Good Vibes (2023): apparente evoluzione

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Trailer di Good Vibes (2023)

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Un curriculum di tutto rispetto quello di Janet De Nardis; operatrice culturale, giornalista, conduttrice, sceneggiatrice e regista; autrice di Good Vibes, un film che fa da collante tra il presente e ciò che potrebbe riservarci il futuro. La tecnologia, che non cammina di pari passo con l’uomo, allunga la distanza a causa dello spasmodico e inconsapevole uso che ne facciamo. Regista e attori, presentano uno scenario catastrofico del possibile compromesso storico della nostra epoca. Ispirato a The Circle (2017) bestseller di Dave Eggers, Good Vibes sarà disponibile nei cinema italiani dal 5 ottobre 2023.

Trama di Good Vibes (2023)

Cinque sono gli episodi di questa trama, dove di consueto variano i personaggi accomunati dal ritrovamento di uno smartphone. Quello che a prima vista sembra essere un normalissimo cellulare, è dotato di una particolare tecnologia, inserendovi i numeri di telefono di amici e conoscenti, è possibile accedere ai dati sensibili degli intestatari, visualizzandone i contenuti di chat private sino ad ascoltare intime e compromettenti conversazioni. Un adolescente, un poliziotto, un figlio di papà, un killer e un boss mafioso; sono i personaggi che animano una trama guidata dal caso, in cui il mostro tecnologico diviene oggetto del desiderio. Lo smartphone è l’elemento attraverso cui si consumano le più tenere e incoscienti ripicche adolescenziali, fino ad arrivare a intricati e pericolosi giochi di potere.

Nicola Pecci - Good Vibes (2023)
Nicola Pecci – Good Vibes (2023)

Recensione di Good Vibes (2023)

Good Vibes nasce da una lunga riflessione sull’uso smisurato della tecnologia e in particolare del telefono nella nostra vita. Ci siamo chiesti dove ci sta portando questa società fatta di informazioni alla portata di tutti, ci siamo interrogati sulla morale comune e sugli istinti più bassi che accomunano persone diverse per età ed estrazione sociale. Il mondo si evolve, come le nostre abitudini, ma alla fine le tentazioni sono sempre le stesse.

Janet De Nardis

Una sentenza senza sconto di pena è quella di Good Vibes. Come in Wargames – Giochi di guerra diretto da John Badham nel 1983 (dove uno studente appassionato dei primi computer riesce a infiltrarsi nel sistema di sicurezza degli USA, rischiando di provocare l’inizio del terzo conflitto mondiale), Good Vibes pone la società alla mercé dello sviluppo tecnologico, in cui i protagonisti, come nel lontano 1983, restano esterrefatti dalla potenza di cotanto ingegno. Ciononostante, a distanza di quarant’anni, si comprende che la maturità nell’affrontare il mondo con una tale prospettiva di crescita, non può solo dipendere da un fattore anagrafico, bensì da un senso di responsabilità esule dall’umana corruttibilità. I punti principali di fronte a cui ci pone la sceneggiatura sono due e ben distinti. Il primo evidenzia chiaramente l’impatto che l’evoluzione tecnologica ha avuto sulla società, di come sia semplice penetrare nella vita delle persone e di come la nostra esistenza faccia da deterrente per la noia di chi c’è intorno, di quanto spesso sia terribile che le privacy sia a misura di click. Il secondo punto è quanto in realtà non si è pronti, e forse mai lo si sarà, al continuo evolversi del mondo digitale. Un progresso continuo e inarrestabile, di fronte a cui l’individuo si abbandona alle proprie fragilità e insicurezze, in casi più gravi ad atti meschini e prevaricatori; una crescita che per essere accolta in toto non dovrebbe comprendere l’essere umano nell’equazione.

Mimmo Calopresti - Good Vibes (2023)
Mimmo Calopresti – Good Vibes (2023)


Nel film, gli interrogativi sono chiari e le risposte sono immediate. Ciò che risulta particolarmente interessante è osservare come individui di diverse età ed estrazioni sociali cercano di trarre vantaggio dal fortuito ritrovamento. I personaggi risultano essere sempre molto espliciti, non sorge la necessità di affinarne i comportamenti o camuffarne l’essenza, piuttosto si propongono con forte esasperazione, spesso fastidiosa e di poco gusto. La fedeltà con cui si presentano i protagonisti matura di intensità nel momento in cui entrano in contatto con lo smartphone, riconfermandone le caratterizzazioni e lasciandone emergere altre leggermente celate. Non avviene in alcun momento un confronto reale con l’apparecchio, anzi ne si fruttano le potenzialità, si cercano sicurezze, ci si assicura un avvenire; al fine di rendere chi lo possiede immune alle minacce della società, rimarcando con decisione un processo di involuzione quasi involontario ma di cui l’individuo è fautore. La guerra dei poveri si combatte sul fronte umano, non concependo minimamente la fonte del malessere, un campanello di allarme che richiama l’attenzione dell’attuale generazione e che anticipa un possibile scenario. Così la regista si interroga su quanto sia necessario porre un freno davanti a ciò che rischia di provocare un’inversione di marcia nella storia del uomo, come per il Paradosso di Achille e la tartaruga (Zenone), si rischi di rincorrere all’infinito un qualcosa a cui superficialmente gli si è concesso un enorme vantaggio.

In conclusione

L’ironico approccio e l’estrema stereotipizzazione dei personaggi regalano un briciolo di banalità alla trama, un’ironia spiccata e la teatralità anni 60′ confluiscono nell’esprimere il divario tra uomo e progresso. La suddivisione delle varie vicende non può che ricordare il grande successo di Black Mirror, serie tv britannica ideata da Charlie Brooker (2011- in produzione). Ovviamente spiccano notevoli differenze sia per la qualità del girato che per il comparto recitativo, Good Vibes un mordi e fuggi cronologicamente ordinato; Black Mirror un geniale approccio a contesti vari, a volte fantasiosi con un cast fortemente eterogeneo. La sceneggiatura accomuna discretamente la varietà di genere della pellicola, senza andare a tralasciare il contorno thriller, dimenticando in alcune parti la componente fantasy, con perenne focus sul dramma. Nel complesso non è corretto parlare di un fallimento, difatti, è evidente un miglioramento rispetto a prodotti pressoché analoghi, manifestatisi nel panorama italiano con accezione parodiale, un esempio è Lo chiamavano Jeeg Robot del 2015 diretto da Gabriele Mainetti. Ricordando sempre che è frutto di riferimento a un’opera già esistente, seppur l’adattamento è per metà riuscito, ricade nel tranello simulatorio di cui il cinema ne è spesso testimone.

Note positive

  • Idea
  • Trama scorrevole

Note negative

  • Recitazione
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