Farha (2021): una storia straordinaria e devastante

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Farha locandina

Farha

Titolo originale: Farha

Anno: 2021

Paese: Giordania, Svezia, Arabia Saudita

Genere: Drammatico

Produzione: TaleBox, Laika Film & Television, Cimney

Distribuzione:

Durata: 92 minuti

Regia: Darin J. Sallam

Sceneggiatura: Darin J. Sallam

Fotografia: Rachel Aoun

Montaggio: Pierre Laurent

Musiche: Nadim Mishlawi

Attori: Karam TaherAshraf BarhomAli SulimanTala GammohSameera Asir, Majd EidFiras TaybehSamuel Kaczorowski 

Trailer del film Farha

Presentato al Toronto Film Festival e in concorso al Festival del cinema di Roma la regista Darin J. Sallam ci presenta il suo film socio-politico che racconta gli orrori dello sfollamento in Medio Oriente. 

Trama di Farha

Farha è una ragazza di quattordici anni che, come tutte le ragazze della sua età, sogna di trasferirsi in città per frequentare la scuola insieme alla sua migliore amica Farida e un giorno diventare un’insegnate e aprire una scuola per sole donne nel suo paese. Però in quanto figlia del Mukhtar, il sindaco del villaggio, deve rispettare ciò che impone la tradizione ovvero quella di sposarsi. Il 1948 è l’anno che segna la fine del controllo britannico sulla Palestina, i villaggi vengono sfollati ma il padre della ragazza decide di rimanere e Farha rifiuta di allontanarsi da lui. Presto le bombe israeliane inizieranno a cadere sul villaggio. il padre di Farha, per salvare la figlia, decide di rinchiuderla all’interno della cantina della loro casa, murando la porta per evitare che venga scoperta con la promessa che sarebbe tornato quanto prima a salvarla. Farha non può far altro che aspettare e osservare attraverso una fessura della cantina ciò che sta accadendo, il paese, il suo sogno di un futuro diverso da quello che la tradizione impone e soprattutto l’umanità delle persone svanisce in nome di una guerra. 

Recensione di Farha

Dopo la presentazione in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival il film arriva a Roma in concorso alla sedicesima edizione del Festival della Capitale che quest’anno ha visto le donne protagoniste, infatti sono stati presentati ben ventidue film diretti da registe. La cineasta palestinese Darin J. Sallam ( The parrot, The dark outside) dirige il suo primo lungometraggio mettendo in luce gli orrori dell’esodo palestinese del 1948. Il film racconta la vera storia di Radiyyeh una ragazza di quattordici anni il cui villaggio è stato distrutto durante i bombardamenti.

Farha è un film non adatto a tutti, molte scene sono cruenti al limite della sopportazione visiva, un film claustrofobico che inizia quasi come una favola, una ragazza di quattordici anni che sogna un futuro diverso da quello che la tradizione impone, un sogno che finalmente il padre acconsente a realizzare ma che Farha vede definitivamente distrutto nel momento in cui la storia entra nel vivo. La regia è imperfetta soprattutto nella parte centrale della storia, dove Farha, e lo spettatore, sono rinchiusi all’interno di questa cantina dove suono e luce sono gli elementi principali del racconto, entrambi dobbiamo abituarsi al buio cercando di analizzare lo spazio ristretto in cui si è costretti a stare inconsapevoli di ciò che sta succedendo all’esterno. I movimenti di macchina, i gesti dell’attrice sono al limite, i primi minuti risultano piatti e senza alcun risvolto effettivo, abbiamo poche informazioni su ciò che sta accadendo, la guerra resta fuori dalla trama principale del film che si concentra sull’evoluzione del personaggio di Farha che ha il compito di far comprendere allo spettatore la drammaticità di questo capitolo di storia, rendendo questi tre quarti d’ora i più empatici di tutto il film.

Il film potrebbe essere diviso in tre parti essenziali che contribuiscono nell’impatto emotivo dello spettatore. Una prima parte dalle inquadrature colorate che ci presentano questo villaggio della Palestina, abbiamo modo di conoscere i molti personaggi che entrano in scena, il clima che si respira è di una catastrofe imminente che però rimane sullo sfondo poiché siamo più concentrati a seguire questa adolescente che racconta dei suoi sogni alla sua migliore amica, mangiando fichi seduta sull’altalena. Brutalmente veniamo catapultati in una situazione completamente differente, chiusi in uno spazio ristretto, le scene sono quasi prive di dialoghi, assistiamo al mutamento di questa adolescente, spensierata e sognatrice, che diventa testimone, innocente e inerme, degli orrori che intravede attraverso un piccolo spiraglio di luce. I pochi movimenti di macchina ci mostrano il corpo disidratato e sporco, i primi piani si concentrano su questo viso segnato dalle limitazioni in cui è costretta a vivere. Dalla rassegnazione si passa alla rinascita dell’adolescente che ormai è diventata una donna nell’epilogo finale del film.

La giovane attrice Karam Taher, che recita per la prima volta, si fa carico di tutto il film, i personaggi che noi vediamo della prima parte sono semplicemente di contorno alla storia, è perfetta nella resa degli stati d’animo e fisici a cui è sottoposto il suo personaggio.

Le parole della regista

La regista ha raccontato di essere viva perché il padre fu un sopravvissuto alla Nakba (che vuol dire “catastrofe”). Ascoltando le storie della madre si interessa particolarmente a quella di Radiyyeh, che la madre ha avuto modo d’incontrare dopo essere arrivata in Siria. Ciò che ha molto colpito Sallam è l’idea di una ragazza rinchiusa dentro una cantina dal proprio padre per salvarla dalla violenza degli eventi esplosi in Palestina.  

Non riuscivo a togliermi dalla testa quella ragazza, continuavo a pensare a come poteva sentirsi in questa piccola stanza oscura, soprattutto perché ho paura dei luoghi stretti e bui. Nel corso degli anni, queste storie, queste persone, le loro vite, si sono unite nella mia mente, andando lentamente a formare la storia di Farha. Non volevo trattare Farha solo come un numero, una dei 700.000 che furono costretti all’esilio. Volevo concentrarmi sul suo viaggio personale a sui suoi sogni, passati dal combattere per imparare, al combattere per sopravvivere. E’ una storia di amicizia, aspirazioni, separazioni, formazione, sopravvivenza e liberazione di fronte alla perdita.

Note positive

  • Interpretazione di Karam Taher
  • La tensione drammatica della storia

Note negative

  • La regia in alcuni momenti del film
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