
I contenuti dell'articolo:
Memorie di una Geisha:
Titolo originale: Memoirs of a Geisha
Anno: 2005
Nazione: Stati Uniti d’America, Giappone
Genere: Drammatico
Casa di Produzione: Columbia Pictures, DreamWorks Pictures, Spyglass Entertainment, Amblin Entertainment, Red Wagon Entertainment
Distribuzione italiana: Eagle Pictures
Durata: 144 min
Regia: Rob Marshall
Sceneggiatura: Robin Swicord
Fotografia: Dion Beebe
Montaggio: Pietro Scalia
Musica: John Williams
Attori: Zhang Ziyi, Ken Watanabe, Gong Li, Suzuka Ohgo, Michelle Yeoh, Youki Kudoh, Kōji Yakusho, Kaori Momoi, Tsai Chin, Kotoko Kawamura
Basato sull’omonimo romanzo di Arthur Golden, prodotto dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg, Memorie di una geisha vede alla regia il cineasta Rob Marshall (Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare, 2011; Intto the Woods, 2014), ottenendo ben tre oscar come migliore fotografia, miglior scenografia e migliori costumi
Trama di Memorie di una Geisha
Un pescatore giapponese di inizio Novecento, incapace di sostenere gli oneri derivanti dalla degenza di una moglie morente, viene persuaso a svendere le giovani figlie, la maggiore a un bordello, la minore e più graziosa Sayuri, a una casa di Geishe. In quel luogo estraneo e misterioso quest’ultima deve sopportare, da un lato le angherie della Geisha in attività Hatsumomo, che la rifiuta in quanto avversaria, dall’altro la perfidia irragionevole della Madre adottiva, nonché amministratrice dell’Okiya, che la degrada a sguattera della dimora. La giovane serva diviene però di anno in anno più affascinante, richiamando l’interesse di una celebre e rispettata Geisha locale di nome Mameha, intenzionata ad addestrarla e a promuoverla al grado di Maiko (apprendista Geisha). Grazie al suo lasciapassare, Sayuri fa la conoscenza del facoltoso direttore generale, l’uomo sensibile e istruito di cui si innamora perdutamente. Da quel momento la piccola farà di tutto per completare il suo percorso di formazione e quindi essere venduta al caro direttore.

Recensione di Memorie di una Geisha
Banchine stipate, carrozze sbuffanti e un fratello svanito nella coltre fumosa…di lì l’ardore della ricongiunzione e i propositi di riscatto; un incipit da Millionaire nel Giappone dei tetti attigui e ricurvi di Rob Marshall. Sotto a questi anche una casa di Geishe (Okiya) trova riparo, ma una raffica di temibile avvenenza soffiata dal bosco ne smuoverà le assi, provocandone il perpetuo dondolio tra favola e realtà. Come una Biancaneve post litteram, quella brezza fanciullesca di nome Sayuri, ora minaccia l’egemonia della Geisha Regina (Gong Li), una “sorella” maggiore ingelosita e tormentata dall’incedere del tempo; l’oggetto delle sue brame è una maschera bianca passpartù dell’esistenza, una sorta di treccia dorata da calar come appiglio. Queste folkloriche abitazioni denominate Okiya, nel testo pseudonimo di simbologie narratologiche note (torri, castelli), come camere criogeniche conservano intonse le doti delle debuttanti: Bellezza e castità.
Sayuri, principessa dormiente, matura solerte in attesa d’esser posseduta da colui che, a colpi di fruscianti dollaroni, sconfiggerà il drago Madre. Siamo in una dimensione del sesso come atto inquinante, produttore di cibi avariati, tanto inadatti alla vendita quanto più consumati. Sublimi e subliminali le donne novecentesche del racconto, allegoriche nella loro materica tangibilità, coltivano quell’unica virtù che di sé riconoscono e possono legittimare: la seduzione. Un’abilità rinvigorita dal dolore fisico e dalla costrizione del corpo. Duri come il cristallo, i minuscoli sandali della tradizione nipponica deformano il piede delle giovani apprendiste, che dal campo semantico della sopportazione, dell’artificio e dell’alterazione ricavano la nozione di Bellezza. Altrettanto archetipica quell’ospitalità ricattatoria che le arcigne colleghe riservano alla sventurata protagonista, una cenerentola maleodorante in un mondo di donne prevaricatrici, reazionarie e inconsapevoli sostenitrici della fallocrazia. Assegnazioni rigide, vite binarie a riparo dall’incertezza e ancora adesione al conosciuto in difesa dell’Io. Queste memorie divengono, per osmosi, rappresentazione di un passato prossimo che fatica a dissolversi, che tenta altresì di tramandare un modello di Carceriere Azzurro assai abile nell’irretire vittime affette da sindrome di Stoccolma. Una dinamica tossica ravvisabile nel rapporto tra Sayuri e il principesco Direttore Generale (Ken Watanabe).
Sayuri è nata nell’anno del Gallo corrispondente all’acqua, il 1933: Secondo il calendario Giapponese ha il cuore tenero e compassionevole, è arguta ed intelligente.
Plasmabile alla stregua dell’acqua, la nostra scivola trasparente sulle superfici perdendo via via lacrime di sé; il Direttore (proprietario di una centrale idroelettrica) è la conditio sine qua non che trasforma l’acqua in energia, che conferisce valore, utilità e ragion d’essere a quella materia grezza che da esso dipende. È in questo passaggio che la pellicola vacilla, tentenna, perde di incisività e di coraggio finendo col suggerire erroneamente che l’ordine e l’armonia siano rintracciabili al di fuori di sé. Se quella di accompagnare un grande uomo figurasse come aspirazione massima, la Geisha incarnerebbe la donna ideale: È abile a conversare, di bell’aspetto ed estremamente curata, ma pondera ogni gesto onde evitare di oscurare il cavaliere che la espone; è un biglietto da visita elegante e raffinato, ma con l’unica funzione di introdurre il proprietario.
Considerazioni estetiche
Sui ritratti metropolitani del primo atto, piovosi, fumanti, ingrigiti al limite del distopico, si infrangono frammenti di accesissime vesti vermiglie. Con l’affacciarsi della primavera, quella fotografia geometrica e claustrofobica acquista caratteri impressionisti; i giardini di Monet e le domeniche pomeriggio di Seurat diventano palcoscenici a cielo aperto. In quelle pubbliche circostanze, le Geishe, avide di sguardi, attendevano che il “catcalling” convalidasse l’interazione oculare. La fioritura dei ciliegi, delicati come la cute porcellanata delle novizie, preannuncia la maturazione dei frutti rossastri, ormai prossimi al consumo.

Debolezze
Le pratiche di Body torture volte ad ottenere fattezze al limite del cartoonesco (piedi di loto), non vengono esplorate a sufficienza; prezioso minutaggio viene bensì concesso a dinamiche tipiche del melodramma d’amore, che in parte disinnesca l’asprezza del racconto. Un epilogo fiabesco in antitesi col narrato neutralizza l’efficacia delle sequenze anteriori, in cui Sayuri diveniva, a sua volta, Madre accigliata, sconfitta ed imperturbabile. Allo stesso modo il passaggio dal folclore alla cultura di massa (da Geisha a prostituta) messo in moto dall’imperialismo nordamericano novecentesco, risulta costretto all’interno di un romanticismo ostativo.
Conclusioni
Certamente un film dai nobili intenti, nonché anticipatore dei tempi visto l’odierno interesse alla lotta di genere; foriero, dunque, di grandi valori e cronista di luoghi oscuri e inesplorati. Egregiamente diretto ed interpretato, adotta il linguaggio fiabesco come strumento esplicativo dotato di universalità e lo scheletro del melodramma come attrattore spettatoriale. Purtroppo, il vigore contenutistico si disperde nel finale melenso e in quelle scelte timorose che ne hanno attutito brutalità e amarezza.
Note positive
- Fotografia
- Interpretazioni
Note negative
- Finale