Concrete Cowboy (2020): Una storia da raccontare

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Trailer italiano di Concrete Cowboy

Distribuito in anteprima al Toronto International Film Festival il 13 settembre 2020, Concrete Cowboy è disponibile su Netflix a partire dal 2 aprile 2021. Il regista Ricky Staub, alla direzione del suo primo lungometraggio, adatta il romanzo Ghetto Cowboy (2011) scritto da Greg Neri. Sceneggiato dallo stesso Staub insieme a Dan Walser, il film vanta tra i produttori Idris Elba (anche protagonista) e il candidato all’Oscar Lee Daniels (Precius, 2009; The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, 2013). Nel cast è presente Lorraine Toussaint, vista in Selma – La strada per la libertà (2014) di Ava DuVernay.

Trama di Concrete Cowboy

Philadelphia. Il quindicenne Cole (Caleb McLaughlin) viene lasciato dalla madre Amahle (Liz Priestley) davanti alla casa del padre. Harp (Idris Elba), che non ha partecipato attivamente alla crescita del ragazzo, accoglie così il figlio all’interno della comunità di Fletcher Street, in cui cowboy urbani domano cavalli tentando di proseguire una tradizione lunga cento anni. Cole viene però attratto dallo stile “moderno” di Smush (Jharrel Jerome), un amico d’infanzia ormai assorbito dal mondo criminale. Denaro e comodità, affini alla vita di Smush, stonano con l’austerità che caratterizza le giornate in Fletcher Street, conducendo Cole a preferire la strada della criminalità. Ma alcuni rapporti tesi con la malavita della zona incrementano il rischio corso dal figlio di Harp, avvicinando allo stesso tempo il ragazzo al solido mondo in cui lavora suo padre…

Recensione di Concrete Cowboy

Il primo aspetto che caratterizza Concrete Cowboy consiste nell’apprezzabile volontà del giovane regista Ricky Staub di adattare il romanzo scritto da Greg Neri. In fondo, la rappresentazione di una sottocultura come quella dei cowboy urbani basta per conferire un significato al film, che però, attraverso la sceneggiatura di Dan Walser e dello stesso Staub oltrepassa addirittura l’argomento principale per approfondire tematiche come la tragica situazione di una madre costretta ad abbandonare il proprio figlio e il rapporto, spesso teso, tra il medesimo figlio e quel padre che non ha mai veramente conosciuto. Lo stesso che vive ai confini di Philadelphia, una città in espansione, con rampanti grattacieli intenti a competere uno con l’altro nell’estenuante ricerca di un primato; elementi estranei a quel mondo “rurale” in cui sembrano contare valori più affini ad un’altra epoca, e che, proprio per tale ragione, viene emarginato dalla società.

Esattamente come i cowboy di Fletcher Street, per certi aspetti emblemi del movimento attivista Black Lives Matter, ma allo stesso tempo lascito di una cultura urbana a molti sconosciuta. Del resto, la presenza dei cowboy nell’area nord di Philadelphia risale a più di cento anni fa. La tradizione di cavalcare cavalli, di considerare il dorso di un Quarter Horse al pari della propria abitazione, veniva tramandata da generazione in generazione. Si trattava di persone abili nel domare i cavalli e nell’utilizzarli per trasportare quei materiali necessari alla costruzione dell’attuale città. Philly, come viene comunemente denominata, è il più vasto agglomerato urbano della Pennsylvania. Moderna e alla moda in alcuni distretti, riesce a conservare la tradizione in altri. Si stabiliscono così dei microcosmi la cui sopravvivenza è perennemente minacciata dal talvolta incontrollato sprawl urbano.

Difatti, quasi paradossalmente, la medesima città che i cowboy hanno contribuito a realizzare, ora reclama più spazio, che ovviamente deve essere destinato a funzioni maggiormente redditizie. Cavalcare cavalli è ormai il passato. I cowboy riuniti alla sera intorno ad un fuoco definiscono una scena più afferente alla rocambolesca epopea della conquista del West rispetto alla contemporaneità, in cui i sogni di ragazzi come Smush (bene interpretato da Jharrel Jerome) sconfinano in fantasiose idee (l’acquisto di numerosi ranch dell’Ovest) alienate e alimentate dal pericoloso mondo criminale. Lo stesso che ha conosciuto Harp, che proprio per alcune scelte sbagliate non ha potuto assistere alla nascita di Cole e, successivamente, avere un ruolo nella sua infanzia, provocando la perdita del senso di essere padre.

Idris Elba raffigura così un personaggio sfaccettato, complesso, il cui limite (pur all’interno di un’apprezzabile interpretazione) consiste nel dover dimostrare una frettolosa empatia che forse riduce le (alte) potenzialità del lungometraggio. Sebbene il film sia basato su una storia tra padre e figlio, Concrete Cowboy non raggiunge per esempio il clima, direi soffocante, espresso da Denzel Washington in Barriere (D. Washington, 2016). Nonostante ciò, Ricky Staub e Dan Walser riescono, anche attraverso una regia in stile verità (alcuni attori sono cowboy di Fletcher Street), a ricostruire un’atmosfera che stabilisce diverse note positive. Come la volontà di rappresentare un stile di vita capace di rinsaldare (vere) amicizie, e poi l’impareggiabile coraggio di una comunità che, pur minacciata da una società da cui nemmeno viene riconosciuta, scova la forza per rimettersi in groppa e cavalcare. Fino a trovare un luogo che corrisponde al loro concetto di libertà.

Note positive

  • Il racconto di una storia di grande importanza
  • La regia di Ricky Staub
  • Le interpretazioni di Idris Elba, Caleb McLaughlin e Jharrel Jerome con un plauso particolare ai cowboy di Fletcher Street inseriti nel cast
  • Il montaggio di Luke Franco Ciarrocchi
  • Il montaggio sonoro

Note negative

  • Il rapporto tra Harp e Cole poteva implicare una sceneggiatura ancora più complessa
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