Bomb City – I giorni della rabbia: Una storia vera

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bomb city poster

Bomb City – I giorni della rabbia

Titolo originale: Bomb City

Anno2017

Paese di produzione: Usa

Generebiografico

Durata: 1h 35m

Regia: Jameson Brooks

Sceneggiatore: Jameson Brooks, Sheldon Chick

Montaggio: Jameson Brooks

Dop: Jake Wilganowski

Musica: Cody Chick, Sheldon Chick

Attori: Dave Davis, Glenn Morshower, Logan Huffman, Lorelei Linklater, Eddie Hassell

Trailer di Bomb City – I giorni della rabbia

Trama di Bomb City – I giorni della rabbia

Armadillo, Texas: il 12 dicembre 1997, durante una rissa davanti a un ristorante, un giovane giocatore di football, Dereke con la Cadillac del padre,  ha deliberatamente inseguito e investito Brian Theodore. La vittima, un punk diciannovenne, è deceduto quella notte, mentre il carnefice verrà scagionato da tutte le accuse.

Chiedo scusa a tutti coloro che non hanno ancora visto il film dato che, introducendo la vicenda a cui la pellicola s’ispira, ne ho in realtà spoilerato il finale.

Recensione di Bomb City – I giorni della rabbia

Distruggi tutto. Distruggi ogni cosa. Non ditemi cosa fare. Sono un fottuto anarchico

Cit. Bomb City

Il regista Jameson Brooks decide infatti di lasciare il fatto di cronaca negli ultimi minuti del film, prendendosi tutto il tempo per descrivere i personaggi e le tensioni sociali che porteranno all’esplosione di tale violenza.

Le immagini, splendidamente fotografate da Jake Wilganowski, sono messe insieme da un montaggio creativo che mostra le vite dei giovani abitanti di Armadillo: da un lato i punk, un piccolo gruppo che organizza concerti in un decadente centro sociale, creativi nel loro modo di criticare l’ambiguità morale che si cela nella lo città; dall’altro lato i giocatori di football, addestrati sin da giovani alla prevaricazione e all’ idea di sentirsi intoccabili. “Comandiamo noi in città” dice uno di loro, specificando che la polizia è dalla loro parte. La stessa polizia che, poche scene prima si è introdotta senza un mandato nel centro sociale, arrestando l’intero gruppo di suoi occupanti
e molestando una di loro.

Partiamo dal titolo: Bomb City. 

La scrittrice A.G. Mojtabai nel saggio Blessed Assurance: At home with the Bomb in Armadillo, Texas (pubblicato per la prima volta nel 1986) racconta di come la città, importante per la produzione di ordigni nucleari durante la Guerra Fredda, abbia in realtà una forte tradizione religiosa. Questi due aspetti, apparentemente lontanissimi, trovano una connessione: tramite le interviste, gli abitanti di Armadillo esprimono la loro profonda convinzione che l’apocalisse sia vicina, necessaria al Padreterno per portare il regno dei cieli sulla Terra. Da qui il soprannome che la comunità punk da alla propria città (Bomb City appunto), una sintesi perfetta dell’ipocrisia su cui si basa l’intera società, la quale trasfigura il conflitto nucleare in un intervento divino, ma allo stesso tempo non riesce a tollerare chi sceglie uno stile di vita diverso da quello costituito.

La pellicola sottolinea spesso quest’ambiguità, come quando alterna il pogo durante un concerto hard core al contatto fisico e violento di una partita di football, oppure l’eccessivo consumo di alcol da parte di entrambi i gruppi di giovani. Eppure l’istituzione accetta solo uno dei due schieramenti, quello meno appariscente ma, a conti fatti, più aggressivo.

 Negli Stati Uniti i giovani sportivi vengono molto presto introdotti al concetto di competizione, questo li fa crescere sicuri e spavaldi, incapaci di confrontarsi con realtà diverse dalle loro è terreno fertile per l’intolleranza. Dall’altra parte i punk, i sovversivi, nel loro predicare una filosofia anti- sistemica trovano in realtà uno sbocco creativo nella musica o nella street art (vedi per esempio il Dynamite Museum). Ma una mente libera appartiene a un individuo indomabile, quindi pericoloso, per questo la società tende a combattere subdolamente la diversità, a volte inglobando certi atteggiamenti incontrollabili così da renderli inoffensivi: non è un caso che la squadra di football della cittadina si chiami Rebels, ingabbiando così il concetto di ‘ribellione’ in un meccanismo istituzionale.

Sei tu a creare i tuoi mostri America. Quindi cosa ti aspetti

cit. Bomb City

Questa è una delle frasi che apre il film, pronunciata da Marylin Manson in un televisore, durante un dibattito (reale) sulla violenza giovanile. Il cantante spiegando quanto sia assurdo che, in un paese perennemente in guerra, si tenda sempre a cercare un capro espiatorio che si prenda la responsabilità di tanta violenza. Interessante la scelta del regista di iniziare e concludere il film con le parole dell’artista che, solo un paio di anni dopo, verrà incolpato del massacro alla Colombine; questo perché uno dei due carnefici era un suo fan.

La giuria ha deciso che quel punk meritava di morire, perché aveva l’aspetto che aveva (…) è stato messo sotto accusa il suo stile di vita

cit. Bomb City

Note positive

  • Il lato tecnico del film va di pari passo con il suo contenuto, costruendo delle sequenze mai fini a se stesse;
  • La regia alterna inquadrature immobili sui paesaggi del Texas, ad un utilizzo insistito
    della camera a mano che permette un’immersione nelle vite dei giovani protagonisti;
  • Il montaggio costruisce una narrazione accattivante, sottolineando le differenti vite delle due fazioni di adolescenti, ma anche eventuali punti di contatto, lasciando libertà allo spettatore di giudicare man mano che la storia progredisce;
  • La fotografia utilizza spesso colori accesi e controluce quando in scena ci sono i punk, mentre si appiattisce nelle scene del tribunale o durante le partite di football. Nel primo caso vuol sottolineare l’indole ribelle dei personaggi; nel secondo caso il conformismo dell’istituzione;
  • Gli attori sono tutti in parte.

Note negative

  • La sceneggiatura, in alcuni passaggi, può risultare leggermente didascalica.
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