White Flowers: Un immenso rompicapo tra idilliaco e fumettistico

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Poster White Flowers

White Flowers

Anno: 2019

Paese: Italia

Genere: thriller

Durata: 2h 06m

Produzione: centro produzione audiovisivi Roma tre, Solaria Film, Rai cinema

Regia: Marco De Angelis, Antonio Di Trapani

Sceneggiatura: Marco De Angelis e Antonio Di Trapani

Montaggio: Marco De Angelis e Antonio Di Trapani

Fotografia: Marco De Angelis e Antonio Di Trapani

Musica: Paolo Damiani

Attori: Ivan Franek, Yuki Iwasaki, Hayase Mami, Hal Yamanouchi, David Paryla, Pietro Faiella

Trailer italiano di White Flowers

Trama di White Flowers

Un uomo si risveglia in una stanza d’albergo con una pistola e una ferita alla testa, ma senza memoria di chi lui sia e del suo stesso passato, ma ben presto si rende conto di essere in grave pericolo e che due uomini gli stanno dando la caccia.

Parallelamente seguiamo le vicende di una ragazza giapponese che decide di trasferirsi a vivere in Italia per ricercare ispirazione nello scrivere una storia di un manga. Nella sua ricerca di nuove idee fa la conoscenza di un giovane ragazzo, Damiel, con cui inizierà un rapporto di forte amicizia che la condurrà a innamorarsene. Damiel senza un motivo apparente decide di aiutare Yuki nella creazione della storia e così la conduce da un uomo solitario e misterioso che possiede una falegnameria, qui la ragazza farà la conoscenza di colui che ha perso memoria e che ora è divenuto un artigiano.

In seguito Yuki fa visita a un cimitero e il suo sguardo ricade su una signora orientale in abito scuro ( forse in lutto) dall’aspetto misteriosamente triste. La ragazza su consiglio anche di Damiel inizierà a inventarsi una storia a fumetti sui due personaggio che nelle sua mente divengono un poliziotto innamorato di una donna sposata con un boss mafioso. Però, mentre la storia prende forma nella sua mente, Yuki assiste alla misteriosa sparizione di Damiel e allo stesso tempo stringe un rapporto intimo con l’uomo senza memoria.

Yuki ben presto desidererà di aiutare l’uomo e i due partendo alla ricerca dell’unico luogo ricordato da lui e che forse gli farà ricordare la sua vera identità e il suo passato, ma niente appare come sembra.

Recensione di White Flowers

– Non ti sembra di sentire la sua presenza?

– Chi?

O- Haru, poco tempo fa qui hanno girato la scena del film. Povera O-Haru, quando c’è silenzio possono ancora sentire il frusciare delle sue vesti

White Flowers

Lungometraggio conclusivo della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema del 2019 tenutasi a Pesaro, White Flowes è il secondo film della strana coppia di autori Marco De Angelis e Antonio Di Trapani, entrambi appartenenti e legati al mondo accademico universitario di Roma Tre, che compare come produttrice stessa della pellicola. Lo stesso Antonio Di Trapani ha svolto preso tale sede universitaria il ruolo di docente sia al Dams che al corso di Filmmaking di Roma Tre, mentre Marco De Angelis ha realizzato sempre per Roma Tre vari documentari.

White Flowers, sovvenzionato dalla regione Liguria e Calabria, è stato girato in totale libertà creativa, grazie soprattutto al Centro di Produzione Audiovisivo di Roma Tre che ha fornito ai due il materiale tecnico e umano da loro richiesto, creando così una sorta di laboratorio artigianale.

Il film, come afferma Vito Zagarrio, si pone come remake o spin off e continuzazione seriale di un loro film precedente, Tarda Estate, che era stato presentato a Venezia e che riguardava la storia di due sfortunati amanti costretti a vivere ai lati opposti della galassia. White Flowers non risulta però essere un film adatto a tutti ma appare un prodotto audiovisivo di nicchia sopratutto per il suo linguaggio sperimentale con cui la storia viene narrata dal duo di filmmaker che ci sono occupati di ogni singola parte dell’aspetto creativo, elemento che nel cinema italiano accade molto di raro.

Analisi di White Flowers

La signora dorme. I morti dormono tutti, almeno tanto a lungo quanto l’amore piange

White Flowers

White Flowes risulta essere un apologo a tinte romantiche ma che assume una denotazione alquanto idilliaca oltre a essere strettamente legata alla cultura misterica giapponese soprattutto per quanto concerne il ramo cinematografico orientale dei film di fantasmi, il tutto entro una veste da dramma psicologico all’interno di un thriller alquanto originale e mai prevedibile. Girato con una produzione low budget, tra il Giappone e l’Italia, mostrata attraverso splendidi scorci di Genova e di Cosenza pieni di cultura magica che donano al film scenografie incantevoli oltre a far riscoprire luoghi poco conosciuti dal turismo, White Flowes risulta una storia di ardua comprensione che si rifà, seppur lontanamente, all’estetica cinematografica di David Lynch come vediamo fin dalla sequenza iniziale in cui lo spettatore assiste alla sovrapposizione di due immagini: una inquadratura del treno e di un rotolo di fili che viene man mano srotolato, dando da subito l’idea che c’è qualcuno o qualcosa che va a tessere e muovere le vite dei personaggi in cui forse il reale libero arbitrio non esiste ma ogni individuo ha un destino prestabilito. Tale incipit possiede, proprio come i film di Lynch, un sottofondo basato su dei rumori innaturali e che danno inquietudine. Le prime scene di White Flowes ricordano, seppur da molto lontano e con molto minor successo Mulholland Drive, come anche il tema stesso in cui immaginazione e realtà si confondono insieme in un intreccio narrativo d’eventi di difficile comprensione razionale, aumentato anche da un misterioso inizio che pare non seguire un temporaneità corretta ma che non è da collocarsi realmente nell’incipit della vicenda.

Il progetto audiovisivo di Marco De Angelis e Antonio Di Trapani possiede una forte componente visiva grazie a un ottima fotografia con inquadrature stupende e piene d’interesse simbolico ma si perde completamente all’interno di una sceneggiatura eccessivamente ingarbugliata e che non ha la potenza del grande Lynch sopratutto anche a causa di una regia e di un montaggio assolutamente non adatto alla vicenda ma che crea pian piano inquadrature fini a se stesse e un ritmo eccessivamente lento a causa di lunghe inquadrature e di pochi dialoghi e di rara musica. Lo stesso attore protagonista Ivan Franek si rende partecipa di una prova attoriale poco convincente mentre la sua controparte femminile Hayase Mami crea un ottima interpretazione piena di delicatezza che sa far empatizzare lo spettatore all’onesta ragazza. Incomprensibile però è la scelta data dai registi riguardante al formato che varia all’interno della pellicola passando dai 4:3 ai 16:9 senza un reale motivo, ma ciò sembra completamente casuale, invece risulta molto interessante l’apporto linguistico del film che, cosa che accade poco nei film, è ancorato alla realtà, così abbiamo gente che parla italiano, inglese o giapponese.

White Flowes gioca sopratutto con la realtà e la fantasia in cui le due componenti sembrano nello scorrere degli eventi unirsi in un gioco di ruoli in cui lo stesso spettatore non sa più se essere dentro la storia nata dalla mente della giovane giapponese che sta scrivendo la storia dell’uomo senza memoria o se ciò che sta immaginando altro non è che la verità stessa o se questa sta prendendo vita grazie a lei ed è lei stessa l’artefice della vita di quell’uomo senza passato. Tutto ciò, nonostante un finale che svela qualche dettaglio riguardante Damiel, rimane troppo misterioso e lo spettatore assiste infine alla storia che pare senza un reale capo né coda ma che è un gioco di sceneggiatura poco funzionante e fine a sé stesso che sa assolutamente di poco, faticando del resto, per tutto il film, a emozionare il pubblico.

Note positive:

  • Fotografia
  • L’interpretazione di Hayase Mami
  • Linguaggio dei personaggi

Note negative

  • Storia fine a sé stessa ed eccessivamente caotica
  • Sceneggiatura
  • Montaggio
  • Regia
  • Interpretazione di Ivan Franek
  • Alcune immagini non aggiungono niente alla storia
  • Eccessiva lunghezza
  • Poco emozionale
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