Green Book: come raccontare la discriminazione razziale

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Trailer italiano del film Green Book

Trama di Green Book

New York city, 1962, un musicista afroamericano (Don Shirley) assolda un nerboruto e scaltro tuttofare di origine italiana (Frank Vallelonga) per accompagnarlo nel suo tour attraverso il profondo sud degli Stati Uniti, attanagliato da antichi risentimenti, ancora profondamente razzista, in preda al terrore di una possibile guerra nucleare con la Russia, fomentata per la corsa allo spazio e sicuramente scossa dagli avvenimenti che interessavano il Sudafrica ed il suo attivista anti-apartheid Nelson Mandela. Gli avvenimenti che si susseguono durante il loro viaggio porterà questa improbabile coppia a creare un profondo sentimento di stima, nonostante i pregiudizi dello stesso Frank, e una profonda amicizia, scaturita nel aiuto reciproco e coadiuvata dalla musica, dalla poesia e dai magnifici paesaggi da cartolina degli stati meridionali.

Recensione del film Green Book

Green Book è un film del 2018 diretto da Peter Farrelly (no, non vi state sbagliando, è lo stesso Farrelley che, insieme al fratello, ha firmato la regia di Scemo & più scemo e altri film comici) e sceneggiato insieme a Nick Vallelonga. Vi starete chiedendo chi sia, quest’ultimo è il figlio di Frank “Tony Lip” Vallelonga, interpretato nel lungometraggio da un Viggo Mortensen ingrassato di 20 Kg solo per l’occasione. L’intero script è infatti tratto da avvenimenti realmente accaduti, tramandati e adattati da Nick in ricordo del padre scomparso, il cui lavoro è stato apprezzato anche dagli Accademy, che lo hanno premiato miglior sceneggiatura originale durante l’edizione del degli Oscar 2019, e che ha sicuramente contribuito, insieme ovviamente alla performance dell’attore, a far riscuotere a Mahershala Ali, il quale veste i panni di Don Shirley, ottime critiche e il premio al miglior attore protagonista nel corso della medesima rassegna.

Mi permetto di aprire una parentesi: Green book, oltre ai premi sopracitati, si è aggiudicato la famosa statuetta d’oro al miglior film 2019, anno in cui gareggiava per la stessa e altre categorie Roma di Alfonso Cuaròn. La mia umilissima opinione non potrà certamente competere con le competenze della giuria e non si cura dei delicati meccanismi di cernita dei vincitori degli Accademy, ma non per questo mi esimo dal lamentarmi del fatto che assegnare al regista messicano uno fra miglior sceneggiatura originale o, per l’appunto, il premio al miglior film, avrebbe liberato forse un posticino per un altro piccolo gioiello di quello stesso anno, ovvero Cold War di Pawel Pawlikowski. Non è certamente la prima volta che rimango deluso nello scoprire i vincitori del tanto ambito premio hollywoodiano (sempre nel 2019, per la categoria miglior film d’animazione è stato snobbato Wes Anderson), ma non per questo non sono stato in grado di apprezzare la bontà del film di Peter Farrelly.

Analisi di Green Book

Green book non è un film sulla discriminazione razziale, infatti la lotta per i pari diritti del popolo afroamericano e la critica ai retrogradi pregiudizi sulla sua comunità etnica non sono altro che la cornice di una più grande tematica. Il “Negro Motorist GreenBook” appare solo per pochi istanti nel corso della pellicola insieme a tanti piccoli indizi e palesi ingiustizie, così facendo il film riesce a raccontare uno scorcio dell’America del tempo soprattutto attraverso gentili accortezze, comicità sapientemente razionata e toccanti parole, senza mai scadere del vittimismo, non cercando di scatenare sentimenti di pietà e senza appellarsi a monologhi eroici e romanzati. Quello che a mio modesto parere è stato il grande pregio di questa sceneggiatura è stato quello di creare un prodotto inclusivo, che potesse interessare e emozionare chiunque tentando al contempo di rispondere ad una delle domande che da sempre inquieta il sonno dell’essere umano: io chi sono?

Nel corso di questo vero e proprio road trip, che simbolicamente richiama la crescita e la maturazione, i due protagonisti si insegnano a vicenda, collezionandole, tante piccole verità: ciascuno di noi non è schiavo dei propri limiti, ma è scopo di una vita cercare di migliorarsi, è importante non vergognarsi di ciò che si è, delle proprie radici, della propria cultura, sapendo trarne il meglio e valorizzarlo, che siamo tutti quanti intrinsecamente molto simili e che non è affatto difficile comprendere e vivere il disagio dell’altro.

“Ho lavorato nei nightclub di tutta New York, so che è un mondo complicato”

cit. Tony Lip, Green Book

Il problema dell’identità parla infatti a ciascuno di noi, in qualsiasi epoca e luogo si stia vivendo, e questo film, umilmente, senza avere la pretesa di indottrinare lo spettatore, ci presenta la sua versione: noi siamo il risultato della relazione con le persone con cui riusciamo ad identificarci, che sono più simili a noi, questo non significa per forza che l’altro dovrà avere le nostre identiche idee, la nostra identica cultura, i nostri identici gusti, il nostro identico colore della pelle… ma l’unica prerogativa è che il suo cuore risuoni al nostro stesso ritmo.

“Il mondo è pieno di gente sola che ha paura di fare il primo passo”

cit. Tony Lip, Green Book

La semplicità e la sincerità di Green Book (a cominciare dalla sua sceneggiatura e dalla limpida regia) non può che sussurrare al cuore, senza fare baccano, senza grida, per riscaldarlo e abbracciarlo come fosse una coperta, lasciandoci lieti e felici come se fossimo tornati bambini, come circondati dall’aria familiare e festosa della notte di Natale.

Note positive

  • Recitazione
  • La musica (è pur sempre un film su di un pianista)
  • La cura con cui è stato confezionato un prodotto che parla di argomenti “pesanti” rimanendo leggero e godibile

Note negative

  • Il doppiaggio della versione in italiano, nonostante la voce ufficiale italiana di Viggo Mortensen sia quella di Pino Insegno, le battute in dialetto meridionale sono fastidiose e al limite del decente
  • La delicatezza con cui il film tratta la tematiche di discriminazione sembra non comprendere la componente italoamericana (coprotagonisti e comparse) descritta solo attraverso banali luoghi comuni
  • La tinta di Viggo Mortensen (solo a me i suoi capelli lucidi e troppo corvini deconcentravano continuamente dalla visione?)
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