Le mie poesie non cambieranno il mondo (2023): l’eredità di Patrizia Cavalli

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Trailer di Le mie poesie non cambieranno il mondo

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Occhi miei aspettate e guardate.
Corpo mio corpo non fuggire
verso casa tra una macchina
e un muro, non rubare mai più
l’ultimo suono dal gruppo di ragazzi
fermi sulla piazza: non della prossima
strage stanno parlando
ma del prossimo film che vedranno.

In una poesia tratta dalla sua prima raccolta poetica, Le mie poesie non cambieranno il mondo, Patrizia Cavalli intesse un dialogo con i suoi occhi, amici fedeli a cui rivolgersi con schietta confidenza, con l’obiettivo di impartire loro un comando, così semplice quanto essenziale: restare e guardare. In fondo, la poesia è proprio questo: un perpetuo atto sensoriale. E’ affondare lo sguardo sulla realtà che ci circonda e di cui ognuno fa parte. Poesia è leggere l’incanto della quotidianità, scomporne le parti più intime e minute, per arrivare a coglierne l’unicità. Così, silenziando gli appuntamenti giornalieri e il frastuono delle scadenze, è possibile rallentare il passo. Prendersi il tempo necessario per ascoltare il ciarlare vorticoso dei ragazzi riuniti nelle piazze. Quella dolce melodia di chi ancora crede alla magia bianca di una storia, piuttosto che a quella nera di una strage. Allora, meglio perdersi nello scrigno di immagini e parole ancora da scoprire. Meglio parlare del prossimo film che ci resta da guardare.

Ebbene, eccolo servito su un piatto d’argento quel prossimo film da guardare: Le Mie Poesie non cambieranno il mondo, documentario scritto e diretto da Francesco Piccolo e Annalena Benini, che ripercorre la vita di una Poeta, Patrizia Cavalli, insignita di un ruolo che, a detta sua, le suonava come uno scudo di protezione. Una nomenclatura di cui andava fierissima, essendole stato attribuito dalla scrittrice Elsa Morante. Il documentario è stato presentato a Venezia, alle Giornate degli Autori.

Trama di Le mie poesie non cambieranno il mondo

La sua storia è il cammino di una donna totalmente libera, bisognosa di pubblico e di amicizia, bisognosa di giocare seriamente con la vita. Una ragazza che scappa dalla provincia e dalle sue regole ordinarie per diventare, avanti e indietro nel tempo, regina di se stessa. Con grande talento, innocenza e sense of humour. Il documentario restituisce allo spettatore la carnalità, la libertà e il calore delle poesie di Patrizia Cavalli, l’esperienza di un’autentica ispirazione poetica fondata sulla vita quotidiana, e il senso profondo di un’esistenza che rifiuta la banalità delle definizioni. Patrizia Cavalli è morta il 21 giugno 2022, durante la post-produzione di questo film, che custodisce la sua ultima testimonianza.

Patrizia Cavalli intervistata da Annalena Benini e Francesco Piccolo
Patrizia Cavalli intervistata da Annalena Benini e Francesco Piccolo

Recensione di Le mie poesie non cambieranno il mondo

I registi entrano in punta di piedi, senza far rumore, nell’intimità giornaliera di una poeta, seguendo e raccontando l’itinerario di un’esistenza spesa a servizio delle parole. Quelle scelte con cura minuziosa, scavate nel susseguirsi lento dei giorni, musicate e cantate per una platea di cuori (ancora) aperti al suono della meraviglia. L’opera della Cavalli è un crogiolo di arti: i versi ricamati in pagina si ricoprono di nuova linfa vitale, si trasformano in coinvolgenti performance recitative, dove la parola si sposa con l’intonazione, il ritmo musicale, la voce, arrivando a toccare corde emotive segrete. E la vita, così, con tutti i suoi sapori e dissapori, piomba addosso al lettore/uditore generando un profondo impatto emotivo.

La Cavalli riempe i teatri recitando le sue poesie. Ha sempre letto e declamato i suoi scritti, perché – come dice – non avrebbe saputo cos’altro fare. Il suo poetare è rispondere a un’urgenza interiore, a un bisogno, a una visione. Una modus vivendi attraverso cui riempire i vuoti. D’altronde, “è quello che manca ciò che fa esistere le parole”. E Patrizia le fa esistere senza quella superba presunzione intellettuale di spacciarle per assolute. Non sa, addirittura, nemmeno se e quanto sia in grado di comunicare davvero, ma, in fondo, questa non è una questione prioritaria. L’importante è dare ragione d’essere alle parole, farle respirare, attraverso la scelta di un’oculata veste linguistica.

Non è un caso, allora, che la poesia della Cavalli sia un trionfo musicale della lingua. Con lucidità e profondità di sguardo, si muove con scaltrezza tra musicalità e minuziosità della forma; tra tesi e antitesi, tra la presenza di un eloquio aulico ed uno spudoratamente colloquiale. Così, il tessuto poetico spicca per la sua dimensione pluridimensionale, ricca di sfumature e sfaccettature stilistiche.

I registi Piccolo e Benini, però, non sono tanto interessati a cogliere il senso ultimo degli scritti della poeta di Todi. Non insistono nel tirarle fuori chissà quali grandi dichiarazioni d’intenti. Parlare con Patrizia equivale, per loro, ad assecondare i suoi tempi centellinati, concederle lo spazio necessario per esprimersi in totale libertà. Quello spirito d’indipendenza che l’ha sempre contraddistinta, nella poesia come nella vita. Ed è proprio in virtù di questa attitudine che la Cavalli non ha timore di dire ciò che non le va a genio. Un elemento fra tutti: l’uso di etichette e categorizzazioni. E’ lei stessa, allora, ad affermare, in uno spezzone di intervista risalente alla prima giovinezza, quanto non si senta appartenere ad alcuna corrente poetica specifica. Un cavallo sciolto che, sì, certamente, ama leggere altri poeti colleghi, Giovanni Raboni o Sandro Penna ma che, a conti fatti, si costruisce da sé, dando libero sfogo all’esigenza di narrare sentimenti, turbamenti, amori non corrisposti, quella trama esplosiva di minuta quotidianità che riempie e disorienta. La parola tesse analitiche geometrie cadenzate dell’ordinario, schiette aspirazioni sentimentali, e quello sguardo attento, chirurgico, rivolto alle banalità oggettuali dell’esistenza, dietro cui si nasconde, immotivato, lo splendore. E allora “dolcissimo è rimanere/ e guardare nell’immobilità/ sovrana la bellezza di una parete/ dove il filo della luce e la lampada/ esistono da sempre/ a garantire la loro permanenza.

Se c’è una un tratto che contraddistingue la poesia e l’essere Cavalli – come ben si evince dal ritratto documentaristico – è l’ironia pungente. Un’arma innocua, indispensabile di cui la poeta si serve per interagire con i suoi intervistatori, per raccontare aneddoti ed esperienze di vita personali, nonché la sua famigerata iniziazione poetica, nella capitale. E, se ne serve, senza filtri, persino per parlare della morte o dell’amore, creature svuotate della loro tradizionale dimensione aurea, idealizzata, inarrivabile. Amare significa farlo, l’amore, così come morire è una cosa che ci riguarda da vicino e che ormai fanno fanno tutti. Nella sua prospettiva d’indagine, ogni frammento di realtà analizzata, scomposta e ricucita, sembra assumere il peso della sconfinata leggerezza. Tutto accade perché è logico, consequenziale, naturale che debba accadere: “Ti amo perché non ti amo più,/ perché non posso perdonarti/ di non riuscire più ad amarti.

Patrizia risponde alle domande che le vengono rivolte col fare di una bambina meravigliata di ricevere tanta attenzione. Si stupisce alla notizia del fatto che qualcuno abbia deciso di fare un film su di lei. Si esalta quando parla della telefonata di Elsa Morante che la battezza poeta, così come si irrigidisce quando si prova a dare un nome al sodalizio amicale e professionale con Diana Tejera. Ricorda l’essere stata un’accanita giocatrice (spesso perdente) di poker, così come intona con entusiasmo le note della sua poesia, Al cuore fa bene far le scale, musicata con Diana e cantata in diretta con Mika, durante il programma televisivo del 2016, Stasera casa Mika.

Annalena Benimi, Patrizia Cavalli e Francesco Piccolo in Le mie poesie non cambieranno il mondo (2023)
Annalena Benimi, Patrizia Cavalli e Francesco Piccolo in Le mie poesie non cambieranno il mondo (2023)

C’è spazio per ogni frammento di Patrizia in questo ritratto documentaristico. Seguiamo il profilo poliedrico di una poeta e donna sempre fiera della sua indomita personalità, tipica di chi sa di non somigliare a nessuno. E la seguiamo, come la segue la camera affettuosa dei registi, nel finale, passo passo, in una delle sue consuete passeggiate mattutine. È qui che emerge un ulteriore lato umano della poeta. Forse quello di un’ipotetica nonna, incantata di fronte alla vista dei bambini, e che, con semplicità attempata, rimane a contemplare la luce del sole. Quella stessa luce che traspare dalla limpidezza dissacrante della sua poesia.

In conclusione

Francesco Piccolo e Annalena Benini, affidandosi a materiali d’archivio, interviste dirette e all’innata curiosità di perlustrare le profonde moltitudini di un’anima, confezionano un itinerario intimo della poeta Patrizia Cavalli, consegnandoci l’eredità dei suoi tanti volti, tutti contrassegnati dalla volontà di vivere appieno, nelle intermittenze della vita e delle parole.

Note positive:

  • Profondo impatto emotivo generato dalla narrazione intima e coinvolgente dell’esistenza della poetessa Patrizia Cavalli, che trasmette emozioni autentiche al pubblico.
  • Capacità dei registi Piccolo e Benini di catturare l’essenza della Cavalli senza cercare dichiarazioni d’intenti enfatiche, concedendo spazio alla sua espressione libera e indipendente.
  • Poliedricità e ricchezza stilistica della poesia della Cavalli, che si distingue per la sua musicalità e per l’abile gioco tra linguaggio aulico e colloquiale.

Note negative:

  • Mancanza di un focus esplicito sul significato più profondo delle opere della poetessa, poiché i registi privilegiano l’espressione libera della Cavalli senza approfondire in modo dettagliato il significato delle sue scelte poetiche.
  • L’aspetto poliedrico della Cavalli emerge con forza, ma potrebbe risultare difficile per alcuni spettatori cogliere una rappresentazione più univoca della sua personalità e delle sue opere.

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