Là dove famiglia (NON) è: L’amore oltre i legami di sangue nel cinema di Ozpetek e Kore-eda

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Là dove famiglia (NON) è: L’amore oltre i legami di sangue nel cinema di Ozpetek e Kore-eda
Là dove famiglia (NON) è: L’amore oltre i legami di sangue nel cinema di Ozpetek e Kore-eda

Una delle domande che a oggi in un mondo in continuo cambiamento sarebbe opportuno chiedersi è proprio: che cosa è Famiglia? Cosa definisce un amore capace di superare qualsiasi ostacolo o difficoltà della vita? Negli anni 90’ Friends e Sex and the city hanno provato per la prima volta nel mondo della televisione a dare delle risposte nuove, al passo coi tempi, riconoscendo nell’amicizia una nuova accezione di famiglia, diversa, ma altrettanto di valore rispetto a quella tradizionalmente riconosciuta, dando così pieno significato alla frase: “gli amici sono la famiglia che tu ti scegli”.

Nel mondo del cinema sono altrettante le storie di successo che hanno dato vita a legami affettivi così forti da ricordarci che il termine famiglia sia solo formalmente connesso a una discendenza o alla presenza di un ramo sull’albero genealogico. Italo-turco Ferzan Ozpetek, giapponese Hirokazu Kore-eda, sulla carta questi due registi non potrebbero essere più diversi, eppure c’è una linea sottilissima che lega i loro lontanissimi mondi: l’idea che l’idea di famiglia possa essere là dove meno ce lo si aspetta e sicuramente oltre i legami di sangue.

Ferzan Ozpetek: la sinfonia di un’amicizia che diventa linfa vitale

Dire che Ferzan Ozpetek sia uno dei migliori interpreti dell’amore libero, sconfinato, senza freni e senza regole che possano contrastare la sua purezza, sarebbe solo un eufemismo: i suoi film sono infatti un inno ai legami, alla loro potenza, a incontri che possono rivelarsi per la vita, nonostante non ci sia alcun nesso familiare: è l’affetto il vero protagonista dei rapporti che Ozpetek disegna film dopo film, a partire da uno dei suoi primi e più grandi capolavori: “Le fate ignoranti”(1997). Antonia, donna introversa e perbenista, rimasta vedova dopo pochi anni di matrimonio, riscopre un vero e proprio mondo, a partire dai segreti lasciatele dal marito stesso. Avviene così che in un gruppo di sconosciuti, a lei e tra loro così diversi, così alieni nel modo di vivere la quotidianità, ma anche così tanto accumunati da un senso di libertà di espressione del proprio io, ritrova anche parte di sé, una parte ancora a lei sconosciuta, così come riscopre una dimensione di complicità e affetto, di comprensione vera: tra un pranzo improvvisato e un momento di festa, la rigida Antonia ritrova una famiglia.

In foto Antonia(Margherita Buy) con Michele(Stefano Accorsi) e gli altri protagonisti delle "Fate ignoranti" in una delle scene più emblematiche del film
In foto Antonia(Margherita Buy) con Michele(Stefano Accorsi) e gli altri protagonisti delle “Fate ignoranti” in una delle scene più emblematiche del film

Apparentemente diverso, ma anche molto simile è il mondo che Ozpetek ritrae in “Saturno contro” (2007): gli amici di vita, dinamiche complesse, segreti, ma al tempo stesso l’unione e la condivisione del dolore. Per Davide, Lorenzo, Angelica, Antonio, Roberta e Neval, sembra che non esista un mondo che non contempli il gruppo, le cene in cui si parla sempre delle stesse cose, il conforto delle solite vecchie battute. Così l’amicizia, quel legame rassicurante che si rafforza giorno dopo giorno, diventa ancora più potente di quello familiare, quasi sostitutivo, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, soprattutto nel momento in cui, Lorenzo, il più giovane del gruppo, va incontro ad uno sventurato destino.

In foto il gruppo al completo: Angelica(Margherita Buy), Davide(Pierfrancesco Favino), Neval(Serra Yilmaz), Lorenzo(Luca Argentero), Roberta(Ambra Angiolini), Sergio(Ennio Fantastichini), Roberto(Filippo Timi) e Paolo(Michelangelo Tommaso) in una delle iconiche cene di "Saturno Contro"
In foto il gruppo al completo: Angelica(Margherita Buy), Davide(Pierfrancesco Favino), Neval(Serra Yilmaz), Lorenzo(Luca Argentero), Roberta(Ambra Angiolini), Sergio(Ennio Fantastichini), Roberto(Filippo Timi) e Paolo(Michelangelo Tommaso) in una delle iconiche cene di “Saturno Contro”

Forse è tuttavia con “La dea fortuna” (2019) che Ozpetek dimostra come i legami possano essere costruiti a partire dall’affetto prima ancora che dai geni. Alessandro e Arturo sono una coppia stanca e in crisi, Annamaria, amica storica del primo, torna a Roma con i propri figli, Sandro e Martina, decisa ad affidarli ai due, in attesa di un giudizio medico. Inspiegabilmente tra i quattro si creerà una chimica familiare forte, un rapporto naturalmente filiale e naturalmente destinato a crescere, tra i momenti di felicità e i conflitti tipici di un contesto familiare, un rapporto attraverso il quale il regista turco dimostra come in una famiglia non debbano coesistere per forza una mamma e un papà, ma solo persone in grado di amare.

Hirokazu Kore’eda: l’arte di riscoprirsi famiglia tra sconosciuti

Altro continente, altro stile, altro cinema, stesse sensazioni: il cineasta giapponese Hirokazu Kore’eda, ci descrive mondi nuovi, in cui non è più l’amicizia il fulcro, ma un amore forte e innato, determinato dai casi della vita, da quelle circostanze che noi non controlliamo, ma anche da quelle che invece scegliamo di vivere.

In “Father and son” (2013), il regista giapponese descrive un rapporto genitore-figlio particolare, impalpabile. Tutto sembra cambiare per il rigido Ryota nel momento in cui scopre che suo figlio Keita, bambino cresciuto a sua immagine e somiglianza, non è in realtà il suo vero figlio, a causa di uno scambio di culle. Per lui l’assenza del legame di sangue diventa un vero e proprio problema e si fa viva la volontà di trovare quel bambino a cui geneticamente sente di appartenere, ripudiando quel figlio che lui stesso aveva cresciuto. In nome del sangue, Ryota irrompe nella sua quiete familiare e in quella di un’altra famiglia, gettando scompiglio e dolore in chiunque ne sia coinvolto, in primis in sua moglie e nei due bambini oggetti dello scambio. Saranno però l’amore provato ed il legame creato negli anni a svelare a Ryota, come un figlio possa essere tale, al di là dei geni, al di là delle somiglianze fisiche e che quel piccolo ometto, a sua immagine e somiglianza, non nato dai suoi geni, fosse in realtà anche l’unico individuo in grado di mancargli e di annullare il suo stesso orgoglio.

In foto Ryota(Masaharu Fukuyama) e Keita(Keita Ninomiya) nella scena finale di Father and son
In foto Ryota(Masaharu Fukuyama) e Keita(Keita Ninomiya) nella scena finale di Father and son

Ancora famiglia, ancora sconosciuti in “Un affare di famiglia” (2018), forse uno dei manifesti del cinema di Kore’eda, un film che intreccia la poesia della spontaneità, specialmente dagli occhi dei bambini protagonisti, con quella della semplicità, data dall’umiltà delle condizioni dei suoi protagonisti. Nella Tokyo dei quartieri periferici, popolati da piccole e anguste case, vive un gruppo di persone, un gruppo di dimenticati alla ricerca di espedienti per vivere: ognuno di loro ha una vita passata che lo ha dimenticato, annientato e al tempo stesso ognuno di loro si è sentito accolto in quella umile casa. Piano piano i suoi membri sono diventati indissolubilmente legati, come se stretti da invisibili legami di parentela e questo legame si rafforza ancor più quando una notte, la “famiglia” accoglie la piccola Yuri, figlia dei vicini di casa, trovata a vagare nella notte per la città. Lentamente la bambina, giorno dopo giorno, assimila il clima familiare, ritrovando delle figure genitoriali, un fratello, una nonna e il quadro che ne deriva è quello di una vera e propria famiglia allargata, alla quale non si può impedire di essere tale, perché indissolubilmente unita, anche nelle difficoltà e nelle sventure che la vita di ognuno dei suoi componenti vive.

In foto Osamu(Lily Franky) e Nobuyo (Sakura Ando) con la piccola Yuri( Miyu Sasaki) in un'iconica scena del film
In foto Osamu(Lily Franky) e Nobuyo (Sakura Ando) con la piccola Yuri( Miyu Sasaki) in un’iconica scena del film

Ultimo ma non ultimo, non può non essere citato uno degli ultimi film del cineasta giapponese: “Le buone stelle- Broker”(2022). Girato non più in Giappone, ma in Corea del sud, “Le buone stelle” mette in luce una realtà nuova, una realtà grigia, dove il bene e il male si fondono: Sang-hyeon e Dong-Soo sono due trafficanti di neonati, il loro lavoro, rigorosamente illegale è quello di vendere orfani al migliore offerente. Per loro non esiste il legame con i bambini che si occupano di vendere, anche loro dopo tutto, sono dei dimenticati dalla società. Tutto cambia tuttavia con l’arrivo del piccolo Woosung e in seguito con quello della sua giovane madre, So-Young, indecisa sulla compravendita del suo stesso bambino. La ricerca dei genitori perfetti per il neonato porterà i personaggi in un vero viaggio on the road lungo il Paese, un viaggio che li unirà, riscoprendo il lato umano di ognuno di loro, ma soprattutto l’affetto. Se da un lato So-Young riscoprirà l’amore per il suo stesso figlio, dall’altro i due trafficanti riscopriranno una dimensione d’affetto da tanto tempo perduta, iniziandosi a sentire parte di un qualcosa che non gli è mai stato dato, in quanto abbandonati dalle loro stesse famiglie.

In conclusione, questi film sono la dimostrazione di come il cinema sappia legare e slegare mettendo in luce aspetti della realtà, di cui il più delle volte non ci accorgiamo o che non vogliamo ottusamente accettare, ma ci sono e sono più vive che mai. Il cinema vede l’amore dove noi non siamo in grado di riconoscerlo, il cinema ricrea famiglia dove noi troviamo un gruppo di sconosciuti o un gruppo di amici o situazioni che oggettivamente non lo sarebbero e questo è un qualcosa di meraviglioso, che grazie agli occhi di Ferzan Ozpetek e Hirokazu Kore’eda diventa poesia.

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