Alien: La clonazione (1997): Kitsch ed esistenzialismo

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Alien: La clonazione

Titolo originale: Alien Resurrection

Anno: 1997

Paese: Stati Uniti d’America

Genere: Fantascienza / Horror / Azione

Casa di produzione: 20th Century Fox, Brandywine Productions

Prodotto da: Walter Hill

Durata: 1 hr 45 min (105 min); 1 hr 56 min (116 min, extended cut)

Regia: Jean-Pierre Jeunet

Sceneggiatura: Joss Whedon

Fotografia: Darius Khondji

Montaggio: Harvé Schneid

Musiche: John Frizzell

Attori: Sigourney Weaver, Winona Ryder, J.E. Freeman, Dominique Pinon, Ron Perlman, Gary Dourdan, Michael Wincott, Brad Dourif

Trama di Alien: La clonazione

A duecento anni dagli eventi consumatisi sul pianeta-prigione Fiorina 161, la potente azienda bio-meccanica Weyland ha clonato il tenente Ripley (Sigourney Weaver) per recuperare l’alieno xenomorfo che vive dentro di lei e usarlo poi a scopi militari. Tuttavia la nuova Ripley, per quanto surrogato dell’umana che fu, ha conservato memorie della sua vita passata, nonché sviluppato una pericolosa simbiosi con la mostruosa creatura, che nel frattempo è stata replicata in serie e rinchiusa in un’impenetrabile cella.

Quando alcuni esemplari di xenomorfo sfuggono al controllo degli scienziati, Ripley si ritrova a dover scongiurare il massacro assieme a una banda di contrabbandieri, tra i quali si nasconde Analee Call (Winona Ryder), in realtà un androide.

Lo xenomorfo in Alien: La clonazione

Recensione di Alien: La clonazione

La conclusione del controverso Alien 3 lasciava ben pochi dubbi sull’esito della dicotomia tra la celebre eroina Ellen Ripley e la sua mostruosa nemesi. Quattro anni più tardi, mentre il film di David Fincher faceva ancora parlare di sé soprattutto a fronte della sua triste lavorazione, il regista francese Jean-Pierre Jeunet (Il favoloso mondo di Amelie) ha intrapreso la rischiosa scelta di riaprire la saga con un quarto capitolo che, in quanto ad ambizioni tematiche, non sfigura affianco ai suoi riusciti precedenti.

Aver affidato la regia di Alien: La clonazione a un regista come Jeunet, notoriamente poco avvezzo alla sobrietà estetica, ha permesso al racconto di ammantarsi di una vena grottesca che calza a pennello con il taglio più fumettistico dell’operazione (non a caso lo sceneggiatore è Joss Whedon, mente dietro i successi di Buffy e Avengers). Il film, inoltre, porta a compimento con coerenza e interessanti novità il discorso sulla maternità, presente sin dal capostipite della saga, a cui si amalgamano iniezioni di controversia etica sulla clonazione umana.

Sigourney Weaver in Alien: La clonazione

Per tutta la sua durata, questo capitolo mette la posta in gioco dei suoi temi morali su un livello di onirismo astratto, che stimola fortemente la riflessione del pubblico. Come sempre nella saga, la hybris umana scatena un male ancor più grande, corrispondente a una punizione mortale che solo il ritorno a una morale (e quindi all’eliminazione dello stesso male) può correggere. Il concetto però non viene banalizzato dalla più classica separazione “bene vs male” (su cui i ben riusciti capitoli precedenti erano in ogni caso basati), sfruttando la ravvicinata simbiosi tra Ripley e il mostro disegnato da H. R. Giger per sfumare il gioco al massacro.

A differenza di molte saghe horror, quella di Alien ha sempre fatto leva sulla personalità dei registi coinvolti nei vari capitoli: nessun film è mai davvero uguale al precedente, e lo stesso può dirsi anche di Alien: La clonazione. Qui la narrazione assume i connotati di un incubo artistico immerso in una palette cromatica a tinte palustri, molto adrenalinico nel suo ritmo da action movie, beffardo per l’ironia nera che pervade i dialoghi e le interazioni tra personaggi, decisamente più violento dei predecessori grazie alle ben spinte punte splatter.

Winona Ryder in una scena

Il lavoro sull’effettistica speciale è soddisfacente, e dopo l’orrida CGI del terzo capitolo si torna ad animatronix pratici e trucchi prostetici. Gli xenomorfi sono più presenti che in precedenza (per altro declinati in nuovi inquietanti rami evolutivi), e catalizzano l’attenzione su un modo d’intendere il fanta-horror cruento più fracassone che, se preso per il verso giusto, funziona alla grande. Jean-Pierre Jeunet riempie le scene d’azione di scelte registiche stravaganti (come una ripresa in soggettiva di un pugno) e regala almeno due sequenze dall’iconografia di disturbante potenza, che giovano del marchio di fabbrica oscuro e filtrato di Darius Khondji (Se7en).

Il cast e la rosa di personaggi variopinti sono ben sintonizzati sul registro filmico. Sigourney Weaver e Winona Ryder (Ragazze interrotte) si divertono un mondo a esplorare le sarcastiche sfumature dei rispettivi personaggi, mentre Ron Perlman (La guerra del fuoco) ruba spesso la scena interpretando sostanzialmente sé stesso. Tra i volti secondari si ricordano Brad Dourif (Qualcuno volò sul nido del cuculo), Michael Wincott (Il corvo) e Dominique Pinon (Quello che non so di lei). Forse con più attenzione alle sottigliezze tematiche e meno tamarria action-splatter, Alien: La clonazione avrebbe potuto ambire al titolo di capolavoro, ma anche con la sua eccentricità un po’ balorda rimane un tassello audace e creativo per una lore complessa come quella di Alien. E di certo non merita la nomea denigratoria che si porta dietro da più di un ventennio.

Note positive

  • La confezione artistica.
  • L’aggiornamento tematico e il rinverdimento dello schema narrativo.
  • L’effettistica speciale pratica.
  • La recitazione

Note negative

  • Forse un po’ troppo grossolano e tamarro per riuscire ad ambire al titolo di capolavoro.
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