Aftersun (2022): il potere intangibile dei ricordi

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Trailer ufficiale di Aftersun (2022) diretto da Charlotte Wells

Dopo il Premio della Giuria “French Touch” alla Settimana della Critica di Cannes, è stato presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione autonoma Alice nella Città, il dramma Aftersun. Emozionante film d’esordio della regista e sceneggiatrice scozzese Charlotte Wells, che vede come protagonisti Paul Mescal, attore irlandese che ha ottenuto l’attenzione internazionale per la sua interpretazione nella miniserie televisiva Normal People (Premio BAFTA ed Emmy); e il debutto di Frankie Corio, attrice di 11 anni, originaria di Livingston, in Scozia.

Trama ufficiale di Aftersun

Ho appena compiuto 11 anni e tu ne compirai 31 tra due giorni“.

In una località di villeggiatura in Turchia alla fine degli anni ’90, l’undicenne Sophie (Frankie Corio) fa tesoro del raro tempo trascorso insieme all’idealizzato padre Calum (Paul Mescal). Mentre l’adolescenza della ragazza prende piede, Calum cerca di nasconderle la sua lotta contro il peso della vita al di fuori della paternità. Vent’anni dopo, i ricordi dell’ultima vacanza di padre e figlia diventano un ritratto potente e straziante del loro rapporto, mentre Sophie cerca di riconciliare il padre che conosceva con l’uomo che non ha mai conosciuto.

Aftersun (2022) recensione
Aftersun (2022)

Recensione di Aftersun

Intangibili, potenti e a volte estremamente dolorosi, i ricordi definiscono la nostra esistenza. Ma come si materializza un ricordo? Per la regista scozzese Charlotte Wells è tutto nascosto in un frammento e la risposta arriva proprio dal suo primo lungometraggio, Aftersun. Una settimana infatti diventa eterna, quando Calum (Paul Mescal) e sua figlia di 11 anni, Sophie (Frankie Corio) si riuniscono per la loro vacanza annuale sulla costa turca, armati di una videocamera vintage. Ritroviamo le atmosfere sognanti della prima Sofia Coppola, tra cieli limpidi e sfumature rosa carne, in una dilatazione temporale tale, che sembra di osservare la formazione della memoria stessa. La storia la conosciamo tutti bene, e racconta l’esatto istante in cui ci rendiamo conto che i nostri genitori sono umani e quindi inesorabilmente imperfetti. Tra spostamenti tonali impercettibili, osserviamo quindi questa realizzazione farsi spazio tra padre e figlia in una collaborazione affettiva dolce ma distante. È la fotografia a parlare, e grazie all’utilizzo di riprese home video realizziamo che stiamo osservando i ricordi di una Sophie adulta, che rammenta -almeno ad intuizione – l’ultima volta che ha visto suo padre. I due sono quasi sempre ripresi da vicino, ma quando osserviamo Calum da solo ritroviamo inquadrature lontane, sbiadite come a suggerire una deformazione malinconica. Per Sophie in effetti, il mondo interiore del padre è un mistero: cogliamo la sua essenza emotiva solo quando è totalmente solo. Il film in questo è abile e accenna, mai in maniera esplicita, uno stato di agitazione interiore che investe Calum nei suoi momenti di solitudine.

A interrompere la calma estiva troviamo dei frammenti di un rave che invadono la scena e si ripetono, con una Sophie adulta che balla tra le luci stroboscopiche. Tra elisioni e sguardi persistenti, il film ci mostra come funzionano i ricordi, come ripetiamo le scene nella nostra mente, cercando ostinatamente di dare un senso a qualcosa che se ne è andato. Questa sovrapposizione racchiude la metafora dell’intero film e diventa la rappresentazione di come passato e presente non sono separati come spesso vorremmo ma coesistono all’unisono. Di conseguenza, insieme a questo processo, vi è anche il bisogno umano della reimmaginazione dell’altro. Ed è quello che Sophie sta facendo con il padre, reinventa il ricordo per sentirsi più vicina a lui nel presente, così da riuscire a far pace con l’alterazione della memoria stessa.

Wells sparge indizi ovunque, con la relazione tra Sophie e Calum che diventa la spina dorsale del film, ma raramente svela risposte definitive. Intuiamo i demoni di Calum dai piccoli segnali seminati dall’inizio del film: dal braccio ingessato al rapporto con la madre di Sophie, ma anche un piccolo momento di scarto in cui casualmente afferma di non aspettarsi di arrivare a 40 anni. Mescal, nella sua interpretazione è superbo e riesce con maestria a indirizzare la sua popolarità in progetti che valorizzano tutto il suo potenziale recitativo. Corio, nel frattempo, offre una visione realistica e meravigliosa di quel momento di mezzo tra l’infanzia e l’adolescenza. Che si tratti di giocare con suo padre, fare amicizia con i ragazzi più grandi o cantare al karaoke, il risultato è sempre straordinariamente naturale. 

Aftersun (2022) recensione
Aftersun (2022)

In conclusione

In conclusione, Aftersun è la gemma nascosta di questa edizione della Festa del Cinema di Roma e arriva su tutti i livelli. A partire dalla colonna sonora di Oliver Coates che fluttua come un’onda e utilizza in maniera distorta e rallentata le canzoni del periodo (Blur, Losing My Religion dei Rem). Fino al montaggio intuitivo di Blair McClendon, che riesce ad unire i pezzi del puzzle senza suggerire mai il risultato finale. C’è un senso specifico di tempo e di luogo che risulta familiare e avvolgente, grazie anche alla scenografia degli anni ’90 di Billur Turan e i costumi di Frank Gallacher. Wells infine firma un debutto forte e travolgente, dove da un lato, è alle prese con l’affidabilità della memoria, dall’altro racconta la storia di un padre e una figlia entrambi al proprio bivio. Un film che lascia la logica man mano che la chiusura si avvicina, aiutata dal brano Under Pressure, che simboleggia nell’immaginario collettivo qualcosa di finito troppo presto, come appunto la collaborazione tra Bowie e i Queen che hanno composto il brano, il loro unico insieme. Una metafora nella metafora, che colpisce come un pugno nello stomaco.

Note positive

  • La regia di debutto di Charlotte Wells
  • Tematica trattata
  • Il montaggio di McClendon e le scelte musicali che riflettono il periodo storico

Note negative

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