Il Segreto del Tibet (1935): L’universal e il licantropo

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locandina il segreto del tibet

Il Segreto del Tibet

Titolo originale: Werewolf of London

Anno:  1935

Paese di produzioneUsa

Genere:  Horror

Durata:1 hr 15 min

Produzione: Universal Pictures

DistribuzioneICI

Regia: Stuart Walker

Sceneggiatore: John Colton

Montaggio: Russell F. Schoengarth

Dop: Charles J. Stumar

Musica: Karl Hajos

Attori: Henry Hull, Warner Oland, Valerie Hobson, Lester Matthews, Lawrence Grant, Spring Byington, Clark Williams

Trailer de Il Segreto del Tibet

Trama de Il segreto del Tibet

Il lungometraggio ha inizio in Tibet dove troviamo il protagonista, W. Glendon, alla ricerca di una pianta unica nel suo genere chiamata Mariphasa lupina lumina per verificare e dimostrare poi le sue straordinarie qualità. La mariphasa non è una comune pianta crescendo grazie alla luce lunare e soprattutto, fattore rilevante, è l’unico antidoto contro la metamorfosi del lupo mannaro garantendo all’uomo infetto, tramite la somministrazione della puntura del bocciolo, di non perdere la propria umanità e identità. Proprio durante la ricerca della pianta il botanico viene attaccato di sorpresa da un lupo mannaro (rappresentato su due zampe e con caratteristiche riconducibili a un essere umano) che lo morde, attaccandogli la maledizione. Ritornato a Londra il protagonista incomincerà a fare degli esperimenti per tentare la creazione della luce lunare affinché possa verificare se la pianta cresca solamente grazie alla luce proveniente dalla luna.

Durante una festa nella sua villa, Glendon incontra un misterioso personaggio, Il dottor Yogami, che andrà a spiegare al protagonista la leggenda del lupo mannaro.

G: Questo fiore è l’antidoto per cosa?

D.Y.: I lupi mannari. Licantropia sarebbe l’esatto termine medico dell’afflizione di cui vi ho parlato.

G: E voi vi aspettate che io creda che un uomo possa realmente trasformarsi in un lupo a causa dell’influenza della luna piena?

D.Y. : No, Il licantropo non è né uomo né lupo bensì una creatura satanica con le peggiori caratteristiche di entrambe.

G: Temo signore di aver smesso di credere ai folletti, alle streghe, alle possessioni sataniche e ai lupi mannari dall’età dei sei anni.

D.Y. : Ma questo non cambia il fatto che nella Londra moderna e concreta di oggi, in questo preciso momento, ci sono due casi di Licantropia a me noti.

G: Ditemi, questi sfortunati signori come avrebbero contratto questo… questo fastidio medievale.

D.Y. : Dal morso di un altro lupo mannaro. Questi uomini sarebbero dannati se non fosse per quel fiore, la mariphasa

cit. Il segreto dei Tibet

Nella scena successiva il protagonista riuscirà a portare a termine il suo esperimento: grazie ad una luce artificiale che riproduce un raggio lunare fiorisce il bocciolo della mariphasa, e proprio in quell’ istante l’uomo incomincia una lenta trasformazione in lupo, mostrata attraverso una dissolvenza incrociata della mano dove vediamo un ampio incremento di peluria su questo strato di pelle. Il botanico, dopo aver allontanato il suo assistente Hawkins (J. M. Kerrigan) per non farsi scoprire, si inietta il bocciolo frenando la bestiale metamorfosi sul nascere. Ma quando il dottor Yogami ruberà dal laboratorio i preziosi fiori della pianta, Wilfred non potrà più far nulla per frenare la mutazione.

Recensione de Il segreto del Tibet

L’Universal Studios negli anni 20 decise di portare sul grande schermo due storie classiche della letteratura con protagonisti due mostri, Il Gobbo di Notre Dame (1923) e Il Fantasma dell’opera (1925), in cui il protagonista, in entrambi il lungometraggi, era interpretato dal medesimo attore Lon Chaney, che per creare le maschere aveva utilizzato delle nuovissime ed elaborate tecniche di make-up. Dal successo di queste due pellicole nacque un filone propriamente Horror con le due pellicole Il castello degli spettri (1927) e Luomo che ride (1928), film diretti da Paul Leni

Negli anni trenta si passò alla trasposizione cinematografica di personaggi mostruosi intrinsecamente legati con il mondo più oscuro e diabolico. Nel 1931 Bela Lugosi andò a dare vita al personaggio di Dracula e successivamente Boris Karloff interpretò il mostro di Frankestein creando due personaggi iconici della storia del cinema grazie al truccatore Jack Pierce. Lo studio cinematografico con il tempo realizzò opere filmiche sui racconti di Edgard Allan Poe, un lungometraggio sulla Mummia (1932) e L’uomo invisibile (1933) e infine si giunse alla decisione di portare sul grande schermo il primo mostro ibrido animale della storia del cinema: L’uomo lupo con Werewolf of London, tradotto differentemente in italiano con titolo Il segreto del Tibet, pellicola sonora in bianco e nero del 1935 diretta da Stuart Walker. Rispetto alla creatura di Frankenstein e al conte Dracula, l’uomo lupo è più simile all’uomo: tutti noi infatti possiamo essere bestiali e compiere delitti.  

La prima incursione […] da parte del cinema hollywoodiano nel tema della licantropia risale al 1935, quando il regista Stuart Walker dirige Il segreto del Tibet, un film che sulla scia dell’enorme successo di Dracula, raccontava la storia dell’ennesimo scienziato di turno, assalito questa volta da un lupo mannaro che riesce a trasformarlo in un suo simile condannandolo a una tragica fine. Il mito della metamorfosi animale e della contaminazione mortale tornava sullo schermo, ma questa volta con una figura nuova: il lupo mannaro, che pur restando ancorato a una tradizione di leggenda, mostrava oltre che un intento originale e coraggioso anche un timido tentativo di rendere la visione dell’orrore più concreta, espressa da una figura più simile e vicina all’uomo. 

cit. R. Strada, Il buio oltre lo schermo: gli archetipi del cinema di paura, Zephyiro Edizioni srl, 2005, p. 83

Il Segreto del Tibet è un’ibridazione di vari generi; dal fantascientifico, con la figura del botanico inglese dottor Wilfred Glendon (Henry Hull) e del suo laboratorio privato di piante, al sentimentale con l’approccio e i flirt platonici della relazione extraconiugale che fa riaffiorare teneri ricordi d’infanzia tra Lisa Glendon (Valerie Hobson) e Paul Ames (Lester Matthews), al giallo/poliziesco con l’indagine da parte di Scotland Yard per scoprire chi è il bestiale assassino e di chi sono questi ululati insoliti per una città come Londra, all’orrore attraverso la metamorfosi di Glendon in un lupo mannaro in cui è riscontrabile il carattere stilistico dell’espressionismo cinematografico tedesco, soprattutto nei fotogrammi in cui compare la sua misteriosa ombra sulla scena, fino a elementi ironici e comici come i battibecchi divertenti dal sapore teatrale delle due anziane ubriacone (Mrs. Whack e Mrs. Moncaster interpretate da Ethel Griffies e Zeffie Tilbury) e della maggior parte delle battute dei protagonisti, soprattutto nel doppiaggio italiano che rende il Segreto del Tibet più una parodia che un film serio. Gli sceneggiatori spogliano la storia da ogni elemento realmente folkloristico soprannaturale relegando tutta la vicenda sui binari del film “Il Dottor Jekyll” del 1931 attraverso l’utilizzo della fantamedicina.

Il Make-up e la trasformazione

In questa pellicola cinematografica è interessante il lato tecnico della trasformazione sia dal punto di vista del trucco che da quello registico di Stuart Walker. Il trucco nella creazione del licantropo è affidato a Jack Pierce, già creatore delle maschere dei famosi Frankenstein e Dracula dell’Universal, casa di produzione americana di grande successo specializzata sui mostri, che ha dovuto optare per un trucco più agevole e semplice per l’attore Henry Hull che si fa ridurre le faticose ore di make-up, facendo perdere di qualità l’effetto visivo del mostro. 

l trucco è un elemento importantissimo per la caratterizzazione della creatura orribile e maggiore è l’effetto prodotto, più pertinenti e forti saranno le emozioni dello spettatore guardando le immagini dell’essere che dovrà incutere paura agli spettatori.

Al contrario di Lon Chaney Sr. o di Boris Karloff, egli rifiutò di sottomettersi alle estenuanti (ma necessarie per ottenere un buon risultato sullo schermo) sedute di make-up lunghe parecchie ore, e l’abile Jack Pierce dovette escogitare un make-up che potesse funzionare ugualmente considerando il minor tempo a disposizione per applicarlo (sei ore in totale: quattro per applicarlo, due per toglierlo). Pierce optò per una trasformazione «overlapping dissolves» (dissolvenze incrociate) che faceva uso soprattutto di un’illuminazione adeguata, con luci apposite per evidenziare questo o quel particolare della truccatura.

cit. R. Esposito, Il cinema dei Licantropi, Fanucci Editore, Roma, 1987

Le fattezze del mostro sono più assimilabili a quelle di un pipistrello che a quelle di un lupo, con la pelosità della mano-zampa più simile alla peluria di un gatto. Inoltre, secondo il make-up artist Rick Baker, in molti il licantropo lo hanno denominato “alla Elvis” per via di una certa somiglianza “per l’attaccatura dei capelli e le basette” proprio all’artista statunitense Elvis Presley

Originariamente il trucco utilizzato per la creazione del personaggio doveva essere più animalesco e bestiale secondo il truccatore Pierce, mentre l’attore protagonista, insieme al regista, optarono alla realizzazione di un make-up che lasciasse visibili una maggiore connotazione di elementi facciali umani in grado di trasmettere una forte comunicazione emotiva al pubblico evitando dunque un’espressione del volto interamente nascosta dal trucco. L’idea di Pierce venne successivamente ripresa per il lungometraggio successivo The Wolf man con Lon Chaney Junior. Per umanizzare maggiormente il lupo con l’uomo venne inserito nel licantropo elementi prettamente umani, come la presenza di indumenti anche dopo la metamorfosi: il lupo mannaro indossa la sciarpa e il cappello scappando dal luogo in cui ha appena ucciso un individuo

Note positive

  • La trasformazione sia nella resa registica che del make-up

Note negative

  • Il doppiaggio del film eccessivamente comico
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