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Ghost in the Shell
Titolo originale: Ghost in the Shell
Anno: 2017
Nazione: Stati Uniti d’America
Casa di produzione: Dreamworks Pictures
Distribuzione italiana: Universal Pictures
Durata: 1h 47 min
Regia: Ruper Sanders
Sceneggiatura: Jamie Moss, William Wheeler, Ehren Kruger
Fotografia: Jess Hall
Montaggio: Neil Smith, Billy Rich
Musiche: Clint Mansell, Lorne Balfe
Attori: Scarlett Johansson, Pilou Asbæk, Takeshi Kitano, Juliette Binoche, Michael Pitt.
Trama di Ghost in the Shell (2017)
Tratto dall’omonima storia a fumetti e diretto dal regista inglese Rupert Sanders, Ghost in the Shell narra la storia di un sensualissimo androide (Scarlett Johansson), o cyborg a seconda delle interpretazioni, nel quale è stata impiantata la mente di una giovane donna. Divenuta maggiore di una sezione paramilitare di sicurezza pubblica, nel tentativo di far luce sull’omicidio di un dirigente della Hanka Robotics, si troverà a indagare parallelamente sulla natura della sua genesi.
Recensione di Ghost In The Shell
Il film presenta tutti i tratti più tipici del Cyberpunk: una spietata società di robotica avanzata, il bagliore accecante di una notturna metropoli decadente, la cospirazione, l’investigazione che diventa introspezione eccetera; il tutto senza aggiungere però nulla di proprio, risultando a tratti banale e fuori tempo massimo. Se quello d’inserire riferimenti a Blade Runner può sembrare una scelta coraggiosa, nella prassi reiterata ci troviamo spesso difronte scritture pigre più che sentiti omaggi. In qualunque futuro prossimo narrato le città saranno dominate da ologrammi giganti, pena l’espulsione immediata dal genere; questo è ciò che presumibilmente risuona nella testa di molti registi. L’autore infatti non investe un singolo minuti nella costruzione architettonica di questa realtà immaginaria, negandosi così l’opportunità di mettere in scena una potenza visiva tale da sopperire alla banalità dell’intreccio, come spesso accade in simili contesti. Questo altro quando è astratto, non c’è oggetto né elemento a cui potersi aggrappare per sentirsi più immersi in questo mondo incollocabile. Fatta eccezione per le primissime sequenze, che piacevolmente ci riportano un po’ a Westworld, non sempre l’ampio budget (110 milioni) è stato utilizzato al meglio; in numerose scene infatti la nostra protagonista appare ingiustificatamente computerizzata, persino in quelle più statiche.
Tra rallenty coatti, immagini da gameplay e duelli da Picchiaduro, se non altro in linea con le origini nipponiche, è ragionevole stabilire che la virtù della pellicola, se c’è, non risiede nella forma. Tra parti anatomiche rimpiazzabili e memorie che riaffiorano da passati rimossi, le soluzione narrative sono quanto mai prevedibili, riuscendo a rendere soporifero anche un film dal ritmo tanto concitato da ridurre in affanno. Tra brezze intermittenti di Self/Less, nell’aria si respira un constante già visto e nessun personaggio appare sufficientemente carismatico da trainare lo spettatore verso la fine. Il regista riesce persino a disperdere tutta la carica erotica sprigionata dalle provocanti fattezze di una Johansson robotica, che in ogni inquadratura si mostra perfettamente in grado di difendersi anche dalla più impudica delle menti. Quanto detto è estendibile a tutti i comprimari, su nessun corpo metallico si poggia uno sguardo entusiasta, neanche sul più stravagante. La presenza inusuale di un’eroina, irrefrenabile e volutamente irresistibile, non apre ad alcun ragionamento femminocentrico politicamente rilevante; la seduzione è un’arma? Il potere è donna?
Nei panni high-tech di Mira Killian la nostra affezionatissima Vedova Nera non è convincente, esaspera i tratti artificiosi della camminata e di certe espressioni sbigottite tanto da rendersi caricaturale. Uno spunto di riflessione interessante offerto dalla sceneggiatura muove dal desiderio di “migliorarsi” attraverso una sofisticatissima forma di chirurgia robotica; la spersonalizzazione dell’essere umano, l’incapacità di riconoscersi tra simili e il rifiuto ossessivo del proprio corpo sono temi senz’altro presenti ma per nulla approfonditi, al contrario avrebbero potuto rappresentare la forza del film. Con estrema celerità si arriva al finale dello spettacolo che, seppur sbrigativo e prevedibile, intrattiene quanta basta da scuotere lo spettatore dallo stato di catalessi, concedendogli anche qualche buona sequenza, sapientemente “strappata” dalla fonte originaria.
In conclusione
Non un successo di pubblico questo Ghost in the Shell, che a mala pena rientra dei costi produttivi totalizzando circa 170 milioni in tutto il mondo. A conti fatti il film risulta se non altro insipido, manchevole d’impeti creativi avanza privo di rischi o azzardi riproponendo una ricetta nota, poco gustosa ma quantomeno saziante. Tra continui déjà-vu e risvolti presagibili si lascia seguire con semplicità e la sceneggiatura si dimostra insulsa ma comunque solida. La regia, benché non ricercata, accompagna adeguatamente la narrazione senza provocare eccessivi giramenti di testa e potrebbe divertire gli amatori meno pretenziosi dello sparatutto videoludico.
Note positive
- Ritmo
Note negative
- Sceneggiatura
- Scrittura dei personaggi
- Dialoghi