Sergio: una telenovela che si atteggia a docufilm

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I contenuti dell'articolo:

Sergio

Anno: 2020

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Genere: biografico, drammatico

Casa di produzione: Black Rabbit Media, Anima Pictures, Itapoan

Distribuzione: Netflix

Durata: 118 minuti

Regia: Greg Barker

Sceneggiatura: Craig Borten

Montaggio: Claudio Castello

Fotografia: Adrian Teijido

Musica: Fernando Velázquez

Attori: Wagner Moura, Ana de Armas, Garret Dillahunt, Clemens Schick, Will Dalton, Bradley Whitford, Brìan F. O’Byrne

Trailer ufficiale di Sergio (2020)

Trama di Sergio

Sergio Vieira de Mello è un diplomatico brasiliano, alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, impegnato per oltre trenta anni nella risoluzione di conflitti e nell’accoglienza di rifugiati, fra le altre nazioni, in Mozambico, Libano, Cambogia, Serbia e Timor Est. Nell’estate del 2003, a seguito dell’invasione americana dell’Iraq, voluta dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush, e della destituzione del dittatore Saddam Hussein, viene inviato per indagare su presunte violazioni dei diritti umani da parte dei soldati americani e per seguire la ricostruzione del carcere di Abu Ghraib. Il 19 Agosto dello stesso anno Sergio e il suo team rimangono coinvolti nell’attentato suicida che colpisce la sede del loro quartier generale a Baghdad.

Recensione di Sergio

Fin dalla prima volta che osservai la locandina di Sergio, fra i film consigliati sul mio account di Netflix, nacque in me una curiosità morbosa. Che sia stata la partecipazione al progetto di Wagner Moura (per intenderci, il Pablo Escobar della serie Narcos) e di Ana de Armas (Blade Runner 2049, Knives Out) o il soggetto, tanto inusuale quanto ardito, ad avermi attirato, poco importa. Ciò che rimane dopo la visione del film diretto da Greg Barker è la profonda delusione per un prodotto che aveva tutte le carte in regola per indagare una delle vicende umane più discusse e tragiche degli ultimi vent’anni, ma che è stato solamente in grado di farmi perdere due ore della mia vita.

Tenterò di essere il più rapido e indolore possibile: questo film è recitato male e sceneggiato peggio. A proposito della regia e della fotografia mi limiterò a dire che sono anonime.

Nonostante una mediocre, seppure sufficiente, prova di Ana de Armas, le interpretazioni dei due protagonisti non riescono a risultare convincenti. La coppia, unita nel lungometraggio da una relazione sentimentale, appare goffa e stereotipata (la sceneggiatura non li ha di certo aiutati) e ogni qualvolta appaia in scena mi è stato impossibile prendere sul serio i loro gesti, le loro parole e, in generale, lo sviluppo del loro rapporto. Le dinamiche di approccio, corteggiamento e di dimostrazione di affetto sfiorano l’indecente, il superficiale e mi hanno fatto scappare più di una imprecazione e parole di disappunto.

Se ritenete io stia esagerando, che stia giudicando troppo duramente la recitazione, vi invito a visionare questo lungometraggio facendo particolare attenzione alle sopracciglia di Wagner Moura: non sarà difficile notare che l’attore abbia concentrato tutto il suo impegno artistico nel movimento spasmodico ed esagerato delle stesse.

Se la recitazione è risultata fastidiosamente teatrale, la sceneggiatura ha saputo fare di peggio. La pessima impressione ricevuta, sicuramente dettata anche dai miei gusti personali, nasce da numerose scelte discutibili: come quella di presentare la scena culmine della vicenda già nelle prime fasi della pellicola. Se non bastasse il fatto che, in un prodotto che ha come protagonista un diplomatico, gli ambienti e le questioni politiche vengono a malapena accennate, per lasciare ampio spazio alla narrazione di quella che appare come una scappatella extraconiugale, il film fa largo uso di flashback e si impegna in numerosi, lunghi, sfiancanti e, alle volte, inutili salti temporali. Moltissime le parentesi trattate con insufficiente attenzione (la situazione familiare di Sergio, le sofferenze e i sentimenti degli iracheni), condite con alcuni veri e propri buchi di sceneggiatura.

Veramente troppo poche le note positive: tra le quali cito l’utilizzo di immagini di repertorio del conflitto e stralci di comunicati stampa e interviste televisive (incredibile che in Forrest Gump, girato appena ventisei anni prima, determinate sequenze risultino meglio integrate con il girato originale), il rapporto di amicizia e conflitto fra Sergio ed un suo collega e un debolissimo “colpo di scena” riguardante l’attentato.

In conclusione, trovo insopportabilmente svilente l’immagine presentata di Sergio de Mello e delle vicende da lui affrontate. Ancora una volta è stata preferita, o ritenuta di maggior intrattenimento, una storiella d’amore zeppa di luoghi comuni, rispetto alla realizzazione di un film d’inchiesta su una delle parentesi più cupe della civiltà occidentale, sull’operato dei governi, sulle motivazioni reali di una guerra spietata e sulla figura di un uomo che si è sacrificato per ciò in cui credeva e che non dovrebbe essere dimenticato.

Note positive

  • Immagini di repertorio
  • Colpo di scena sull’attentato

Note negative

  • Recitazione teatrale
  • Numerosi luoghi comuni
  • Vari buchi di sceneggiatura
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