Beautiful Beings (2022): la bellezza oltre la violenza

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Trailer di Beautiful Beings

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Beautiful Beings, scritto e diretto dal regista islandese Guðmundur Arnar Guðmundsson, è una profonda storia di formazione che indaga i rapporti di prevaricazione e identificazione sociali, affondando la lente cinematografica nell’umana fragilità dello stare al mondo. Dopo aver girato la sua opera prima Hearthstone (2016), Gudmundsson torna con audacia a raccontare e mostrare sul grande schermo l’intricato universo adolescenziale, colto nella delicata fase di formazione identitaria. Il regista ritrae un quadro di volenza collettiva mai edulcorata, che pure lascia spazio all’esistenza (e persistenza) dell’amicizia, intimo presupposto di rinascita. Presentato in anteprima mondiale alla 72° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, nella sezione Panorama, il film, il 30 settembre 2022, è stato annunciato come candidato islandese all’Oscar per il miglior lungometraggio internazionale alla 95° edizione degli Academy Awards. Il 16 dicembre 2023 viene presentato in concorso alla 5° edizione del Long Take Interactive Film Festival, a Milano, aggiudicandosi la vittoria come Miglior Film.

Trama di Beautiful Beings

Islanda, periferia urbana di Reykjavík. Un gruppo di giovani adolescenti trascorre le giornate all’insegna degli eccessi più sfrenati e pericolosi. Con l’attitudine incerta di chi prova, come può, a farsi strada nel mondo, i protagonisti si districano, quotidianamente, tra risse e ambienti familiari malsani, cercando di trovare sé stessi, in una realtà arida, che fatica a tendere la mano.

Recensione di Beautiful Beings

Beautiful Beings è un ritratto audiovisivo feroce. Un racconto di anime sospese, in bilico tra il desiderio di indipendenza personale e la possibilità atroce della deriva. Sullo sfondo di un panorama urbano anonimo e spersonalizzante, lo spettatore si imbatte nella storia di quattro fragili esseri umani, alle prese con la vivibilità di una realtà disseminata da storture, in cui sopraffazione, prevaricazione e violenza dominano costantemente lo scorrere della vita quotidiana, tra i corridoi scolastici, nei quartieri periferici e nello spazio domestico.

Ad essere vittima di un tripudio di maltrattamenti bestiali è, inizialmente, Balli. È lui il primo personaggio sulla cui vicenda umana l’occhio del regista si focalizza. Perché è con lui che si dà il via a una vera e propria escalation di brutalità che, progressivamente, si diffonde come un contagio. Balli è un ragazzo mingherlino, pallido, oggetto di soprusi e angherie a scuola e per strada, costretto a vivere in un ambiente familiare votato al degrado più totale. Influenzato dal peso di una madre assente, dal possibile ritorno di un patrigno burbero relegato in carcere e dalla presenza di una sorella deturpata da abusi, il giovane incarna il perfetto prototipo dell’emarginato sociale. Con la sua andatura lenta e lo sguardo smarrito, perso nel vuoto, rappresenta la preda perfetta per giovani accecati dalla volontà di dominio, e che necessitano di far leva sulla fragilità altrui per soddisfare la propria incontrastata sete di superiorità.

A dare a Balli l’opportunità di fuoriuscire da una dimensione di isolamento e degrado è Addi, che, insieme ai suoi inseparabili compagni Konni e Siggy, lo accoglie Balli nella loro scapestrata comitiva. E’, questo, un gesto fortemente simbolico, di chiara rilevanza sociale, dietro il quale si legge sia il tentativo del giovane di risollevare la disastrata condizione esistenziale di un suo coetaneo, sia la volontà di iniziarlo agli eccessi sfrenati ma appaganti tipici dell’età adolescenziale. In questo senso, Addi, consapevole del suo ruolo di leader pacificatore, permette all’indifeso Balli di inserirsi, progressivamente, in una rete amicale e costruirsi, così, una propria identità.

Nonostante Konni e Siggy siano inizialmente restii ad accogliere nel gruppo quello che, per loro, sembra essere un disadattato senza speranza, alla fine approvano la decisione di Addi, senza, però, rinunciare all’asprezza cruenta delle proprie attitudini relazionali. Anche loro, come gli aggressori di Balli, sono, in fin dei conti, dei piccoli bulletti di quartiere. Ragazzi cresciuti ai bordi delle strade, incuranti delle regole, abituati a risolvere qualunque faccenda a suon di intimidazioni, spintoni e feroci scazzottate. Dunque, almeno in una prima fase, non possono che servirsi di parte di questo codice comportamentale – l’unico riconosciuto – per esprimersi ed entrare in contatti con il nuovo arrivato. Consapevoli della fragilità sia fisica che emotiva di Balli, Konni e Siggy, quando ne hanno occasione, ne approfittano per punzecchiarlo, prendersi gioco di lui, nel tentativo di esercitare superiorità, rinvigorire il proprio carattere e forgiare la corazza da duri. In scena, allora, si assiste al formarsi di un rapporto d’amicizia asimmetrico, in cui sembra persistere una marcata gerarchia di ruoli. Ergo: ci sono i forti e i deboli, gli oppressi e gli oppressori. Esiste una netta categorizzazione sociale dalla quale, pare, non esserci scampo.

Siggy, Konni, Balli e Addi in Beautiful Beings
Siggy, Konni, Balli e Addi in Beautiful Beings

Eppure, la faccenda è molto più complessa di così. I nostri protagonisti sono molto di più delle loro azioni. Dietro la maschera da machi, si nasconde un’anima lacerata. Ognuno, a modo suo, si porta dentro una ferita personale difficile da rimarginare. Passati di soprusi e abusi. E a parlarcene, in voice over, è Addi, il quale, con voce profonda, passa in rassegna le verità nascoste dei suoi amici, permettendo allo spettatore di entrare in forte empatia con i loro vissuti. Così, il suo punto di vista sulla storia (sulle lore vicende biografiche) è illuminante, perché fa sì che personaggi in apparenza bestiali, rispondenti a puri istinti animaleschi, tramutino in creature umane, fatte di carne, tremori e sentimenti, in quelle beautiful beings a cui il titolo, significativamente, fa riferimento.

C’è tutto un retroterra d’abisso taciuto e represso che gravita, senza far rumore, sulle vite dei nostri protagonisti. Un macigno di ingiustificato male assorbito nel tempo, che pesa sulle loro movenze, sulla loro fisicità, sul loro Essere ed Agire nel mondo. Per questa ragione, sarebbe riduttivo emettere, sul loro conto, un giudizio screditante, di condanna. Né si può ridurre il rapporto tra i protagonisti a una netta imposizione di ruoli reciproci. Lo spettatore, infatti, ha il privilegio – quello che solo i grandi film concedono – di prendere parte, progressivamente, a una profonda evoluzione del legame che tiene assieme Addi, Konni, Siggy e Balli. Un’evoluzione positiva e costruttiva, che, pur partendo dalla sola manifestazione di logiche di prevaricazione, si esplica, poi, nella salda rappresentazione di un affetto oltre confine.

C’è violenza allo stato puro, nel film di Gudmundsson. È vero. Peraltro, per la brutalità carnale di alcune sequenze, la pellicola ricorda molto i toni di Misterious Skin di Gregg Araki. Eppure, nonostante l’assunzione quasi abituale di questo codice comportamentale tramite cui, il più delle volte, si compiono delle scelte anche a fin di bene, Beautiful Beings è anche un concentrato di improvvisa dolcezza. È una mano calda che accarezza dei capelli arruffati.  È fermarsi, insieme, sulla soglia di una scogliera. È quel misurato sentimento che conduce ad abbandonarsi alla calorosità di abbraccio di conforto o di uno sguardo d’intesa, per rassicurare un fratello di sangue, più che un semplice amico. Dunque, per contrasto ossimorico, si respira, nel film, un tessuto di amabilità condivisa, che ben ammortizza l’atmosfera brutale del vissuto dei nostri personaggi, trasformandola in una danza estatica di corpi.

Scena del film Beautiful Beings
Scena del film Beautiful Beings

Un altro aspetto interessante, che alleggerisce i marciumi interiori ed esteriori avvinghiati all’esistenza dei nostri ragazzi, è l’elemento onirico, che assume i toni del misticismo. A farsene portavoce è Addi, non solo calda voice over di verità celate e interiorizzate, ma anche inconsapevole sensitivo, in grado di prevedere l’accadimento di eventi futuri. Infatti, sarà questa particolare abilità a consentirgli di vedere ciò che non avrebbe mai voluto vedere. Un segreto orrorifico che cambierà per sempre il destino dei nostri personaggi. E, alla fine, nel mare di fango, qualcuno riesce a risalire in superficie, qualcun altro rimane in apnea.

In conclusione

“Una volta superata quella barriera di un centimetro dei sottotitoli, vi si presenteranno molti altri film meravigliosi”, così diceva il regista coreano Bong Joon-Ho durante la premiazione ai Golden Globe per Parasite. È una citazione che, senza dubbio, vale anche per Beautiful Beings. Guðmundsson firma una pellicola che trivella lo stomaco, per impatto visivo, dialogico e sonoro. Il cineasta costruisce un film di impianto corale in cui tutti i personaggi, indistintamente, vengono scandagliati nelle loro complesse interiorità. Così, offre al pubblico un racconto cinematografico immersivo, che denuncia l’esistenza di forti criticità della società islandese: genitorialità inesistente, istituzionalizzazione della violenza, mancanza di tempestivi (e risolutivi) interventi da parte delle forze dell’ordine. Eppure, il focus è su altro. Su ciò che, al termine della visione, rimane più impresso nel cuore: la persistenza dell’amicizia. L’unico sentimento che salva.

Note Positive:

  • Profonda rappresentazione della fragilità: Il film offre uno sguardo penetrante sulla fragilità umana, mostrando personaggi complessi e vulnerabili alle prese con le durezze della vita quotidiana.
  • Evoluzione dei legami tra i personaggi: Nonostante le dinamiche iniziali di prevaricazione, si sviluppa una relazione più profonda e costruttiva tra i protagonisti, passando da rapporti superficiali a un affetto genuino.
  • Riflessione sull’amicizia: Il film sottolinea l’importanza dell’amicizia come unico baluardo di salvezza in un mondo difficile, offrendo un ritratto autentico della solidarietà umana.

Note Negative:

  • Rappresentazione della violenza: Pur essendo parte integrante della narrazione, la brutalità del film potrebbe risultare troppo esplicita o eccessiva per alcuni spettatori, richiedendo una certa resistenza emotiva.
  • Complessità della narrazione: La molteplicità di trame e l’elemento onirico potrebbero rendere la storia complessa da seguire o interpretare per alcuni spettatori, richiedendo una maggiore attenzione.
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