Clock (2023). La maternità non è un destino

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Locandina di Clock 2023

Clock

Titolo originale: Clock

Anno: 2023

Nazione: Stati Uniti d’America

Genere: horror, fantascienza

Casa di produzione: 20th Digital Studio

Distribuzione italiana: Disney Plus

Durata: 91 minuti

Regia: Alexis Jacknow

Sceneggiatura: Alexis Jacknow

Fotografia: Martim Vian

Montaggio: Alexandra Amick

Musiche: Stephen Lukach

Attori: Dianna Agron, Jay Ali, Melora Hardin, Saul Rubinek, Stefan Sims

Trailer di Clock

Informazioni sul film e dove vederlo

Clock è un film di genere fanta-horror del 2023 diretto e sceneggiato da Alexis Jacknow, al suo esordio sul grande schermo, basato su un suo cortometraggio omonimo del 2020. Interpretato dall’attrice Dianna Agron, l’opera ha avuto una prima anteprima all’Overlook Film Festival per essere successivamente rilasciata on demand il 28 aprile 2023 su Hulu negli Stati Uniti e su Disney Plus a livello internazionale.

Trama di Clock

A Ella non manca niente. È una stella nascente del design, vive in una casa da rivista e ha un marito amorevole. Tuttavia, Ella è un’emarginata sociale perché… Non vuole avere figli. E nessuno – né la sua famiglia, né i suoi amici, né la società – lo tollera, nonostante lei continui a dire di essere felice. La pressione sale ed Ella scopre di una sperimentazione clinica in cui il suo viene considerato un problema di fertilità – uno squilibrio ormonale che può essere curato con ormoni sintetici di nuova progettazione e una terapia cognitivo-comportamentale. Decide di inserirsi. Con sua grande sorpresa, il trattamento comincia a funzionare. Ma gli effetti collaterali delle medicine la rendono sempre più paranoica e violenta. Ella adesso vuole avere figli… Ma a quale prezzo?

Recensione di Clock

Diretta e sceneggiata da Alexis Jacknow (la cui apparizione come attrice la possiamo rintracciare nel film Obbligo o verità e nella fortunata serie televisiva crime American Horror Story) la nuova pellicola dal titolo Clock, disponibile ora sulla piattaforma Disney Plus mira a tratteggiare una tematica attuale e molto spesso sottovalutata, ossia la pressione psicologica da parte della società nei confronti di quelle donne che hanno scelto di non mettere al mondo dei figli.

Fortemente autobiografico – alcuni aspetti si rifanno alla vita privata della cineasta – il lungometraggio narra la storia di Ella Patel (Dianna Agron) una donna in carriera fortemente gratificata dalla vita, apprezzata e stimata da amici e colleghi per il suo lavoro di arredatrice d’interni e pienamente soddisfatta del suo matrimonio con il dottore Aidan Patel (Jay Ali). Come lei stessa ammetterà la protagonista sente di non essere pronta per affrontare il fatidico passo per diventare madre, una decisione rispettata dal coniuge ma vista in malo modo dalle sue amiche più strette e dallo stesso padre che continuano a farle pressione per generare prole. In particolare, il genitore sente che tale presa di posizione della figlia possa definitivamente mettere fine al prosieguo della famiglia, i cui antenati erano di origine ebraica e testimoni degli orrori vissuti durante gli anni della guerra nei campi di concentramento. Durante una visita ginecologica consigliatele dal marito per la prevenzione del tumore al seno – decisione presa in merito ai trascorsi della madre della donna – Ella viene informata di un programma sperimentale nato per aiutare persone come lei, capace di sviluppare il desiderio di maternità e aggiustare il loro orologio biologico. Nonostante un primo rifiuto, Ella alla fine cederà e fisserà un appuntamento dopo le numerose e incessanti pressioni da parte delle persone che la circondano, arrivando a rifiutare un importante incarico lavorativo. In seguito a un ciclo di terapie sperimentali caratterizzate dall’assunzione di pillole e sedute con la dottoressa del centro (Melora Hardin) la donna ritorna a casa seriamente provata, manifestando seri problemi psicologici che sfociano in visioni terrificanti e mostruose.

Partendo dal concetto della non maternità la cineasta Alexis Jacknow realizza un thriller psicologico capace di sondare diverse argomentazioni, come l’incessante sollecitazione psicologica da parte della società nei confronti di quelle donne che – per un motivo o per un altro – hanno scelto di non generare figli fino ad arrivare alla figura della donna vista solo come procreatrice.

Diana Agron in Clock (2023)
Fotogramma di Clock (2023)

Un aspetto che si riflette proprio sulla protagonista della storia Ella Patel, realizzata dal punto di vista professionale e con un appagante matrimonio con un uomo capace di farle provare ancora intense emozioni dopo vari anni insieme. Una donna pienamente compiaciuta, che non sente la necessità di far entrare la maternità all’interno di un possibile (e futuro) programma di vita. Una decisione non accettata non solo dal padre ma anche dalle amiche della protagonista, portando Ella a non riuscire a trovare quella sorta di solidarietà femminile tanto agognata e a farla sentire in errore. Come se una donna, per potersi sentire realizzata, dovesse per forza avere al proprio fianco un figlio.

È a partire dal tema della maternità che si espande il concetto di orologio, simbolo dietro al quale si muove l’intera vicenda. Dal titolo stesso – Clock per l’appunto – si passa alla nozione di orologio biologico, più volte citato all’interno del lungometraggio in riferimento alla condizione della protagonista, vista come un oggetto da riparare per poter sviluppare il desiderio di maternità prima che il tempo – in questo caso il suo essere fertile – scada e ponga fine ai desideri delle persone che la circondano. Il lento scorrere del momento viene scandito anche dal pendolo presente nella casa del padre, cimelio di famiglia tramandato dagli antenati e giunto fino a Ella, un oggetto storico non solo portavoce del tempo che passa (in riferimento alla storia dell’Olocausto) ma anche un inesorabile promemoria per la donna, infastidita dal ticchettio perché strettamente legato al concetto di orologio biologico. Un suono incapace di risultare naturale alle orecchie della donna – il cui orologio biologico risulterebbe “guastato” – portandola a sentirsi schiacciata mentalmente per questa condizione tanto da arrivare a volersi scagliare contro per mettere fino a questa sua sofferenza.

Dianna Agron in Clock (2023)
Dianna Agron in Clock (2023)

Le tematiche affrontate nella prima parte dell’opera sfociano in un’atmosfera più cupa nel secondo tempo – quando le pressioni si fanno più pressanti – portando il lungometraggio a mirare al genere dell’orrore e, in special modo, al body horror. Un passaggio reso evidente soprattutto dal cambio di inquadrature e luci, mostrando inizialmente il volto di Ella disteso e rilassato circondato da ambientazioni colorate che, solo alla fine, approdano in un clima psicologico tetro e caratterizzato dall’assenza di colore. È probabilmente questa seconda parte a convincere di meno a causa di una scrittura poco incisiva, portando lo spettatore a non comprendere totalmente alcuni elementi. Un esempio è dato dalla donna nera che Ella vede nelle sue visioni, l’incarnazione di una sua antenata tenuta prigioniera nei campi di concentramento, e di cui la protagonista ha il terrore. Esattamente, quale paura riflette veramente tale figura?

In conclusione

La regista Alexis Jacknow approda sul grande schermo con un thriller psicologico capace di affrontare tematiche ancora ostiche all’interno della nostra società, come l’accettare la scelta da parte di una donna di sentirsi realizzata anche senza figli. La protagonista Dianna Agron incarna perfettamente il personaggio attraverso una più che apprezzata performance, portando lo spettatore a riuscire a immedesimarsi in lei e nelle sue scelte. Probabilmente a convincere di meno è la parte horror mal gestita nella parte centrale dell’opera. In conclusione, Clock risulta essere un film non solo piacevole alla vista ma capace di farci riflettere attraverso le argomentazioni riportate.

Note positive:

  • Regia
  • Performance Dianna Agron
  • Tematiche affrontate
  • Elemento thriller psicologico

Note negative:

  • Elemento horror
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