C’era una volta un giovane: L’eredità di Marko (Trieste Film Festival)

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Trailer del lungometraggio C’era una volta un giovane

Trama di C’era una volta un giovane

Tredici anni dopo la scomparsa dell’amico Marko Čaklović, il regista decide di girare quel film rimasto in sospeso. Attraverso l’uso di materiale d’archivio prodotto da Marko e lasciato poi in eredità agli amici, il lungometraggio riporta in vita il suo ricordo e la sua persona e si fa testimone della gioventù croata di fine anni Novanta: perduta e in cerca d’identità dopo la devastazione della guerra.

Recensione di C’era una volta un giovane

Ricordo: dal latin cor, cordis che significa cuore. Quando ricordiamo qualcosa o qualcuno lo facciamo con il cuore e non con la testa. Ed è questo che fa Ivan Ramljak: costruisce il ricordo di un amico partendo da quel legame così stretto e misterioso che per anni li ha uniti. Dunque, non si tratta di un sentimento malinconico e nostalgico verso una vita vissuta e ormai persa, ma piuttosto la sua celebrazione.

Ivan e Marko si sono conosciuti in un periodo molto particolare: era l’autunno del 1996, avevano 22 e 19 anni e lavoravano ad una radio locale conosciuta come Radio Student. Un anno prima si era la conclusa la guerra in Croazia, uno dei tanti paesi coinvolti nelle guerre jugoslave degli anni Novanta. La portata di questo evento ha impedito ai giovani di quel tempo di trovare la propria identità e capire chi fossero. Come afferma lo stesso Ramljak, nonostante la guerra non avesse colpito Zagabria direttamente, le conseguenze hanno determinato profondamente la loro vita, tanto che ancora oggi ne risentono.

È naturale quindi percepire un senso di libertà, di nouvelle vague che spesso guidava i giovani alla sperimentazione e alla condivisione di corpi e spazi. Lo stesso Sebastijan ricorda come lui e Marko vivessero in uno stato di completo edonismo, divertendosi al limite del possibile.

L’arte di Marko

C’era una volta un giovane ci presenta Marko nelle dimensioni di amico e artista. Infatti, come dichiarato dal regista, si tratta di un home movie collettivo in cui i cinque amici, parlando singolarmente del loro legame con Marko, costruiscono una storia, un’immagine, che, pur trattando della stessa persona, ci appare sempre diversa.

Fotografie e video sono l’eredità di Marko, che Ramljak ha voluto salvare con il film. Il loro alternarsi rende ancora più interessante il lato artistico. Le fotografie in bianco e nero non lasciano spazio e libere interpretazioni: sono esplicite, parlano, non hanno bisogno di essere spiegate. Ombra e luce, la prossimità tra soggetto e macchina fotografica ci suggerisce i sentimenti e la relazione che Marko aveva con essi.

Particolare è il momento in cui il racconto di Marcela riguardo il complicato rapporto che Marko aveva con il padre e il divorzio dei genitori, viene accompagnato da una serie di fotografie di bambole spettinate, disarticolate, mutilate insieme a quella maschile di cui compare solamente la testa. Metafora forse dell’assenza di una figura paterna nella vita di Marko, ma anche di finzione, di un amore percepito come falso e della distruzione causata dal divorzio.

Il talento artistico di Marko non si limitava alla fotografia e ai filmati amatoriali, ma sconfinava nella video arte. Sebastijan racconta del periodo in cui in Croazia stava nascendo la pratica del video-jockey o VJ, che consisteva nel tagliare delle scene da vecchi film per poi montarle al momento. I due si erano avvicinati a questa particolare forma d’arte quando lavoravano per alcune band, tra cui i Tena Novak.

Durante un loro concerto, Marko e Sebastijan montavano pezzi di pellicola che andavano a tempo con la musica e il video veniva proiettato alle spalle della band mentre suonava. Marko aveva creato una sorta di found footage andando a rovistare in innumerevoli archivi web, esaminando documentari di guerra, proclami e statali. La parte più complicata era incollare le pellicole che continuavano a rompersi per poi rimetterle nel proiettore.

Gli amici compaiono spesso in primo piano nelle fotografie, colti in qualsiasi momento della giornata, mentre ridono o sono seri. L’obiettivo si fa sempre più vicino e intimo con Marcela e Vedrana, con le quali ha avuto una relazione.

La complessa personalità di Marko

Se da un lato Ramljak cerca di salvare l’arte dell’amico, dall’altra vuole sottolineare la difficoltà nel parlare dei propri sentimenti e dell’incapacità di farlo, com’era successo a Marko. È interessante notare come Marcela e Vedrana siano state le uniche con le quali lui si sia mai confidato riguardo quell’oscurità che portava dentro, insieme ai suoi sentimenti e preoccupazioni. Non ha mai guardato a questa sofferenza con negatività; al contrario, era convinto che era proprio quello a renderlo un artista e che anche i più grandi maestri erano riusciti a creare i loro capolavori grazie a quel dolore.

Per quanto i cinque amici amassero Marko incondizionatamente, nessuno di loro riusciva a comprendere il suo dolore. All’inizio, il suo bisogno d’isolarsi sembrava normale; addirittura, lui stesso spiegò a Marcela che era un tratto del suo carattere che doveva accettare. E così tutti lo rispettarono. Perfino noi spettatori percepiamo la graduale discesa di Marko in un tunnel che sembra non avere fine.

Chissà dove si trova il punto di non ritorno, il momento in cui si è detto “è troppo tardi ormai”. Forse è stato a quel concerto di Seun Kuti, un mese prima che morisse: se non riusciva a divertirsi lì, se non era felice insieme ai suoi amici, allora davvero era tutto finito. Oppure è stato qualcos’altro di cui nessuno è al corrente. Sono misteri che probabilmente non conosceranno mai la verità.

Ma in fondo Marko ce l’aveva detto: la vita che stava vivendo era per puro divertimento, come se in qualche modo già sapesse che a breve si sarebbe conclusa.

La sua morte ha segnato tutti profondamente e anche dopo tredici anni non è semplice parlarne: lo sentiamo dalla voce degli amici che ogni tanto inciampa nel racconto. Ma anche nell’ora più buia l’arte di Marko fa capolino sullo schermo: mentre Sebastijan e Ivan parlano, le fotografie ci raccontano la luce: light painting, pellicola bruciata, mal sviluppata, simbolo che nonostante la sua vita sia finita, ha trovato la luce che l’ha portato fuori da quel tunnel.

Ivan Ramljak è davvero una bella scoperta. C’era una volta un giovane è un home movie particolare in cui per ottanta minuti sentiamo le voci di Ivan, Marcela, Nevena, Vedrana e Sebastijan, ma non vediamo mai i loro volti se non da giovani nelle fotografie. Questo perché a noi spettatori interessa conoscere Marko con le sue emozioni, la sua arte, il suo carattere come persona viva nel presente e non gli stati d’animo che il ricordo di un amico dipinge sui volti di chi ne parla. Noi dobbiamo conoscere Marko, non chi aveva intorno.

Il racconto si snoda tra fotografie e video accompagnati dalla voce di chi sta parlando e istanti di silenzio contemplativo e altri di riflessione e assorbimento dell’essenza ultima di Marko.

Note positive

  • La scelta di usare materiale d’archivio e considerarlo arte
  • La scelta di usare le voci senza mai rivelare i volti

Note negative

  • Nessuna da segnalare
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