I Giganti (2021): Coprirsi di nichilismo

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I Giganti

Titolo originale: I Giganti

Anno: 2021

Paese: Italia

Genere: drammatico, western

Casa di produzione: Il Monello Fims

Distribuzione: Il Monello Fims

Durata: 1h 20min

Regia: Bonifacio Angius

Sceneggiatura: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu

Fotografia: Bonifacio Angius

Montaggio: Bonifacio Angius

Musiche: Luigi Frassetto

Attori: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu, Michele Manca, Riccardo Bombagi, Stefano Manca

Trailer de “I Giganti”

Trama de I Giganti

Un gruppo di vecchi amici si ritrova in una casa isolata dedicandosi all’abuso di droghe e alcol. Muovendoci costantemente tra presente e passato capiremo come i protagonisti non vedano nel presente alcuna possibilità di crescita ma riflettano costantemente sul peso del trascorso  e dei ricordi ormai sfumati seppur ancora dolorosi.

Fotogramma de I Giganti
Fotogramma de I Giganti

Recensione de I Giganti

“I Giganti” è un film da recuperare indubitabilmente. Al di là della minuziosa ed elegante messa in scena che salta istantaneamente – piacevolmente, è chiaro – possiamo denotare un uso sapiente della cinepresa tutt’altro che scontato nonché vari momenti di puro virtuosismo cinematografico in determinate scene chiave in cui l’autore sapientemente sceglie a tratti di nascondere il soggetto della data scena –  la scelta è la base da cui partire per affermare la propria unicità come regista e Angius lo sa – e affidarsi alla sensibilità dello spettatore in modo da aprire infinite possibilità immaginative. Sul piano filosofico Angius prende una posizione chiara per forza di cose, fortunatamente oserei dire, non condivisibile da tutti. Anche estrema se vogliamo. Sembra gridarci a pieni polmoni: “Sono un nichilista”. Pone i propri personaggi di fronte la totale distruttività e li carica di una passività disarmante, una passività di fronte cui non si vuole – complice anche la paura – saper reagire. Soprattutto nei confronti della morte, elemento pressante e punto di non ritorno nella storia. Coprirsi di nichilismo quindi. La dimensione quasi onirica, paradisiaca dei ricordi ci lascia presagire che il passato è la chiave per leggere noi stessi, che le scelte fatte e le esperienze passate ci rendono  – purtroppo o per fortuna – le persone che siamo oggi. Anche la resa fotografica e cromatica è qualcosa di molto interessante, ad esempio con momenti di buio che seguono l’andamento psicologico discendente della storia e ci accompagna ancora più delicatamente verso quello che è un viaggio kamikaze senza meta alla scoperta del male di vivere. Il ritmo della storia è ottimamente sostenuto dalla performance di un cast che mantiene alto il livello interpretativo e lavora sufficientemente bene in una sinergia tutto sommato limpida. Una ulteriore questione che ci appare centrale dal quale il regista non si distacca mai, sembra essere la propria origine. Difatti la cadenza dialettale dei dialoghi trova una collocazione geografica chiara: siamo in  Sardegna, ed è da qui che provengo. Come anche in un particolare momento nel film la risposta al disordine sistematico della vita sembra potersi nascondere tra la terra delle nostre radici, le nostre storie popolari e le nostre tradizioni. Per concludere Angius ci regala una vera perla rara, portando sulle spalle il peso di una storia scomoda, cruda ponendosi al centro del racconto come messaggero di un opera pienamente personale, con la sua firma alla sceneggiatura e alla regia, la sua interpretazione del personaggio principale – Massimo – e la direzione della fotografia e del montaggio.

Note positive

  • Fotografia visivamente accattivante
  • Cast ben assemblato e capace di reggere il peso della storia
  • Durata relativamente contenuta in relazione alla pesantezza dei temi trattati che se troppo dilatati rischiano di annoiare e confondere

Note negative

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