When The Phone Rang (2024). Il cinema come memoria

Recensione, trama e critica del film When The Phone Rang (2024), un viaggio nella memoria di una bambina durante la disintegrazione della Jugoslavia

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Trailer di “When The Phone Rang”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Iva Radivojević è un’artista e regista di origine serba, nata nel 1980 a Belgrado e cresciuta tra l’ex Jugoslavia, Cipro e New York, che attualmente vive in Grecia, tra Atene e l’isola di Lesbo, luoghi che esplora attraverso i suoi cortometraggi, dove si occupa di tematiche a lei care, come la migrazione, la dislocazione e il senso di appartenenza. Temi che vengono affrontati con un approccio artistico in grado di fondere poesia, suono e immagine visiva. La formazione accademica di Radivojević è stata cruciale nella definizione del suo linguaggio artistico: ha conseguito un Master in Fine Arts (MFA) in Integrated Media Arts presso la City University of New York / Hunter College, una laurea in Illustrazione e Animazione al Computer presso la State University of New York / FIT, e un dottorato presso Villa Arson, Université Côte d’Azur, a Nizza, Francia.

I suoi film e cortometraggi hanno riscosso ampio riconoscimento a livello internazionale, con proiezioni nei principali festival come il Locarno Film Festival, il New York Film Festival, il Rotterdam International Film Festival e il CPH:DOX, oltre che in prestigiose istituzioni culturali come il Museum of Modern Art di New York. Le sue opere sono state anche commissionate da ARTE La Lucarne e Field of Vision. Tra i premi ricevuti si annoverano il Guggenheim Fellowship, la Sundance Art of Non-Fiction Fellowship e il Princess Grace Special Project Award. Oltre alla regia, Iva è una collaboratrice attiva in progetti di scrittura e, soprattutto, nel campo del montaggio, lavorando all’editing di MA (2015), presentato al Festival, di All That Passes By Through a Window That Doesn’t Open, di cui si è occupata anche della sceneggiatura, di A Machine to Live In (2020) e della pellicola King Coal, presentata al Sundance Film Festival 2023 e selezionata come Critics’ Pick dal New York Times.

Radivojević si distingue anche come artista multimediale. La sua installazione multicanale Enter The Aleph è stata esposta alla Biennale di Arte Contemporanea di Salonicco nel 2023, mentre il suo primo libro d’arte, Avenue of The Living, è stato pubblicato da Big Black Mountain Press ad Atene. Inoltre, ha esplorato la poesia con il chapbook Signatures, or the Bass Line of a Freighter Ship, edito da Bottlecap Press. Detto ciò, il suo effettivo debutto in un lungometraggio in veste di regista, dopo una lunga esperienza come montatrice, sceneggiatrice e regista di cortometraggi, è avvenuto nel 2021 con la realizzazione di Aleph.

La sua opera seconda, When The Phone Rang, è stata presentata in anteprima mondiale al Locarno Film Festival 2024, dove ha ricevuto una menzione speciale. In Italia il film è stato presentato in anteprima nazionale al Trieste Film Festival 2025, nella sezione dedicata al cinema serbo Wild Roses, il 19 gennaio alle 18:00 al Teatro Miela, e sarà disponibile fino al 22 anche sul sito MymoviesOne.

Trama di “When The Phone Rang”

Può una telefonata cancellare un’intera vita, un paese, la tua stessa identità? Lana, una bambina di 11 anni, in un venerdì del 1992, si trova a casa a vedere la televisione quando suona il telefono. La bambina risponde, apprendendo una terribile notizia: la morte del proprio nonno. Ora Lana diviene portatrice di una notizia tragica da comunicare a sua madre e alla propria famiglia. Questo è l’ultimo nitidissimo ricordo di Lana, il cui mondo da quel momento è destinato a cambiare radicalmente, portandola lontana da tutto ciò che ha conosciuto fino a quel momento, dai luoghi a lei più cari fino ai suoi amici. Ora le resta solo un lontano e sbiadito ricordo di un tempo e di una città che non esiste più.

Fotogramma del film When The Phone Rang
Fotogramma del film When The Phone Rang

Recensione di “When The Phone Rang”

È successo in un paese che non esiste più, tranne che nei libri, nei film e nei ricordi di quelli nati prima del 1995. Quando il telefono squillò era un venerdì, 10:36 del mattino, anno 1992 Questo paese esisteva ancora […] Quel momento, l’immediatezza della telefonata durò per giorni, settimane, persino mesi, come se fosse sospeso nel tempo e come se tutto il resto ruotasse intorno a quel momento di sospensione […] Nella sua giovane mente quella chiamata diede inizio alla guerra. Era l’unica memoria della vita di allora che ricordava nei dettagli. 

Prime parole pronunciate nel film da una voce fuori campo

When The Phone Rang è costituito da una narrazione non lineare e non didascalica che si poggia su una regia realistica, basata sul montaggio di inquadrature fisse, con un rapporto d’aspetto di 4:3, effettuate con una macchina da presa statica, costantemente posizionata su un cavalletto e mai in movimento. La cineasta realizza un lungometraggio narrativo dal sapore di video arte, in cui ciò che conta non è tanto l’espressione narrativa storica di ciò che vediamo, ma piuttosto il trasmettere al pubblico una sensazione legata al senso stesso della memoria, elemento tematico e sensoriale di cui il lavoro cinematografico si fa portatore. Per trasmettere questo argomento Radivojević racconta una storia filmica che fuoriesce dalle canoniche strutture drammaturgiche del cinema narrativo in tre atti, creando una narrazione in cui passato e presente si mescolano.

Elementi visivi ritornano più volte all’interno della vicenda drammatica, per sottolineare momenti fondamentali della vita della piccola protagonista Lana, la cui esistenza si ferma nel momento stesso in cui riceve una terribile telefonata. Questo momento, che nella memoria dell’undicenne coincide con l’annientamento della sua infanzia, segna la chiusura di un periodo della sua vita e l’inizio di un altro, da espiantata in un paese a lei sconosciuto. Si ritrova distaccata dalle sue origini patriottiche e da un mondo che riviive in lei solo attraverso i suoi ricordi di bambina: ricordi confusi, frammentati e non lineari (da qui la scelta di creare un film non lineare). Ricordi che la riportano alla sua giovinezza con i suoi amici, mentre ascoltava musica, suonava il piano o semplicemente camminava per strada o comprava pacchetti di sigarette per il suo amico d’avventure.

La pellicola si presenta come un viaggio nel mondo dei ricordi di Lena, un percorso raccontato attraverso l’uso incessante di una voce fuori campo, la voce narrante che sottolinea più e più volte, all’interno di un’opera quasi circolare e orientata alla narrazione dei traumi interiori di Lena, alcuni passaggi chiave dell’esistenza di questa bambina. Attimi come quello del telefono, riproposti più volte all’interno della vicenda e raccontati da svariate angolazioni filmiche. Oltre a questo momento, ripetuto molteplici volte con l’inquadratura dell’orologio e la voce fuori campo che ci ripete “Quando il telefono squillò era un venerdì”, abbiamo anche una costante ripetizione della scena riferita alle valigie, un oggetto che veicola una tematica importante per la piena e sfaccettata comprensione di questo lungometraggio. Una tematica che, però, non è raccontata esattamente bene, tanto che uno spettatore ignaro della storia jugoslava del 1992 non riesce a comprenderla appieno. Si tratta di una mancanza di approfondimento, in fase di sceneggiatura, del contesto sociale, che impedisce a una parte del pubblico di entrare efficacemente all’interno di questa vicenda. Rischiando, infine, di non comprendere completamente il punto della narrazione, incentrata su temi come la memoria, l’immigrazione e la caduta di uno Stato. Un periodo, quello del 1992, che segnò la disintegrazione della Jugoslavia e l’inizio di devastanti conflitti che segnarono gli anni ’90, con frizioni ancora presenti oggi nei Balcani, segnati nel 2024 da una certa instabilità politica e, soprattutto, geopolitica.

Il 27 aprile (probabilmente la chiamata presente nella pellicola è avvenuta prima di questa data) avvenne il crollo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e nacque la Repubblica Federale di Jugoslavia, composta da Serbia e Montenegro. Questo nuovo stato, guidato da Slobodan Milošević, si trovò al centro di tensioni geopolitiche e non fu riconosciuto come legittimo successore della vecchia Jugoslavia. Parallelamente, in Bosnia-Erzegovina scoppiò una guerra sanguinosa tra bosniaci musulmani, croati e serbi. Sebbene combattuta formalmente sul suolo bosniaco, la Serbia giocò un ruolo decisivo sostenendo i serbo-bosniaci sia politicamente che militarmente. Questo coinvolgimento attirò pesanti accuse di crimini di guerra e pulizia etnica, amplificando le tensioni internazionali. A maggio, l’ONU impose dure sanzioni contro Serbia e Montenegro, isolandoli economicamente e causando una crisi interna senza precedenti. L’iperinflazione, la povertà dilagante e le politiche autoritarie di Milošević provocarono proteste e divisioni sociali. La Serbia affrontò anche una significativa crisi umanitaria, accogliendo migliaia di rifugiati provenienti da Croazia e Bosnia-Erzegovina. Culturalmente, il 1992 segnò un periodo di censura e repressione, ma anche di resistenza da parte di artisti e intellettuali critici verso il regime. Tuttavia, il deterioramento delle condizioni di vita spinse molti, soprattutto giovani e professionisti, a emigrare in cerca di un futuro migliore. Detto ciò, nel 1992 cessò di esistere lo stato della Jugoslavia, che si suddivise in svariate nazioni.

Al di là di questo approfondimento storico, la pellicola di Radivojević risulta indubbiamente un prodotto interessante a livello concettuale e visivo, con alcune sequenze piuttosto suggestive. Dalla sequenza del sogno fino a quella della galleria sul finale della pellicola, passando per la scena accompagnata dalle note del brano pop anni ’80 “Dodirni mi kolena” del gruppo serbo Zana, ci sono tre momenti che donano un minimo di ritmo drammaturgico alla pellicola. Tuttavia, il film pecca proprio nel ritmo e nell’emozione, risultando alquanto apatico a livello sentimentale. Questa apatia distoglie l’attenzione del pubblico, portandolo talvolta alla noia, una sensazione che non si dovrebbe mai provare davanti a un’opera filmica tecnicamente ben concepita e con elementi autoriali marcati (ad esempio, la cineasta sceglie di non mostrare mai i volti dei genitori di Lena). Il montaggio lento, i pochi dialoghi e le rarissime scene emotivamente coinvolgenti, presenti solo nella prima parte del film, non riescono a rendere completamente funzionante la storia, che manca di anima. Nonostante la narrazione filosofica, l’anima dovrebbe far parte della narrazione, soprattutto considerando che la vicenda di Lena è autobiografica, dove Lena non è altro che la rappresentazione narrativa della cineasta stessa.

La scrittrice Dubravka Ugresic osserva che i ricordi affiorano come in un sogno, tornando a tormentare il presente. Quella telefonata è uno di questi ricordi, portando con sé molti altri – disordinati e fuori sequenza. L’obiettivo di questo film è offrire a questi ricordi un contenitore, invitando al contempo testimoni a partecipare. La chiamata proveniva da una lunga distanza, cosa che si capiva dalla qualità della linea. Ero sola in casa, quindi la notizia doveva essere comunicata a me, in fretta, prima che la linea si interrompesse. Mio nonno Zeljko, che viveva a Zagabria, era morto, e io dovevo informare mia madre della scomparsa di suo padre. Quella telefonata portava con sé allarme, ansia e la consapevolezza di una sorta di fine. Riceverla è l’ultimo ricordo di quel periodo che riesco a ricordare nei dettagli. Nella mia mente adolescenziale, fu quell’incidente a causare il distacco, a portare la morte e, di conseguenza, a segnare la fine del paese, della nostra identità, la disgregazione della famiglia, della comunità e della lingua. L’intero film è costruito su ricordi specifici di quel periodo, poco prima di lasciare la Jugoslavia. La ripetizione della telefonata diventa un dispositivo strutturale che imita la natura ripetitiva del ricordo, frammentato e distorto come la memoria stessa. Tutto nel film si basa su eventi reali, ricordi e persone. Sebbene gli avvenimenti siano accaduti in momenti diversi – forse a due giorni, tre settimane o cinque mesi di distanza – nella memoria sono tutti compressi attorno all’evento della telefonata. I ricordi ruotano attorno alla perdita e al dislocamento, vissuti attraverso gli occhi di una bambina di undici anni. Questo momento di separazione diventa poi la radice di tutto il mio lavoro, il punto di partenza di ciò che seguirà. Con il film voglio ricreare e rivivere i giorni che hanno preceduto quella partenza, che segnano una sorta di lacerazione, una sorta di morte. Il film è frammentato allo stesso modo della memoria. In effetti, l’esistenza di un migrante è intrinsecamente frammentata, poiché si sposta da un paese all’altro, da una lingua all’altra, da una realtà all’altra. Il film esplora non solo la memoria personale, ma anche la memoria collettiva di un momento specifico in un luogo e in un tempo. Se consideriamo uno degli obiettivi della guerra come la distruzione della memoria – l’eliminazione della memoria culturale e dell’esistenza collettiva – allora questi resoconti privati, non scritti, agiscono come una contro-memoria, sopravvivendo nonostante i tentativi di cancellazione e preservando narrazioni al di fuori delle agende nazionali e nazionalistiche (autoritarie).

Dichiarazioni della regista

In conclusione

When The Phone Rang è un’opera che si distingue per la sua audacia concettuale e per l’approccio visivo fortemente autoriale. La narrazione frammentata e non lineare, insieme a una regia rigorosamente statica e un’estetica che richiama la video arte, trasmettono al pubblico un’esperienza sensoriale unica, volta a evocare il senso della memoria e dei ricordi frammentati. Tuttavia, nonostante i suoi pregi stilistici e tematici, il film soffre di un ritmo narrativo lento e di una mancanza di coinvolgimento emotivo che rischiano di alienare una parte del pubblico. Inoltre, l’assenza di un contesto storico adeguatamente sviluppato rende difficile per gli spettatori non familiari con la storia della Jugoslavia del 1992 comprendere appieno le sfumature della trama e il peso degli eventi narrati.

Note positive

  • Scelte registiche innovative e coesione estetica
  • Uso evocativo della memoria attraverso la narrazione frammentata
  • Sequenze visive suggestive, come quella del sogno e del brano musicale Dodirni mi kolena

Note negative

  • Ritmo narrativo lento e potenziale apatia emotiva
  • Mancanza di un contesto storico adeguatamente esplicato
  • Difficoltà di immedesimazione per un pubblico non familiare con la storia jugoslava
Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozioni
SUMMARY
3.6
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.