Una sirena a Parigi: Una forma dell’acqua alla francese

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Una sirena a Parigi

Titolo originale: Une sirène à Paris

Anno: 2020

Paese: Francia

Genere: Fantasy / Sentimentale / Commedia

Casa di produzione: Kinology, Overdrive Production, Timpel Pictures

Prodotto da: Sébastien Delloye

Durata: 1 hr 42 min (102 min)

Regia: Mathias Malzieu

Sceneggiatura: Stéphane Landowsky, Mathias Malzieu

Montaggio: Thibault Hague

Dop: Virginie Saint-Martin

Attori: Nicolas Duvauchelle, Marilyn Lima

RECENSIONE DI UNA SIRENA A PARIGI

Quintessenza dell’artista francese versatile e sentimentale, Mathias Malzieu è un cineasta e musicista prestatosi persino alla letteratura. Dal suo romanzo omonimo, difatti, arriva il soggetto per Una sirena a Parigi, fantasy moderno sulla più classica storia d’amore impossibile tra un essere umano e una creatura acquatica.

Ambientato nella capitale francese sospesa in un’atmosfera Anni Cinquanta, Una sirena a Parigi prende saggiamente (e giustamente) le distanze dalla grandeur dei film di genere oltreoceano per abbracciare la poetica del fantasy puro all’europea, quasi come se ci trovassimo davanti a una versione di La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro diretta da Jean-Pierre Jeunet (Il favoloso mondo di Amelie).

Dunque, sono banditi effetti speciali mirabolanti o ritmi pomposi. L’andamento è molto delicato e rilassato, non privo di gradevoli invenzioni visive, ma che punta per prima cosa al cuore.

Nicolas Duvauchelle e Marilyn Lima in Una sirena a Parigi

TRAMA DI UNA SIRENA A PARIGI

Gaspard (Nicolas Duvauchelle) è un cantante dall’animo tormentato che gestisce assieme al padre vedovo il Flowerburger, un locale dove clienti provenienti da ogni angolo di Parigi possono dare libero sfogo alle proprie pulsioni artistiche.

Un’improvvisa alluvione notturna fa straripare il Senna, e l’uomo trova per caso sulle rive del fiume la sirena Lula (Marilyn Lima). Malgrado gli avvertimenti della donna-pesce sulla sua natura pericolosa per gli esseri umani, Gaspard decide di portare a casa la creatura per prendersene cura…

ANALISI DI UNA SIRENA A PARIGI

Partiamo dalle riserve. Una sirena a Parigi non aggiunge nulla di particolarmente originale a un filone che negli anni, dall’erotismo implicito di Il mostro della laguna nera a Splash: Una sirena a Manhattan, ha esposto tutti gli argomenti che il tema dell’amore tra due mondi poteva dire; e se aggiungiamo alcuni momenti di stanca nella parte centrale e una manciata di raccordi farraginosi, allora si può dire tranquillamente di trovarsi davanti a un lungometraggio poco più che modesto.

Nicolas Duvauchelle in una scena di Una sirena a Parigi

Ciò che salva l’opera dalla trascurabilità totale è la sinergia artistica che ha permesso a Malzieu di confezionare un film esteticamente perfetto che, proprio per la sua natura di racconto favoloso dal tocco surreale, tira forte la corda dell’eccesso senza mai spezzarla davvero. Costumi, soluzioni cromatiche, contaminazioni meta-artistiche con il cartone animato e uso brioso delle musiche diventano così parte integrante del processo immaginifico, alimentando la tridimensionalità di una dimensione cinematografica dove il sense of wonder è il vero motore del tutto.

Mai stucchevole e borioso, Una sirena a Parigi rivendica la genuinità di uno stupore infantile davanti alle meraviglie del mondo, ma soprattutto è un apologo alla necessità tutta umana di amare e di provare sulla propria pelle le sofferenze che il sentimento può comportare, come testimoniato dalla poesia agrodolce del finale.

Certo, con una sceneggiatura più curata avremmo per le mani ben più di un film gradevole ed elegante, ma il gioco vale la candela e comunque si uscirà dalla visione appagati.

LATI POSITIVI

  • La sinergia immaginifica di tutte le componenti filmiche, dal comparto scenografico alla colonna sonora.
  • Il messaggio di fondo.
  • La recitazione piena di cuore.

LATI NEGATIVI

  • Non aggiunge nulla di nuovo al filone delle storie d’amore con creature acquatiche.
  • Qualche momento di stanca nella parte centrale.

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