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Innocence
Titolo originale: Innocence
Anno: 2022
Nazione: Israele, Islanda, Danimarca, Finlandia
Genere: Documentario
Casa di produzione: Danish Documentary Production
Distribuzione italiana: Bloom Distribuzione
Durata: 100 minuti
Regia: Guy Davidi
Sceneggiatura: Guy Davidi
Fotografia: Avner Shahaf, Guy Davidi
Montaggio: Guy Davidi
Musiche: Snorri Hallgrímsson
Attori Narranti: Guy Davidi, Nikita Stewart, Ido Tako, Arye Bar El, Ben Adam, Michael Ron, Aviv Ben, Eyal Hoss, Neta-Li Kuznetsov
Trailer di “Innocence”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Presentato nel 2022 alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia, il documentario “Innocence” rappresenta un duro atto di accusa contro le politiche educative scolastiche israeliane, che da anni educano ragazzi e ragazze al culto delle armi e della guerra sin dalla più tenera età. Distribuito nei cinema italiani a partire dal 21 marzo 2024 da Bloom Distribuzione, con il patrocinio di Amnesty International Italia, il documentario è stato accolto con particolare interesse a seguito degli eventi attuali che coinvolgono Gaza.
Alla regia della pellicola troviamo Guy Davidi, cineasta israeliano nato a Jaffa nel 1978 e stabilitosi a Copenaghen, in Danimarca, dal 2016. Davidi è stato candidato all’Oscar ed è vincitore di un Emmy Award grazie ai suoi documentari, proiettati in numerosi festival cinematografici internazionali, nelle sale cinematografiche e sui canali televisivi. Tra i suoi cortometraggi più noti vi sono “In Working Progress” (2006), “Women Defying Barriers” (2009) e “High Hopes” (2014), quest’ultimo contenente musiche dei Pink Floyd. L’incontro con la casa di produzione “Danish Documentary”, con sede a Copenaghen e precedentemente guidata da Sigrid Dyekjær (nominata all’Oscar per “The Cave”), ha permesso a Davidi di realizzare il suo documentario “Innocence”.
Trama di “Innocence”
In Israele, tutti i cittadini ebrei sono tenuti a prestare obbligatoriamente il servizio di leva militare una volta compiuti diciotto anni. Questo servizio ha una durata di trentadue mesi per gli uomini e ventiquattro mesi per le donne. Non tutti gli israeliani, però, sono favorevoli ad abbracciare le armi, uccidere e morire per la propria patria. Esistono ragazzi e ragazze che non hanno subito l’indottrinamento educativo israeliano, incentrato su una cultura popolare e scolastica militare, e che vedono nella leva militare il male assoluto del mondo e di Israele. Guy Davidi ci presenta la tragica storia di cinque di questi giovani: Ron Adler, Doron Assaf, Rotem Shapira, Halil Givati Rapp e Adam Flint. Questi ragazzi non avrebbero mai voluto arruolarsi nell’esercito israeliano, ma a causa di uno Stato che pone il servizio militare al centro di tutto, si sono ritrovati coinvolti in un incubo dal quale non sono più riusciti a uscire indenni.
“Innocence” narra le vicende di queste ragazze e di questi ragazzi che hanno resistito all’arruolamento ma poi hanno ceduto, le cui storie non sono mai state raccontate perché sono morti in servizio. Attraverso un racconto basato sui loro inquietanti diari, pieni di poesia e dramma, e attraverso i loro dipinti, il film descrive il loro sconvolgimento interiore, intrecciando immagini militari di prima mano ai momenti chiave della loro infanzia fino al loro arruolamento, oltre ai video amatoriali dei soldati deceduti, le cui storie sono state represse e considerate come una minaccia nazionale.

Recensione di Innocence
Dovreste vedere questo film
La devastazione umana che si sta verificando a Gaza, con le forze israeliane che distruggono un’intera generazione e un intero popolo di palestinesi giorno dopo giorno, mentre il mondo occidentale osserva impassibile senza muovere un dito in difesa del popolo di Gaza, è estremamente agghiacciante e preoccupante. Si ha la sensazione che la guerra nel mondo arabo sia imminente e che basti solo una piccola scintilla per precipitare nell’incubo atomico della terza guerra mondiale. Lo Stato Italiano, come già accaduto con l’Ucraina, ha deciso di schierarsi completamente dalla parte israeliana, manipolando le informazioni a favore di una lettura del conflitto pro-israeliana. Persino illustri giornalisti sembrano dimenticare la storia palestinese, mossi da uno spirito pro-governativo volto a manipolare i fatti e l’opinione pubblica a proprio piacimento. Inviterei dunque lo Stato Italiano, i cittadini italiani e il mondo politico europeo a guardare il film “Innocence”, che offre uno sguardo sulla società israeliana non comunemente esposto, al di là della narrazione che dipinge Hamas come nemici e gli israeliani come promotori della pace e della giustizia.
Guy Davidi, a onor del vero, non ha l’intenzione di realizzare un’opera documentaristica sul conflitto palestinese. Tuttavia, nel suo racconto sul dramma della leva militare e sull’educazione scolastica israeliana che glorifica l’arte della guerra e l’uso delle armi come un’entità sacra, emergono chiari riferimenti a ciò che sta accadendo nel conflitto tra Hamas e Israele nel 2024. Durante la visione del film, siamo testimoni di discussioni tra giovani che accusano il governo di Israele di praticare un apartheid sanguinario e di essere un colonizzatore in Palestina, bombardando e uccidendo palestinesi senza motivo apparente. Le scene di conflitto sono brutali: vediamo la striscia di Gaza bombardata continuamente, giorno dopo giorno, separata da un lungo muro di filo spinato sorvegliato da Israele. Non che io voglia schierarmi dalla parte di Gaza, che certamente avrà commesso i suoi errori e atrocità, ma è importante che i nostri politici mondiali e soprattutto i giornalisti, se ancora esistono, raccontino i fatti storici senza propaganda, per ciò che realmente sono, in una storia più complessa di quanto spesso venga rappresentata, in cui Israele non è il bene supremo. “Innocence” pur non trattando di suo volontà la guerra a Gaza ci dà una lettura nuova sul mondo israeliano, permettendoci di comprendere maggiormente, fin dove si è possibile, ciò che è veramente lo Stato d’Israele.
Guy Davidi
Il contenuto politico del film è ovviamente una grossa difficoltà. Non è facile, in generale, finanziare film non ottimistici. Ma ciò che è difficile, quando si tratta di film politici su Israele, è che ci sono molti decisori filo-israeliani nella nostra industria, che combatteranno contro di te e il tuo film. E se da un lato è sempre più difficile finanziare film come il mio al di fuori di Israele, dall’altro è sempre più difficile finanziarli dall’interno. Se il tuo film non ha un sostegno internazionale, è impossibile che abbia successo. Forse è anche a causa mia. Da quando ho avuto un grande successo internazionale con una nomination all’Oscar per Five Broken Cameras, la situazione è peggiorata. Ha generato un enorme contraccolpo ai danni dell’intera industria cinematografica israeliana, e ne stiamo ancora soffrendo. Il successivo Ministro della Cultura ha persino approvato una legge sulla lealtà che vieta ai registi di trattare certi temi. Se voglio fare il film dei miei sogni, un film di fantascienza su una futuristica Israele-Palestina come Stato non religioso, allora sarà vietato. I registi israeliani hanno perso la libertà di parola. L’industria cinematografica israeliana si è sostanzialmente arresa a questa situazione. Di recente, hanno persino aperto un fondo cinematografico nella Cisgiordania occupata a cui possono rivolgersi solo i coloni e non i residenti palestinesi locali. Le tendenze sono quindi molto chiare.
Educazione militare
Guy Davidi
Il film parla di come la cultura militare danneggi e distrugga la capacità dei bambini e dei giovani di crearsi la propria identità spontaneamente. È l’esplorazione di una cultura e di un sistema che abbattono il libero arbitrio e mostrano che se non si può o non si vuole conformarsi alle sue richieste, e se non si è disposti a sopportare le conseguenze della propria obiezione, allora la morte può diventare l’unica alternativa.
Un documentario non è necessariamente uno sguardo oggettivo sul mondo che cerca di rappresentare, ma per sua natura porta avanti una specifica tesi. In questo caso, il documentario “Innocence” esplora come l’innocenza dei bambini venga distrutta e annientata dal sistema educativo israeliano, che promuove la propaganda militare fin dalla più giovane età. In un contesto in cui vedere carri armati e armi, o avere un familiare soldato, è comune e normalizzato, e dove il rifiuto del servizio militare può portare al carcere, la cultura militare è posta al centro della società. In questo contesto, diventare un cittadino/a onorevole d’Israele è spesso legato al servizio militare obbligatorio.
Interessanti sono le scene che si svolgono a scuola, dove ci sono lezioni incentrate sul valore e sull’importanza di diventare soldati, eroi della patria. La scuola rappresenta l’arma principale con cui lo Stato inculca nei bambini, fin dalla loro infanzia, il concetto della guerra e l’importanza di difendere la patria dal mondo arabo, visto come malvagio e crudele. Attraverso scene di vita reale, assistiamo a un insegnante di scuola primaria che parla ai suoi alunni di guerra e di militari, invitandoli a fare disegni sulla guerra. Allo stesso tempo, vediamo il momento in cui una bambina di nove anni scopre di dover andare in guerra obbligatoriamente quando compirà diciotto anni, nonostante sia contraria.
Guy Davidi
Abbiamo poi catturato con molta attenzione i momenti chiave della vita in Israele, dalla più tenera età fino al giorno dell’arruolamento; momenti che potrebbero aver spinto i soldati che sono morti a non ribellarsi all’esercito e che mettono in luce le pressioni e il modo in cui la società israeliana spinge i ragazzi ad arruolarsi contro i propri principi. Per esempio, si vede un bambino di quattro anni apprendere che ogni persona in Israele deve prestare servizio militare: è un momento di scoperta toccante. Poi si vede una bambina di 10 anni a cui viene detto che non ha possibilità di scegliere se prestare servizio o meno. Si tratta di passaggi chiave, raccontati attraverso età molto diverse, che mostrano come il futuro di questi ragazzi sia predeterminato dalla militarizzazione. Questi sono figli dell’Occidente in molti modi diversi. Israele non è una piena democrazia, si sta trasformando da paese colonizzatore e occupante in uno stato di apartheid. Tuttavia, è una democrazia per coloro che vivono all’interno del territorio israeliano. Si può dire che sia un Paese che ha molti valori con i quali i bambini occidentali possono identificarsi, non è la Corea del Nord…
Il documentario è innanzitutto una dura e feroce critica contro il sistema educativo, raccontato attraverso immagini attuali della società educativa israeliana, a tratti inquietanti, come nella scena in cui vediamo una fiera militare con bambini che abbracciano dei mitra. Lo spettatore viene catapultato in un mondo scolastico dove avviene un minuzioso processo d’inculcamento militare nelle menti dei bambini fin dalla scuola dell’infanzia. La scuola viene mostrata come uno dei mali presenti nella società, un luogo che pone subito l’accento sul militarismo piuttosto che sulla pace, esaltando la figura del soldato come quella di un eroe pronto a morire per proteggere la sua patria. Tuttavia, il soldato diviene un’entità usata per il piacimento dello Stato, che può impiegarlo sia per una difesa legittima sia per commettere atrocità.

Suicidio e obbligo di leva militare
Guy Davidi
È un film che racconta cosa significa diventare un soldato in Israele e su come la società israeliana eserciti pressioni su di te sin dalla più tenera età e fino al momento in cui ti arruoli (in Israele tutti i cittadini ebrei sono tenuti a prestare obbligatoriamente il servizio di leva che dura 32 mesi per gli uomini e 24 mesi per le donne, n.d.r.) Ho usato i diari e le lettere di soldati morti durante il loro servizio militare. Sono ragazze e ragazzi che si sono opposti o che hanno sentito di non voler far parte dell’esercito perché era contrario ai loro valori e ai loro principi. Eppure hanno tutti ceduto e si sono tolti la vita durante questo periodo, senza farlo da eroi in combattimento o in guerra. Volevo anche che fosse un film epico, un’opera che mostrasse davvero cosa significhi crescere in Israele; un film che coprisse un intero periodo di vita, dalla nascita, passando all’infanzia, fino ad arrivare al servizio militare. Il film racconta le storie di cinque soldati che sono morti. Non volevo seguire un solo personaggio specifico, volevo sceglierne diversi e ciò ha richiesto molti anni di costruzione. Invece di creare differenze in ogni racconto, cerco di rappresentare la storia principale che tutti condividono: la pressione di crescere e di partire per il servizio di leva. Per raccontare le storie di questi soldati scomparsi utilizzo sia meravigliosi filmati d’archivio delle loro vite, della loro infanzia e della loro adolescenza, sia scene di addestramento tratte da video girati in prima persona da soldati all’interno delle forze armate; immagini che illustrano cosa significhi addestrarsi per diventare un soldato in Israele. Si tratta di video quasi apocalittici, perché per questi soldati che sono morti suicidi, il servizio militare e il periodo di addestramento sono stati un incubo reale. Tutto questo è accompagnato da scene che abbiamo girato con bambini e adolescenti. Loro non hanno nulla a che fare con i soldati che sono morti.
Guy Davidi conosce bene l’argomento di cui va a trattare, avendolo vissuto sulla propria pelle. Egli non avrebbe mai voluto arruolarsi nell’esercito, né affrontare la leva militare obbligatoria, ma a causa delle leggi dello Stato è stato costretto a intraprendere il suo periodo militare, da cui è riuscito a fuggire dopo soli tre mesi, grazie a un congedo per motivi di salute mentale. Dunque, all’interno di “Innocence”, il cineasta ci mostra il punto di vista di un gruppo di ragazzi e bambini che non intendono abbracciare l’arte della guerra e della leva militare, ma che possiedono uno spirito maggiormente incline alla bellezza e all’innocenza. Attraverso la sua pellicola, Guy Davidi racconta il dramma di cinque giovani contrari alla guerra, inghiottiti e annientati dal sistema militare che li conduce alla morte, alcuni per suicidio, altri in missione militare in Palestina. Il regista ci fa conoscere questi cinque personaggi defunti a causa dello Stato d’Israele attraverso un attento racconto che prende forma mostrando filmati amatoriali incentrati su di loro durante l’infanzia e l’adolescenza, e attraverso la lettura dei loro scritti durante il servizio militare, rinvenuti nei loro diari. Queste frasi risultano potenti e forti, facendoci comprendere il loro dolore interiore e la loro rabbia verso se stessi e verso lo Stato israeliano che li sta distruggendo giorno dopo giorno, privandoli della loro vera identità e personalità, al fine di renderli macchine di guerra senza individualità.
Halil Givati Rapp – 20 anni
“Questo mondo è pieno di malvagità, sfruttamento, ingiustizia e dolore. Una volta entrato nell’esercito, sono diventato parte di ciò che crea tutto questo”
Doron Assaf, 18 anni
“Tutti dicono che sto bene, ma la maggior parte del tempo non riesco, non riesco a respirare”
Criticare la pellicola per la sua effettiva fattura ha poco senso, perché l’importanza dell’opera filmica di Guy Davidi risiede nel fatto di essere un film estremamente politico e di denuncia civile su ciò che sta avvenendo in Israele. Il documentario riesce perfettamente nel suo intento politico-tematico di denuncia, mostrandoci da un lato uno spaccato sociale sconosciuto a chi non vive in quella nazione e allo stesso tempo effettuando una dura critica allo stato d’Israele militarizzato. Quest’ultimo obbliga i giovani israeliani a subire tre anni (o due anni nel caso delle femmine) di leva militare, dove i giovani si ritrovano realmente in guerra e non solo in esercitazioni militari.
La denuncia brutale di questo stato che costringe i suoi abitanti a diventare soldati viene sviscerata attraverso la narrazione di cinque storie di giovani adolescenti pieni di sogni, amore e innocenza, in un mondo che li trasforma in macchine da uccidere agli ordini del loro Stato Padrone, dove l’uccisione degli arabi diviene una delle priorità assolute. La storia, attraverso diari e filmati d’archivio, ci racconta di questi giovani che hanno perso la propria identità e poi la vita a causa dell’assurda leva militare obbligatoria. Indubbiamente accattivanti e agghiaccianti sono i video amatoriali familiari riguardanti Doron Assaf e Adam Flint, due giovani contrari all’uso della violenza che diventano vittime di uno Stato che, anche a livello psicologico, fa di tutto per obbligarli ad abbracciare l’arte militare. Queste due identità emergono con potenza all’interno della pellicola: vediamo tutto di loro, dalla loro infanzia, e percepiamo tramite i video d’infanzia la loro innocenza, poi attraverso i diari e le scene militari ascoltiamo i loro pensieri sempre più oscuri e destabilizzanti, pensieri che li condurranno poi al suicidio, non sopportando più quella pressione e quel mondo militare in cui si ritrovano. Accattivanti sono anche alcune frasi riguardanti i soldati anonimi, ma ciò che lascia un po’ l’amaro in bocca è che si sarebbe potuto descrivere maggiormente anche gli altri personaggi presenti nel film, come Yogev Yechieli, poco trattato all’interno della pellicola, mentre di Halil Givati Rapp vediamo solo l’adolescenza e la rabbia contro il potere israeliano.
Guy Davidi
Volevo fare una storia che parlasse di come ci si rifiuti di prestare servizio ma si fallisca, per mostrare quanto la pressione sia insostenibile. C’è un’eccessiva idealizzazione dell’obiezione di coscienza, quando spesso sono solo persone molto privilegiate a intraprendere questa strada. Sono stato molto ispirato dalle poesie e dai diari che ho letto di soldati che sono morti nell’esercito. Ho cercato per anni, trovando in alcuni casi dei soldati che hanno scritto testi davvero insopportabili da leggere. Testi duri, che parlano di perdita di identità, di essere costretto a diventare qualcosa che non si è, costretti a stare in un luogo che è contrario ai propri principi, che parlano di mentire a se stessi e di perdere la propria innocenza. Mi sono imbattuto in testi che, in alcuni casi, persino le famiglie dei defunti non sono riuscite a leggere, o si sono vergognate di farlo. Tutti racconti che sono ben lontani dall’essere eroiche storie di soldati. La sfida principale era quella di dare vita ai testi delle persone morte senza far parlare nessuno al posto loro, senza mettere in scena nulla, per creare un film d’impatto e sfaccettato, che restituisse il contesto in cui erano stati scritti. Volevo che le parole contenessero il minor numero possibile di informazioni e che il contesto emergesse dalle singole scene. Per questo ho deciso di dare corpo alle loro parole filmando altri personaggi che rispecchiassero la loro vita. Ho scelto bambini e adolescenti che mi sembravano condividere la stessa sensibilità e bellezza, e ho cercato di catturare momenti che mostrassero come la società li stia indirizzando verso un percorso specifico. Dovevo trovare un modo per muovermi tra questi mondi senza creare confusione o sottintendere qualcosa di sbagliato. Volevo dare spazio ai personaggi che stavo filmando e non trattarli come fossero degli strumenti per la narrazione. Allo stesso tempo, non volevo che il centro del film si perdesse nella narrazione e nei soldati che sono morti. Per questo è stato necessario un lavoro di montaggio molto accurato e il supporto di molte persone competenti che mi aiutassero a trovare un equilibrio. Un’altra sfida è stata quella di cercare un modo per passare dalla riflessione dei soldati ormai scomparsi, all’infanzia passata, per arrivare al loro presente nel servizio militare. Ho deciso che il mondo dell’esercito, da cui stanno scrivendo, sarebbe stato rappresentato come un incubo surreale in grado di trasformare le sensazioni che provavano in quel luogo. Sapevo che l’esercito non mi avrebbe permesso di filmare un vero addestramento con la mia telecamera, così ho deciso di utilizzare documenti di archivio militari filmati da soldati. La scrittura è ciò che ha tenuto in vita i soldati che sarebbero morti in seguito. Per molti versi, la vera morte è il momento in cui perdono la fiducia nella scrittura, quando le parole sembrano svuotarsi. Per me è stato quindi importante concentrarmi sul potere delle loro parole e costruire a partire da esse. Una metafora che ricorre nella costruzione di questi personaggi è la perdita dei sensi; la cecità e la sordità appaiono come simbolo di una negazione, la negazione delle conseguenze morali della violenza sull’individuo. Questo ha definito una delle principali idee poetiche che ho avuto quando ho iniziato a girare, ispirata da un dipinto di Rotem Shapira, che si è suicidato durante il servizio di leva. Era un omaggio alle tre scimmie sapienti, “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”.
In conclusione
Il documentario “Innocence” di Guy Davidi offre uno sguardo potente e commovente sulla realtà del servizio militare obbligatorio in Israele e sulle pressioni che la società esercita sui giovani per aderire a un sistema militare fortemente radicato. Attraverso le storie di cinque giovani che hanno perso la vita a causa di questa pressione, il film evidenzia le conseguenze devastanti dell’educazione militare e della cultura del conflitto armato. È un richiamo alla riflessione sulle implicazioni morali e psicologiche di un sistema che sacrifica l’innocenza dei suoi giovani cittadini in nome della sicurezza nazionale. La pellicola ci invita a interrogarci sulle conseguenze di una società militarizzata e sulla necessità di promuovere una cultura di pace e dialogo come alternative alla violenza e alla guerra.
Note positive
- Montaggio
- Fotografia
- Regia
- Tematica trattata, effettuando una critica sociale non semplice
Note negative
- A tratti la narrazione è un pizzico dispersiva e confusa