A White White Day – Segreti nella Nebbia (2019): la storia di un uomo, un padre, un nonno, un poliziotto, un vedovo

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A white white day segreti nella nebbia

A White White Day – Segreti nella Nebbia

Titolo originale: Hvítur, Hvítur Dagur

Anno: 2019

Paese: Islanda, Danimarca, Svezia

Genere: Drammatico, Thriller

Produzione: Join Motion Pictures

Distribuzione: Trent Film

Durata: 109 minuti

Regia: Hlynur Pálmason

Sceneggiatura: Hlynur Pálmason

Fotografia: Maria Von Hausswolff

Montaggio: Julius Krebs Dansbo

Musiche: Edmund Finnis

Attori: Ingvar Sigurdsson, Ída Meckkín Hlynsdóttir

Trailer italiano del film A White White Day – Segreti nella Nebbia

A White White Day – Segreti nella Nebbia, seconda opera del regista islandese Hlynur Pálmason, uscirà nelle sale cinematografiche italiane il 28 ottobre, distribuita da Trent Film. Il film è stato designato dall’Islanda agli Oscar 2020 come Miglior Film Internazionale, non riuscendo però a raggiungere la candidatura.

Trama di A White White Day

Al rinvenimento degli oggetti personali della defunta moglie, Ingimundur (Ingvar Sigurdsson), capo della polizia ormai in congedo in una remota cittadina dell’Islanda, inizia a sospettare che lei lo tradisse con un altro uomo. Questo pensiero, nella debole psiche del protagonista, diventa pian piano un’ossessione; una pericolosa ossessione.

Recensione di A White White Day

In quei giorni dove tutto è bianco e non c’è più alcuna differenza
tra la terra e il cielo, allora i morti possono parlare con noi
che siamo ancora in vita.

Ecco la sovrimpressione che fa da incipit a A White White Day – Segreti nella Nebbia, film islandese selezionato come miglior film al 37° Torino Film Festival; e in effetti la prima scena non delude il preambolo: una macchina percorre una tortuosa e fredda strada della quale l’orizzonte è offuscato da una fitta nebbia bianca, a una curva l’auto tragicamente vola via. Fermo immagine. Questa è la partenza che Hlynur Pálmason ha voluto dare alla sua seconda opera, un drama/thriller che racconta, o vuole raccontare, la complicata situazione psicologica di un vedovo. Alla fine però, dalla premessa/promessa di un drama/thriller il film si trasforma soltanto in uno sterile drama. La scena appena descritta, comunque, non è altro che la rappresentazione della morte della moglie d’Ingimundur (Ingvar Sigurdsson, vincitore del Rising Star Award al Festival di Cannes), protagonista del film, ovvero il punto drammaturgico sul quale si regge l’intero lungometraggio.

Il regista, qui alla sua seconda prova dopo Winter Brothers del 2017, ha descritto il film come una storia d’amore e odio allo stesso tempo, marcando l’importanza della relazione tra nonno (Ingvar Sigurdsson) e nipote (Ída Meckkín Hlynsdóttir), oltre a sottolineare i sentimenti che legano vedovo e colei che era moglie, dicendo: “Le persone che ami e adori spesso sperimentano i tuoi lati peggiori e il confine tra amare qualcuno e odiare qualcuno è molto sottile“. In fin dei conti le immagini danno ragione al proprio creatore, infatti, ciò che la fa da padrone sembra essere esattamente il vincolo che lega i protagonisti; ma questo, bisogna ammetterlo, non è proprio detto con entusiasmo.

A livello tecnico il film è impeccabile; ma, a livello drammaturgico, manca di qualcosa, d’immagini o dialoghi. Si avverte l’assenza di alcuni punti esplicativi. Il regista, che qui ricopre anche il ruolo di sceneggiatore, gioca con la sottrazione, affidandosi (anche troppo) alla perspicacia dello spettatore. Inoltre è completamente assente la suspense, fondamentale per la riuscita di qualsiasi film (figuriamoci per un thriller). A tratti sembra di assistere a un video istruttivo sulla costruzione di case fai da te piuttosto che a un thriller e chi guarda si affatica e rischia di mollare la presa. Ma finalmente, dopo più di un’ora di (estenuante) attesa, ecco che succede ciò che ci si aspetta fin dall’inizio: il protagonista sbrocca. La sua rabbia, comunque, dopo essere stata soffocata per molto, viene liberata e rappresentata in sottotono (come del resto l’intero film); non viene neanche mostrato il momento in cui Ingimundur supera il limite, e ciò, ovviamente, lascia l’amaro in bocca allo spettatore.

Anche il finale, atto in cui la rappresentazione dell’azione pura non avrebbe dovuto avere freni, è caratterizzato dall’immobilismo; e tutto, qui in questo momento della storia, è tenuto in piedi dalla piccola ed eclatante Ída Meckkín Hlynsdóttir, autrice di una grande prova interpretativa.

A White White Day – Segreti nella Nebbia, infine, svanisce nel surrealismo, con una scena ultima che non riesco né a spiegare/mi né ad analizzare in modo lucido.

Note positive

  • Fotografia

Note negative

  • Sceneggiatura
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