, che attraversa ottant’anni di storia palestinese, raccontando cosa significa esistere, resistere e tramandare identità in mezzo alla perdita.

Recensione di “Tutto quello che resta di te”

Una pellicola profonda, che ci parla di identità attraverso il racconto di un dramma familiare che attraversa tre generazioni. Tutto quello che resta di te di Cherien Dabis è molto più di una narrazione storica: è una trattazione politica e umana intelligente, obiettiva, acuta. Al tempo stesso, è un racconto intimo, che esplora le emozioni individuali e collettive, mostrando come la Storia — quella con la maiuscola — abbia condizionato vite, relazioni, auto-percezioni.

Dabis riesce a dare ai suoi protagonisti uno spessore narrativo ed emotivo straordinario, tracciando identità forti, affascinanti, complesse. Il film non si limita a denunciare l’ingiustizia subita dal popolo palestinese, ma lo fa attraverso il vissuto quotidiano di una famiglia disgregata, che cerca di restare unita nonostante tutto. La regista sceglie di raccontare la politica attraverso il privato, evitando la retorica e scegliendo la via dell’empatia.

Ritratto familiare e dimensione personale

Nel quadro delle vicende politiche, l’intensità del film nasce dalle storie personali. I rapporti tra nonno, padre e figlio — da Sharif arrestato nel 1948, a Salim umiliato nel 1978, fino a Noor, adolescente ferito durante una protesta nel 19883 — costruiscono un arco generazionale che riflette la continuità del trauma e della resistenza. Il dolore delle donne, la loro forza silenziosa, e l’allegria indomabile dei bambini contribuiscono a umanizzare la narrazione, rendendola universale.

L’intimità è descritta con grande sensibilità: le scene domestiche, le conversazioni sussurrate, gli sguardi, le pause. Talvolta le riprese risultano stranianti per la loro veridicità, come se la macchina da presa fosse invisibile, lasciando che la vita accada. Le vicende di queste persone conducono lo spettatore in un circuito di dolore, ma anche di amore, gioia e speranza. È proprio questa alternanza emotiva a rendere il film così potente: non è solo denuncia, è testimonianza, è memoria, è umanità.

Dabis non propone soluzioni, ma invita alla comprensione. Il valore del film risiede nella sua volontà di chiedere empatia, di farci ascoltare ciò che spesso viene semplificato o ignorato. Tutto quello che resta di te è un film che lascia il segno, che rimane dentro, che ci interroga sul significato dell’identità, della famiglia, della resistenza.

Rigore storico e sensibilità estetica

La regia di Cherien Dabis è caratterizzata da un profondo e crudo realismo, che si manifesta nella scelta di uno sguardo diretto, privo di artifici, capace di restituire con autenticità la vita quotidiana dei personaggi. La macchina da presa si muove con discrezione, ma con precisione chirurgica, soffermandosi sui paesaggi, sui dettagli delle abitazioni, sugli oggetti che raccontano storie silenziose. Ogni elemento visivo è carico di significato: le crepe sui muri, le fotografie incorniciate, le tende mosse dal vento. Nulla è decorativo, tutto è narrativo.

Le transizioni temporali, seppur improvvise, non spezzano la coerenza del racconto. Al contrario, si inseriscono con naturalezza nella struttura narrativa, contribuendo a costruire un flusso di memoria che attraversa le generazioni. Il montaggio e la fotografia — firmata da Christopher Aoun — lavorano in perfetta sintonia, creando un linguaggio visivo coerente, sobrio, ma potentemente evocativo. La luce, spesso naturale, scolpisce i volti e gli spazi con delicatezza, mentre il ritmo del montaggio accompagna le emozioni senza forzarle.

La memoria, in questa storia, non è semplice nostalgia. È un elemento salvifico, una chiave per comprendere il presente e per costruire un’identità collettiva. In un’opera che è al tempo stesso umana e politica, la memoria diventa strumento di resistenza, di trasmissione, di riconoscimento. Non si tratta di ricordare per rimpiangere, ma di ricordare per capire, per dare senso alle ferite, per riconnettere le storie individuali alla storia di un popolo.

Criticità della pellicola

Il film ha una durata importante — 145 minuti — che, considerata la densità della storia, può affaticare lo spettatore, soprattutto in virtù dell’empatia che inevitabilmente si sviluppa nei confronti dei protagonisti. In diversi momenti, anche la tensione emotiva tende a calare, rallentando il coinvolgimento. Inoltre si rischia un sovraccarico emotivo. La carica drammatica della narrazione è intensa e difficile da gestire, soprattutto in una visione cinematografica. In alcuni passaggi, il racconto rischia di avvicinarsi troppo al didascalico, perdendo parte della sua spontaneità. La storia resta assolutamente credibile e toccante, ma anche impegnativa da vivere per lo spettatore.

I passaggi narrativi e storici, talvolta netti e bruschi, comportano salti temporali di decenni che possono risultare poco chiari. Questo può distrarre dalla narrazione e generare confusione, soprattutto per chi non ha familiarità con il contesto storico.

In conclusione

Tutto quello che resta di te è un film potente, necessario, che mescola impegno civile e sensibilità artistica. Non è un film “solo politico”, ma un racconto umano capace di richiamare l’attenzione del pubblico mondiale su temi spesso semplificati o ignorati.

Pur con qualche limite di ritmo e con un’espansione narrativa che talvolta appesantisce la visione, il valore dell’opera risiede nella sua volontà di testimoniare, di fare memoria, di chiedere empatia — più che nel proporre soluzioni. È un film che lascia il segno, che rimane dentro.

Note positive

  • Regia sobria e potente, capace di grande empatia
  • Sceneggiatura stratificata e coerente
  • Fotografia evocativa e narrativa (Christopher Aoun)
  • Interpretazioni intense e credibili

Note negative

  • Durata impegnativa (145 minuti)
  • Ritmo disomogeneo in alcuni passaggi
  • Sovraccarico emotivo difficile da gestire
  • Difficoltà nel comprendere i passaggi storici per un pubblico che non conosce la storia palestinese.

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
4.3
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Laura Capuano
Laura Capuano

Sono giornalista free lance dal 2008, ho iniziato scrivendo di cinema e di arte contemporanea.
Mi occupo di comunicazione e marketing, fotografia e di cinema.