Rashomon (1950): le mille sfaccettature della verità

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Rashomon

Titolo originale: 羅生門 (Rashōmon)

Anno1950

PaeseGiappone

Genere: Drammatico, epico

Casa di produzione: Daiei Motion Picture Company

Distribuzione: CEI-INCOM

Durata: 1hr e 28 (88 min)

Regia: Akira Kurosawa

Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto

Montaggio: Akira Kurosawa

Musiche: Fumio Hayasaka

Attori: Toshirō Mifune, Machiko Kyō, Masayuki Mori, Takashi Shimura, Minoru Chiaki 

La vita umana è più effimera della rugiada di primo mattino, solo una fede profonda può illuminarci la strada

— frase pronunciata dal Monaco

Rashomon (羅生門 Rashōmon lett. “La porta nelle mura difensive”) per la regia di Akira Kurosawa, è ambientato all’interno della foresta di Nara (una delle antiche capitali del Giappone) con un budget davvero esiguo. La casa prodruttrice non lo riteneva meritevole di essere prodotto ed esportato, e arrivò in Italia solo grazie a Giuliana Stramigioli, docente d’italiano all’Università di Tokyo. Rashomon vinse il Leone d’oro al Festival di Venezia e l’Oscar come miglior film straniero, riuscendo ad attirare l’attenzione del mondo occidentale sul cinema orientale.

Fotogramma di Rashomon

Trama di Rashomon

Durante una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un fatto increscioso avvenuto qualche tempo prima: un brigante ha ucciso un samurai e abusato la moglie nella foresta.

Il monaco, che aveva deposto al processo come testimone in quanto aveva incrociato lungo la strada la coppia prima del fattaccio, inizia a raccontare la storia come vi ha assistito nel tribunale. Riporta così le versioni del brigante violentatore, della moglie del samurai, e anche della vittima (che avrebbe parlato attraverso una medium). Le versioni sono terribilmente contrastanti ed è difficile stabilire la verità.

Scena di Rashomon

Recensione di Rashomon

“Chi racconta la verità? Cos’è la verità?”

Rashomon

Kyoto, periodo Heian. Un boscaiolo, un monaco e un vagabondo si interrogano su una vicenda, la morte di un samurai e lo stupro di sua moglie per mano del bandito Tajômaru, che li ha coinvolti come testimoni. Mentre si susseguono le dichiarazioni dei protagonisti davanti a un tribunale (che non si vede mai, come a voler rappresentare una giustizia morale e non giuridica) sulla loro versione dei fatti, la verità anziché emergere sembra allontanarsi.

Prendendo spunto dai racconti di Ryûnosuke Akutagawa, Kurosawa racconta di un Giappone dilaniato dalla guerra e riflette sul senso dell’esistenza infettato dalla cattiveria e dagli egoismi degli uomini. Non c’è una vera verità in Rashomon, ma ci sono tante verità che in realtà sono tante menzogne, che però non riescono a sostituire il vero, lasciando la situazione in una posizione di ambiguità. Tutto questo perché tutti mentiamo per un tornaconto personale,e finiamo per ingannare anche noi stessi.

In un Giappone battuto dalla pioggia e dal caos, gli uomini strutturano la propria dialettica solo ricorrendo alla menzogna, al falso, all’affermazione di una propria verità intima, del tutto distante dalla realtà dei fatti. Da sempre, fin dalla prima apparizione in Italia del film, Rashomon è stato accomunato all’opera di Luigi Pirandello. Nel 1950 il Giappone era un paese debole e sofferente a causa delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, e per l’occupazione delle forze militari statunitensi. Non è un caso allora se Kurosawa ambienta la sua opera nel periodo Heian, anche questo infatti era un momento storico di sommovimento e dolore. Un’epoca di prevaricazione dell’uomo sull’uomo, nel quale vige la legge del più forte. I tre uomini attorno ai quali si sviluppa Rashomon fraternizzano e dialogano tra loro solo perché l’improvviso e violento scroscio di pioggia li costringe a trovare riparo sotto il portale, quel portale che nasconde una moltitudine di cadaveri. La morte è onnipresente, si respira perfino nei palazzi e nelle porte.In pratica è ovunque. Il momento cruciale di tutto il film è il finale, ma all’epoca non venne capito e fu accusato di eccessivo buonismo.

La prima versione è quella del boscaiolo, completamente smitizzante rispetto a tutti i punti di vista espressi fino a quel momento: la moglie diventa una “mangiatrice di uomini” in grado di aizzare gli umori più beceri del maschio; il samurai si rivela tutt’altro che amorevole, e per di più vile; il brigante poi non è altro che un ometto che per avere la donna sarebbe disposto ad abbandonare da un giorno all’altro le sue abitudini quotidiane. Il combattimento è rozzo, immerso nel fango, privo della minima armonia. L’epica lascia il passo al quotidiano. Il cinema si risolve nella memoria di un boscaiolo, e scende dal piedistallo del mito per farsi materia viva, organica, reale. La quarta confessione è la più amara, ma Kurosawa non ha intenzione di stilare una ideale classifica di qualità umane. La sceneggiatura prevede un ulteriore finale, con il ritrovamento del neonato sotto il portale e la decisione del boscaiolo di prenderlo con sé, perché un uomo che ha già sei figli può anche permettersi di crescerne un settimo. In quei minuti di silenzio che anticipano la scelta del boscaiolo, e nella riconoscenza del monaco, lì si trova il senso profondo di Rashomon, e della poetica del suo autore.

Montaggio

Il saggio “The Impact of Rashomon” scritto da S.Kauffmann spiega che Kurosawa a volte girava una scena con l’ausilio di molte cineprese allo stesso tempo, in modo da poter poi successivamente scegliere l’inquadratura migliore.

Altre volte si avvaleva di un’altra tecnica, ovvero  brevi inquadrature montate insieme per sembrare un’unica scena; nel film ci sarebbero circa 407 scatti separati montati insieme nel corpo del film.

Fotografia

Il direttore della fotografia  Kazuo Miyagawa dette numerosi spunti a Kurosawa, ad esempio in una scena, tramite i singoli primi piani si vuole dimostrare la relatività e l’ambiguità presenti in Rashomon. Inoltre, l’uso di un’illuminazione forte giocata sui contrasti di luce è un’altra caratteristica di questo film.

Infatti, Akira Kurosawa avrebbe voluto utilizzare il più possibile la luce naturale, ma spesso questa risultava essere troppo fioca; il problema venne risolto utilizzando uno specchio che rifletteva la luce naturale sui volti degli attori.

In conclusione

Note positive :

  • La straordinaria interpretazione di Toshiro Mifune.
  • La potenza del film, che non viene minimamente intaccata dagli anni trascorsi.
  • L’ambientazione molto suggestiva.

Note negative :

  • Il racconto delle tre versioni può risultare disorientante.

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