La Libertad del Diablo (2017). Anime desaparecidas

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Locandina de La Libertad del Diablo

La Libertad del Diablo

Titolo originale: La Libertad del Diablo

Anno: 2017

Nazione: Messico

Genere: Documentario

Casa di produzione: Artegios, Animal de Luz Films

Distribuzione mondiale: Films Boutique

Durata: 74 min

Regia: Everardo González

Sceneggiatura: Diego Enrique Osorno, Everardo González

Fotografia: María Secco

Montaggio: Paloma López

Musiche: Quincas Moreira

Trailer La Libertad del Diablo

Informazioni sul documentario e dove vederlo in streaming

Nel 2020 secondo “Sector Cine” Il documentario è stato considerato dalla critica tra le cento pellicole migliori del Messico piazzandosi al 35esimo posto. Fu presentato in anteprima al Festival del Cinema di Berlino dove ha ricevuto anche due nomination vincendone una, quella nella categoria “Premio Amnesty Internacional” in cui si premiano proprio le pellicole che affrontano la tematica dei diritti umani.

Trama de La Libertad del Diablo

Il regista Everardo González ha deciso di raccontare il mondo del narcotraffico e i suoi lati più atroci, tra cui quello dei desaparecidos. Una tematica delicata e un fenomeno diffuso da decenni nei paesi non solo Sudamericani ma di tutta l’America Latina, divenendo così una vera e propria etichetta per il continente che ancora oggi a fatica riesce a strapparsi via. Il fenomeno dei desaparecidos per mano dei cartelli Messicani, in questo caso, è spesso collegato a rapporti politici locali ed è la denuncia che il regista Messicano come da lui dichiarato ha voluto fare scegliendo di raccontare la verità senza filtri attraverso persone che hanno vissuto realmente sulla loro pelle le conseguenze di tale fenomeno sociale.

Recensione de La Libertad del Diablo

Un impegno quello del regista Messicano che risulta un lavoro sociologico perfetto poiché oltre a dar voce alle vittime di tale fenomeno, coloro che una volta erano carnefici compresi, è frutto anche dell’ immersione nel contesto del narcotraffico in prima persona. Il documentario è fatto benissimo proprio per la sua veridicità che purtroppo in certi ambienti è rappresentata dalla crudezza, non solo per la violenza fisica subita ma soprattutto anche per quella psicologica. Infatti la chiave di lettura più adatta sembra essere quella della “distruzione identitaria” tanto delle famiglie dei desaparecidos quanto di coloro che una volta erano manovalanza dei cartelli messicani e che venivano incaricati di determinati “compiti”, così come militari arruolati che hanno dovuto scegliere tra la vita collaborando col crimine e la corruzione o la morte.

Scena di La Libertad del Diablo
Scena di La Libertad del Diablo

Il dolore delle famiglie che ad oggi ancora non sanno dove siano i loro cari e che spesso hanno anche assistito alla violenza fisica con la quale questi sono stati portati via, la disperazione di quei genitori, fratelli e sorelle che si sono addentrati nelle bande per poter parlare con qualcuno di “grosso” pur di avere informazioni dimostrano quanto siano stati privati non solo di un caro ma di un pezzo del loro sé. Situazione analoga per quei ragazzi che nel documentario vengono intervistati e che una volta erano carnefici, in quel caso la loro identità viene portata via dal momento in cui vengono socializzati a un certo tipo di quotidianità attraverso un contatto diretto e continuo con tenori di vita da sogno in contesti poveri, in primis proprio con il denaro. Uno degli ex sicari descrive l’ebbrezza della violenza con una normalità disarmante con un paragone alquanto crudo, ovvero quello di accumulare morti così come i piloti di aerei accumulano ore di volo per il loro lavoro. Lavaggio del cervello che priva di qualsiasi libertà di pensiero, una volta poi entrati nel giro avviene una privazione totale per l’impossibilità di uscirne se non attraverso la morte, che avvenga in un conflitto o per mano del capo se si prova a cambiare vita poco importa. Tutti gli intervistati indossano un passamontagna, sicuramente per questioni di sicurezza ma ricollegandoci alla chiave di lettura utilizzata per questo documentario è anche sintomo di quella privazione identitaria.

Il fenomeno interessa come accennato precedentemente anche il corpo militare, molti corrotti perché costretti ma altri anche per il tipo di socializzazione ricevuto che li ha portati a guardare certi fenomeni come normali, quasi come intrinsechi nella cultura che fanno entrare in modalità sopravvivenza. Emblematica una frase detta da uno di questi ex ufficiali “qui sappiamo che la vita ha un prezzo” facendo un paragone velato con le altre realtà mondiali. Anche in questi casi ci sono due categorie di militari coinvolti, l’altra è quella dei Federali che decidono di non farsi corrompere in maniera tale da vivere “tranquilli” ma che si organizzano in squadre speciali per arginare il fenomeno. Una di queste figure nel documentario sottolinea che è meglio farsi giustizia da soli invece che aspettare la magistratura a causa del sistema corrotto nel Pese.

Fotogramma del docufilm La Libertad del Diablo
Fotogramma del docufilm La Libertad del Diablo

Un documentario che lascia tanta amarezza e tante domande senza risposta, perché forse a un fenomeno così complesso non c’è una risposta, ma tante, tutte cause interconnesse tra loro che quella scatenante è difficile da identificare.

In conclusione

“La Libertad del Diablo” è un potente lavoro sociologico che dà voce alle vittime e ai responsabili del narcotraffico in Messico. Il documentario, crudo e autentico, mostra la devastazione dell’identità delle famiglie delle vittime e dei giovani coinvolti nei cartelli, oltre a evidenziare la privazione della libertà di pensiero e la costrizione nel mondo criminale. Coinvolgendo anche il corpo militare, il film esplora la complessità di una realtà senza risposte semplici, lasciando spazio a un senso di amarezza e molte domande irrisolte.

Note positive

  • Fotografia
  • Tematica affrontata nella maniera più rispettosa possibile

Note negative

  • /
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